Francesco carissimo
7 Giugno 2014 Share

Francesco carissimo

Lettera aperta al vescovo di Roma, pellegrino dell’assoluto

In Molise fervono i preparativi per il tuo fugace passaggio il 5 luglio, ideato più come un tour che come un incontro con una comunità che vive, lotta, spera, ma soffre ritardi, proprio grazie a coloro che cercheranno esposizione approfittando della tua presenza. Ho il fondato timore che si stia allestendo come un set cinematografico dentro il quale vorranno costringerti a recitare il copione che gli organizzatori hanno confezionato per te. Faranno di tutto per non farti affacciare dietro le quinte per paura che tu veda un mondo diverso da quello in cui loro vogliono apparire protagonisti e benefattori. Una per tutte: chiedi da quanti giorni funziona la mensa caritas nella quale ti faranno incontrare i poveri cercati e selezionati per l’ evento! Se poi vuoi rompere l’incantesimo e guastare loro la festa basta che ti informi sul cammino comunitario della chiesa locale, sul funzionamento degli organismi di partecipazione, sul coinvolgimento del clero nel progetto diocesano; non sono ancora tramontati i tempi in cui il vescovo proclamava: la chiesa sono io.

Ma il mondo reale è meraviglioso, segnato da sofferenze indicibili e gioie inesprimibili e il nostro popolo ti ama e ti cerca proprio perché intessi relazioni semplici, belle, autentiche, perché per te la persona viene prima delle regole e non può essere ridotta a caso da esaminare per assolvere o condannare. A differenza di molti tuoi confratelli nell’episcopato, che non solo fanno fatica a starti dietro, ma addirittura cercano di far buon viso a cattiva sorte, sperando che passi presto la nottata, noi gente semplice e senza pretese abbiamo compreso che stai cercando di imprimere un nuovo corso alla chiesa, che vuoi che il concilio non sia un insieme di documenti per gli studiosi, che insomma vivi il vangelo come una gioia contagiosa. Sappiamo che non cerchi ammiratori e allora, anche se con fatica e fra mille resistenze, vogliamo comprometterci e farci pellegrini dell’Assoluto insieme con te. È una primavera sognata quando il cupo inverno degli ultimi tuoi due predecessori non lasciava ancora presagire nessuna fioritura, ma quando in quel fatidico 11 febbraio 2013 papa Benedetto, con l’annuncio delle dimissioni, consentì al vento di ridare ossigeno al fuoco che covava sotto la cenere e alla natura di sbocciare, noi non eravamo impreparati al nuovo.

Nel tuo peregrinare per confermare nella fede le comunità dei credenti e testimoniare la comunione che lega le chiese ti trovi ad inciampare in parate, sfilate e salamelecchi istituzionali che poco o nulla hanno a che vedere con le tue scelte; questo muro che impedisce l’afflato pieno tra te e il gregge puoi abbatterlo in un baleno se solo rinunci ad essere il capo dello stato vaticano. Pastore che vuole portare addosso l’odore delle pecore e monarca assoluto costretto a cerimoniali d’altri tempi in te sono diventate due facce stridenti, diametralmente opposte. Non oso chiederti di tornare a vivere in S. Giovanni in Laterano, residenza del vescovo di Roma, perché un fazzoletto di terra in libertà come il Vaticano può diventare luogo di accoglienza e di vita di comunione, ma siamo in tanti a chiederti di recidere questo insopportabile residuo costantiniano. Tu recuperi in libertà e in autorevolezza e la chiesa può finalmente chiudere anche le ingombranti nunziature della cui ottusità e arroganza hai fatto esperienza diretta in Argentina. Stai cercando di dare dignità alle conferenze episcopali nazionali, che cosa impedisce al suo presidente di svolgere il compito finora attribuito ai nunzi? Ci hai abituati ai cambiamenti di stile, ora ci attendiamo cambiamenti strutturali. La rinuncia alla monarchia comporta di conseguenza la realizzazione di una collegialità stabile. Il coraggio di osare per fede non ti manca, come in noi trovi la passione di seguire Cristo per vie inedite. Il popolo di Dio è spiritualmente più libero e avanti di gran parte dei vescovi, clonazione di un episcopato che aveva messo tra parentesi il concilio. Ancora, la gioia del vangelo, che tu annunci e testimoni con la vita, l’hanno vissuta allo stesso modo i discepoli e le discepole di Gesù duemila anni fa. Poi si è avuta una lenta e inesorabile esclusione delle donne con la maschilizzazione e patriarcalizzazione della chiesa. È tempo di rimettere in discussione l’assetto, non clericalizzando le donne, ma restituendo alle comunità la doppia e pari dimensione di femminile e di maschile.

Caro Francesco, siccome non ci incontreremo in terra molisana volevo farti partecipe di sogni e speranze di tanti cristiani e diversamente credenti che in te vedono e apprezzano una umanizzazione di cui si avvertiva impellente necessità. Il tuo vivere a Santa Marta, il consumare i pasti nel refettorio con ospiti e residenti, le uscite significative, il mettere i politici davanti alle loro responsabilità, il digiuno per la Siria, le prese di posizione in favore degli immigrati a Lampedusa e non solo, il volere una chiesa povera e per i poveri, le telefonate alle persone più impensate sono segni evidenti che stai liberando la chiesa da incrostazioni che oscurano il suo volto meraviglioso e perennemente giovane. Mi sono permesso di dare suggerimenti perché tu stesso ci hai chiesto in modo non retorico di aiutarti a riformare il papato.

Quando hai tempo, possiamo riparlarne. Animo, ricambiato con grande affetto, la comunità parrocchiale di Bonefro, molto ospitale. Se passi, ti troverai a casa.☺

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