Fratelli gemelli
6 Gennaio 2015 Share

Fratelli gemelli

“Ho visto il tuo volto benevolo ed era come vedere il volto di Dio” (Gen 33,10), sono queste le parole che Giacobbe rivolge, secondo una possibile traduzione, al fratello Esaù, quando lo incontra dopo tanti anni, essendo fuggito per evitare la vendetta del fratello per avergli sottratto con l’inganno la benedizione del padre Isacco (Gen 27). Ne è passato di tempo e ne ha fatte di esperienze Giacobbe perché potesse arrivare a dire questo di un fratello gemello che per lui è stato sempre e solo un rivale nell’affermazione di sé. I due fratelli sono in lite fin dal seno materno, come a dire che la prima esperienza che abbiamo del fratello (come già ci ha insegnato la storia di Caino e Abele) è quella dell’altro che mi restringe lo spazio, che mi costringe a limitarmi e ciò può portarmi facilmente a desiderare che l’altro scompaia o almeno sia ridotto a strumento per affermare il mio potere. Giacobbe parte svantaggiato perché il fratello gode del favore del padre, mentre lui si deve accontentare delle simpatie della madre che non ha potere giuridico per far prevalere il suo favore. L’unica strada che rimane a madre e figlio è l’astuzia che porta però al rischio di perdere la propria vita (nel caso di Giacobbe) o di ciò che si ha di più caro (nel caso di Rebecca) perché Esaù, giustamente adirato per essere stato defraudato dei suoi diritti, medita la vendetta (Gen 27,41). A Giacobbe non resta altro che fuggire e questa fuga sarà per lui l’occasione per provare che cosa significa essere ingannati, come lui ha fatto con il padre e il fratello. Sarà proprio il fratello della madre, Labano, a ripagare Giacobbe con la stessa moneta e a far trovare come moglie non l’amata Rachele ma la primogenita e per nulla bella Lia, che diventa così un ricordo vivente dell’altro primogenito ingannato. La furbizia usata verso Esaù gli è costata 20 anni di duro lavoro e anche se ha avuto in dote l’amata Rachele, non da lei ha avuto la maggior parte dei figli, segno di ricchezza e di benedizione, ma dalle altre mogli.

L’autore biblico ci vuole insegnare che il futuro radioso di Giacobbe non è frutto dei suoi intrallazzi, ma della gratuita elezione di Dio che riesce a trasformare anche i nostri difetti in strumento per realizzare i suoi disegni (che sono sempre nella logica della scelta di chi ha meno diritti), come aveva già annunciato prima della nascita dei gemelli a Rebecca: “Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si divideranno; un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo” (Gen 25,23). Ma l’incontro con il fratello non può essere evitato perché, volendo tornare dal padre Isacco, deve necessariamente passare per il territorio di Edom, controllato da Esaù. La preparazione dell’incontro è descritta con toni tra l’ironico e il drammatico (Gen 32,4-22), in quanto Giacobbe tenta di “comprare” la benevolenza del fratello con doni smisurati e, temendo un attacco alla sua carovana, decide di ricorrere di nuovo all’astuzia, dividendo in due il suo seguito, per risparmiare dalla temuta vendetta almeno una parte. In realtà Esaù non darà più seguito alla sua vendetta, perché ha compiuto un suo cammino di riconciliazione, già con i suoi genitori, decidendo di prendere una moglie tra i suoi parenti (mentre all’inizio ha agito di impulso prendendo donne straniere, come d’impulso aveva venduto la primogenitura) (28,8-9). In questo suo atteggiamento possiamo cogliere il cambiamento che lo porterà ad andare incontro in modo sorprendente al fratello: “Esaù gli corse incontro, lo abbracciò, gli si gettò al collo e lo baciò e piansero” (33,4).

Nell’intenzione del narratore si vuole riscattare la figura di un uomo che ha avuto sempre fiducia, nonostante la sua impulsività, negli altri da cui invece è stato spesso imbrogliato, compreso forse Dio stesso che arbitrariamente sceglie il fratello minore, per una logica che Esaù né conosce né forse comprenderebbe. C’è una sorta di simpatia per questa vittima di disegni più grandi dei quali i tranelli di Giacobbe non sono altro che una ironica macchietta. Prima dell’incontro tra i due fratelli che si risolve con una piena riconciliazione, anche se non tornano più a vivere insieme, avviene un altro incontro: si tratta però di un incontro strano con un uomo misterioso che si mette sulla sua strada; i due lottano tutta la notte e alla fine Giacobbe, che sembra prevalere, viene colpito a una gamba rimanendo zoppo (32,23-33). In questo misterioso personaggio che gli dà il nuovo nome di Israele, che diventa nome di un intero popolo, Giacobbe riconosce Dio stesso: “Davvero ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva” (32,31). Alla luce di questo incontro può interpretare in modo positivo il volto del fratello che lo guarda con misericordia e lo lascia in vita. Giacobbe non meritava tanto riguardo da parte di Esaù, che non si lascia comprare dai suoi regali, ma comprende che il suo abbraccio è frutto di un amore gratuito, che va al di là dei suoi meriti e potranno così seppellire in pace il loro padre, senza più temere l’uno dall’altro (35,29). La figura di Esaù, verso cui non si può non provare empatia, mi fa venire in mente le parole di Amleto a Polonio, nell’omonima tragedia: “Se tratti ognuno come si merita chi eviterà la frusta? Trattateli piuttosto come s’addice al vostro onore e alla vostra dignità. Meno essi meritano, e più meriterà la larghezza vostra” (II, 2,524-528).

La scelta della fraternità non passa per la reciprocità ma per la gratuità che si impara non quando tutto va bene, ma proprio quando si giunge al bivio di due scelte: dare seguito alla vendetta o spezzare la spirale della violenza. Esaù ha scelto la seconda strada, la meno battuta, quella scelta anche da Dio, ed è per questo che su di lui Giacobbe ha potuto vedere stampato il volto di Dio.☺

 

 

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