fino a quando?    di Loredana Alberti
2 Febbraio 2013 Share

fino a quando? di Loredana Alberti

 

A questi dati offerti dal centro antiviolenza di Bologna risponde su blog una valanga di uomini. Riporto qualche frase: “Per eliminare la violenza sulle donne bisogna eliminare la causa che la genera… LA VIOLENZA SUGLI UOMINI… Esiste la violenza sulle donne ed esiste la violenza sugli uomini…”; “L'ONU ha dichiarato che il 62% della violenza nel mondo è DONNA… lo dice l'ONU, non la Carfagna e femministe misandriche… Certo che esiste una connessione tra la violenza e i papà separati… In Italia ci sono 4 milioni di papà separati, 800mila vivono nell'indigenza… Cacciati dalle case, allontanati dai figli, mangiano nelle Caritas, dormono sulle panchine dell'aereoporto di Linate, vengono continuamente denunciati con false accuse nelle separazioni”.

Piero Corsi, parroco di Lerici, ha affisso al portone della parrocchia di San Terenzio un manifesto dal titolo “Donne e il femminicidio, facciano sana autocritica. Quante volte provocano?”. Il testo ha fatto scalpore per la tesi avanzata sul femminicidio: la colpa di questa escalation di violenza nei confronti delle donne è da ricercare nelle donne stesse, che si allontanano dalla famiglia e dai valori tradizionali. Un testo infarcito di frasi che invitano a cercare in taluni atteggiamenti femminili le ragioni di un fenomeno atroce: “Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi…” oppure “Quante volte vediamo ragazze e anche signore mature circolare per la strada in vestiti provocanti e succinti?”. E ancora: “Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre, nei cinema, eccetera? Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e se poi si arriva alla violenza o all’abuso sessuale…”.

Come possiamo notare gli uomini che rispondono sul blog e il manifesto del parroco collimano.

C’è quindi un dibattito: da una parte i maschi, dall’altra le femmine, in mezzo un dibattito tanto polemico quanto sterile sull’utilità di definire l’uccisione di una donna con il termine, appunto, di “femminicidio”. Strumenti di guerra, i numeri. “Sono oltre cento le vittime dall’inizio del 2012” dicono le donne, “sì, ma sono numeri relativi”, rispondono gli uomini, bypassando del tutto il vero nocciolo del problema. Ossia, il motivo per cui, nel 2012, cento donne e più sono morte per mano di padri, fratelli, mariti o compagni.

Sarà forse utile allora,  aprire un dibattito sulle cause, confrontarsi sulle modalità attraverso le quali oggi uomini e donne vivono la relazione affettiva e amorosa, interrogarsi infine sul concetto di possesso che troppo spesso si sovrappone e si sostituisce a quello di relazione. 

È in questa prospettiva che si deve tornare a parlare di “incivile soggezione, sopraffazione cruenta, violenza inaudita e perpetua, grave disparità di trattamento, terrore psicologico e fisico” subiti dalle donne ad opera di uomini incapaci di riconoscere alle loro figlie, madri, mogli e compagne un ruolo da protagoniste dotate di una propria individualità.

 Barbara Spinelli scrive: “Nel 2006 in Europa 3413 persone sono morte in conseguenza della violenza domestica subita, di questi, 1409 erano donne uccise dai partner o ex partner violenti (femminicidio), 1010 erano le donne che avevano scelto il suicidio a seguito della violenza domestica subita, 272 le donne che avevano ucciso i mariti violenti, 186 gli omicidi collaterali (padre che uccide i figli e la moglie, oppure persone accorse in soccorso e uccise per errore), 536 gli uomini che dopo aver ucciso la donna su cui avevano esercitato violenza si erano uccisi”.

Se nel 2006 su 181 omicidi di donne 101 erano femminicidi, nel 2010 su 151 omicidi di donne 127 erano femminicidi. In Italia il 70% delle vittime di femminicidio era già nota per avere contattato le forze dell’ordine, ovvero per aver denunciato, o per aver esposto la propria situazione ai servizi sociali. Un dato che ci accomuna agli altri Paesi europei: le ricerche criminologiche dimostrano che su 10 femminicidi, sette sono in media preceduti da altre forme di violenza nelle relazioni di intimità. Cioè l’uccisione della donna non è che l’atto ultimo di un continuum di violenza di carattere economico, psicologico o fisico. Questi dati richiedono un’attenta riflessione: in generale, la causa sociale della violenza viene attribuita alla tendenza maschile a non considerare le donne come individui indipendenti e con il diritto di autodeterminarsi, ma come cosa propria.

 L’aumento di casi di violenza e femminicidio viene spesso associato al fatto che in questo momento stiamo vivendo una fase di mutamento dell’identità femminile, che va verso l’emancipazione e la libertà, e viene quindi vissuta dagli uomini come una minaccia alla propria virilità o al proprio diritto al dominio sessista. La battaglia da fare è tutta sociale e riguarda da una parte il proseguimento di questo processo di emancipazione (sia attraverso un potenziamento della legislatura delle pari opportunità, sia attraverso un coinvolgimento della società civile), e dall’altra attraverso la rappresentazione e narrazione di questa nuova identità femminile emancipata attraverso i media, i giornali, le pubblicità. Al momento, lo scollamento tra una rappresentazione della donna in larga parte patriarcale e antiquata e il ruolo attivo e importante che un numero sempre maggiore di donne ricopre nella vita reale non solo aiuta a creare ideologicamente terreno fertile per la violenza, ma rende anche la narrazione stessa della violenza nei media primitiva, stereotipata e sessista.☺

 ninive@aliceposta.it

 

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