festa di gioia
2 Dicembre 2010 Share

festa di gioia

 

È trascorso questo principio di novembre,“l’estate, fredda, dei morti”, recitava con geniale intuito sintattico Giovanni Pascoli, evidenziando di questo periodo dell’anno il tipico contrasto tra l’apparente tepore del clima e chiarore della luce, quasi estivi, e la sostanziale sterilità della natura tutta, terra e cielo, vuoti e freddi.

Sono i giorni della commemorazione dei morti, quando, complici l’osservanza del rito e l’atmosfera dimessa e scarna dell’autunno, il ricordo dei nostri defunti si fa più pungente, più viva la presenza di chi manca, e anzi, lieve, si concretizza: è nella nostalgia e nel silenzio del novembre incipiente, tra le ventate di foglie fruscianti, che la sensibilità si acuisce e ci pare talora di sentire passi invisibili e ovattati che intersecano il nostro cammino e lo accompagnano, e barbagli di luce, di tanto in tanto, che occhieggiano famigliari al nostro sguardo.

 …i morti non è quel che di giorno in giorno va sprecato, ma quelle toppe d’inesistenza, calce o cenere, pronte a farsi movimento e luce.  Una poesia di Vittorio Sereni, La spiaggia il titolo, perché la spiaggia è in limine, come la morte e la vita che nasce.

Equilibrio delle sorti, il calendario cristiano colloca a poca distanza dalla festa dei morti la festa del Natale, del fiorire della vita per eccellenza; fuori e prima della tradizione cristiana, però, già i Romani celebravano il venticinque di dicembre come festa del Sol invictus, del sole uscito imbattuto dalla lotta contro le tenebre, e, dopo il solstizio d’inverno, la notte più lunga e il giorno più breve dell’anno, pronto a riprendere il suo cammino di luce, vittorioso e latore di vita.

Quasi che quella festa di gioia risponda ad un bisogno antico, indipendente dalla fede professata.

Credenti e non, divisi tra sostenitori di Santa Claus e acerrimi della Befana, affiliati del baccalà o pertinaci dell’anguilla, manifestamente giocondi o pudicamente renitenti, tutti amiamo il Natale, ci ammalia quel clima magico e sospeso, quell’aria di buono e domestico che emana da ovunque; pur di ripercorrerne l’incanto, siamo pronti ad un’opera accurata e consapevole di confusione dei dati del presente con quelli del passato e, belli e che maturi, viviamo quei giorni come li abbiamo vissuti da piccoli, nell’età dell’incanto vero: quando i fatti non ci accompagnano, ci astraiamo dal reale, immaginiamo, e sentiamo il freddo vivido e le scarpe che scricchiolano sulle pietre brinate e meglio innevate, e ammiriamo la fresca bellezza del pungitopo e del muschio e i comignoli che esalano miriadi di vapori; finanche le stazioni dai parenti riusciamo ad apprezzare allora, e uscire quatti quatti alla ricerca del regalino, pochi soldi e pretese di idoneità al destinatario.

Qui non si sente altro che il caldo buono. Sto con le quattro capriole di fumo del focolare, così Giuseppe Ungaretti, Natale 1916; perché è amabile Natale, seppure incombe la tragedia, privata e collettiva.

Semel in anno, si intende. Impensabile prolungarla la magia del Natale, addirittura snaturante l’ipotesi di un’umanità sempre buona e sempre giusta. Importa, però, la spinta motrice del Natale, che alimenta la ricerca del bene e accende propositi di miglioramento e disegni di palingenesi morale; che poi si tratti di mere idee è secondario, vuoi perché le idee – Platone insegna-, hanno una intima nobiltà che alla materia non appartiene, vuoi che a furia di contemplarle, le idee, anche la materia riesce a migliorarsi, a guadagnare una sua nobiltà, fa niente se di grado inferiore.

Per un Natale 2010 provvido di evoluzioni positive io suggerirei due letture, distanti nel tempo e di primo acchito diverse nel modo e nel merito, eppure simili, a ben pensare: Cantico di Natale, di Charles Dickens e Nel mare ci sono i coccodrilli – Storia vera di Enaiatollah Akbari di Fabio Geda.

Cantico di Natale su uno sfondo tra il fantasy e il gotico svolge una storia avvincente di “conversione”, quella del protagonista, il vecchio Mister Scrooge, che, visitato in sogno durante la notte di Natale da tre fantasmi rappresentanti il presente, il passato e il futuro, è costretto a ripensare alla sua vita, fatta fino ad allora di troppo attaccamento al denaro e poco affetto per gli uomini, e si risveglia, infine, intenzionato ad un totale cambiamento.

Nel pieno della sua capacità affabulatoria, Dickens, qui come altrove, non rinuncia all’impegno della denuncia sociale, alla polemica contro la povertà, lo sfruttamento minorile, l’analfabetismo, tanto diffusi nell’Inghilterra della metà del secolo diciannovesimo.

Nel mare ci sono i coccodrilli. Storia vera di Enaiatollah Akbari è, invece, un racconto di viaggio. Un viaggio sui generis, però: il lunghissimo cammino, irto di difficoltà, che ha portato Enaiatollah Akbari, protagonista della storia vera scritta da Geda e ora giovane ventenne residente a Torino, ad attraversare solo, da che era appena un bambino, l’Iran, la Turchia, la Grecia, per arrivare in Italia, dieci anni dopo. Tutto, pur di sottrarsi alle persecuzioni che Pasthun e Talebani riservano in Afghanistan all’etnia di Enaiatollah, quella Hazara. Il racconto, ricco di avventure inimmaginabili, ci parla di odio etnico e disagio della clandestinità, ma con tocco lieve e ironico, perché Fabio Geda ha voluto rispettare lo stile narrativo di Enaiatollah Akbari che, riferendogli della sua straordinaria esperienza  di vita, esaltata da una costante fuga dal pericolo e dalla morte, ha ricordato che mai la sua voglia di vivere ne è uscita intaccata, e che anzi la morte è sempre un pensiero lontano, anche quando la senti vicina.

Sono cresciuta in un oratorio della periferia milanese, per me i don erano un po’amici, un po’ genitori. Quando, a tredici anni, la vita mi ha posto di fronte ad uno di quei passaggi cruciali di cui è puntellato il nostro cammino, un passaggio doloroso, solo con don Giampiero, il parroco, sono riuscita  a parlare. Dopo avermi ascoltato, lo sguardo bonario e burbero come bonari e burberi sono i brianzoli, mi ha risposto: “Vedi Luciana, ognuno di noi porta la sua croce. La tua ti pare più pesante di altre, ma Dio sa che anche le tue spalle sono più forti di altre e possono portarla”.

Ho ripensato tante volte a questo argomento, mai l’ho inteso come un classico della topica consolatoria del cristianesimo di fronte al dolore e all’ingiustizia; lacrima più lacrima meno, l’ho vissuto e lo vivo, invece, come un invito umanissimo al sorriso della resistenza attiva.

Buon Natale. ☺

LucianaZingaro@libero.it

 

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