firmino
6 Marzo 2010 Share

firmino

 

"All'inizio mangiavo lasciandomi guidare solo e soltanto dal gusto, rosicchiando e masticando dimentico. Ma ben presto cominciai a leggere, qua e là, lungo i bordi dei miei pasti e, con il passare del tempo, quanto più leggevo tanto meno masticavo finché, in ultimo, presi a dedicare quasi tutte le ore di veglia alla lettura, masticando solo nei ritagli di tempo. Oh, come mi rammaricai allora di tutti quei buchi spaventosi! In alcuni casi, quando non c'erano altre copie disponibili, dovetti attendere anni per colmare le lacune. Non ne vado fiero".

"Non ne potevo piú di topi. Sono ovunque: al cinema, in televisione, nei fumetti, nelle fogne sotto casa. Poi ho conosciuto Firmino. Solo un topastro sfigato e malinconico come lui mi poteva rimettere in pace con il mondo dei roditori". 

Questa la frase che Niccolò Ammaniti scrive per la quarta di copertina di un libro davvero originale. Effettivamente Firmino è un intellettuale raffinato, un filosofo romantico, un piccolo genio ma anche un roditore, e quanto rosicchia!

Eppure l'autore ha dichiarato in un'intervista che la sua idea è nata prima che il personaggio principale si scoprisse topo: "Ho avuto la sensazione completa della voce prima di realizzare che fosse la voce di un topo. Si potrebbe dire che sapevo chi Firmino fosse prima di sapere cosa fosse". Del resto Firmino è sotto tutti gli aspetti umano, tranne che per la forma del corpo, per la dieta e per la durata della sua esistenza: uno strumento, un tramite più che un artefice.

Savage, autore totalmente sconosciuto prima della pubblicazione di questo romanzo, edito in prima istanza negli Stati Uniti da una piccola casa editrice no profit con una tiratura di mille copie e in seguito diventato un caso letterario e un titolo conteso dagli editori più prestigiosi in tutto il mondo (nonché eletto miglior libro dell'anno dall'American Library Association) ha trovato di fatto una formula vincente per farci conoscere, amare e leggere quello che ha conosciuto, amato e letto: lo racconta rapidamente in una storia, senza annoiare il lettore, senza travolgerlo con citazioni troppo dotte. E così le frasi dei grandi romanzi della letteratura – così come le trame e gli autori -, scorrono pagina dopo pagina formando a loro volta un nuovo romanzo, un gioco a incastro fatto di tanti tasselli che a volte sembrano formare un unico disegno ma che in altri punti si scompongono di nuovo.

Firmino è un topo, tredicesimo di tredici fratelli, nati negli anni Sessanta in una tana di fortuna ricavata dalla mamma Flo ("una specie di ubriacona") nello scantinato di una libreria a Boston. Non c'è nulla da mangiare in questo rifugio, se non i tanti, tantissimi libri polverosi raccolti sugli scaffali. Carta, un mare di carta, con cui costruirsi un rifugio caldo e di cui cibarsi. Come possiamo restistere a frasi come: "La mia cara Flo ha ridotto in coriandoli Finnegans Wake. Joyce era Un Grande, forse il Più Grande. Io sono stato sgravato, deposto e allattato sulla carcassa defoliata del capolavoro più non-letto al mondo"?

Firmino è il più debole, il più gracile dei fratelli e questo segna la sua esistenza sin dal primo giorno. Non ancora svezzato si accorge di essere molto attratto dalla carta stampata, che diventa per lui quasi una droga di cui si deve continuamente cibare, in tutti i sensi. Ben presto scopre di soffrire di ipertrofia lessicale e intuisce che i libri più buoni da mangiare sono anche quelli più belli. E la sua gran fame diventa così anche voglia di capire, di inglobare, di assorbire ciò che in quelle pagine è scritto. Parole che può leggere e pensare ma che, a causa della sua realtà animale, non può pronunciare. Questa fisicità limitante lo rende uomo solo spiritualmente, mentre la sua voglia di letteratura lo condiziona facendo di lui un topo solo. Alienato dalla sua famiglia e incapace di comunicare con gli umani che ama e mitizza (a partire da Norman, il proprietario della libreria, destinato a deluderlo fortemente), Firmino presto realizza che un topo letterato è un topo abbandonato.

Certo non può vivere la sua intera esistenza nella libreria e, giunto all'idea di non mangiare più quei libri così importanti, è costretto a uscire per procurarsi il cibo e così scopre che le storie possono anche essere raccontate in un film.

Il cinema, ricco di caramelle e pop corn da sgranocchiare, diventa una passione al pari della letteratura, Fred Astaire il suo "faro" e Ginger Rogers una delle sue "Bellezze" umane di cui si innamora. E poi c'è Jerry, uno scrittore, ma non voglio anticiparvi il suo ruolo.

Come spesso accade nelle storie legate alle piccole librerie, anche questa dovrà cedere il passo alla modernità e verrà addirittura abbattuto il palazzo che la ospitava, momento al quale Firmino assisterà con un nodo alla gola, che il lettore non potrà fare a meno di condividere.

La farsa si trasforma così in tragedia, in quella malinconia garbata ma latente lungo tutto il romanzo che fa di Firmino un personaggio carico di un’umanità vicina, ironica, bizzarra, sensibile, dolente.  ☺

gadelis@libero.it

 

 

 

 

 

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