Frida sono io
5 Luglio 2014 Share

Frida sono io

FOTO: Frida Kalho: La colonna spezzata

Roma – Scuderie del Quirinale –

fino al 31 agosto

Sosteneva di essere nata il 7 luglio 1910 per fare coincidere la sua data di nascita con quella della rivoluzione; attiva, curiosa e geniale Frida, all’età di sei anni, fu colpita dalla poliomielite che la costrinse a restare a letto per lunghissimi mesi.

Ma il grande trauma che sconvolse la sua vita accadde il 17 settembre 1925: l’autobus, sul quale viaggiava, fu travolto da un tram e Frida fu trafitta da un’asta metallica che la trapassò in due all’altezza del bacino, le fratturò in tre punti la colonna vertebrale nella regione lombare, la gamba sinistra riportò undici fratture. I primi soccorritori si trovarono davanti uno spettacolo agghiacciante e meraviglioso: un passeggero recava con sé un sacco di polvere dorata che, nell’urto, si era rotto ed il contenuto si era sparso sul corpo di Frida: quasi esanime la ragazza sembrava una statua insanguinata e coperta d’oro.

Della lunghissima e dolorosa degenza in ospedale Frida ricordava che “… la morte di notte danzava intorno al suo letto…”. Dall’incidente i temi centrali della sua vita diventarono il dolore, la forza, il sangue e la vita: subì, in tutta la vita, circa trentacinque interventi chirurgici alla spina dorsale, all’ultimo anche l’amputazione della gamba destra.

La forzata immobilità avvicinò Frida alla pittura: il riassunto della sua tragedia lo vediamo in un dipinto del 1944 intitolato “La colonna spezzata”. In esso si vede il corpo dell’autrice, aperto in due parti tenute insieme dal busto ortopedico, al posto della spina dorsale deteriorata c’è una colonna ionica spezzata che simboleggia la sua vita sostituita da un rudere che sta andando in pezzi.

Nel 1928 Frida incontrò di nuovo il grande Diego Rivera. Lo cercò per mostrargli i suoi disegni “da professionista a professionista”: Diego rimase colpito sia dai quadri, che rivelavano un talento ed un’immaginazione non comuni, sia dalla loro autrice. I due si sposarono il 21 agosto 1929 ma Diego era quello di sempre, traditore, gaudente, quello che lei scherniva da ragazzina chiamandolo vejo panzon.

L’assenza quasi totale del marito, completamente assorbito dal lavoro, la noia dovuta alla solitudine e, più doloroso di tutti, la perdita di un bambino che attendeva trasformarono la giovane in una moglie non più adorante, ma, tuttavia, complice del marito, specie nell’impegno politico. Nel 1937 fu la stessa Frida, in assenza di Diego, ad accogliere l’esule Leon Trotskij e la moglie, che ospitò nella sua casa per un certo periodo. Ormai trentenne Frida non passava inosservata sia per il suo spirito, sia per il suo modo di vestire alquanto stravagante: indossava il classico costume delle donne messicane. Non poteva non colpire l’esule russo che ne rimase infatuato; dal canto suo la giovane donna comprese che una relazione con l’idolo politico del marito sarebbe stata una perfetta vendetta per tutti i tradimenti.

Dopo l’assassinio di Trotskij (24 maggio 1940) e la partenza di Diego per gli Stati Uniti, Frida si ammalò al punto tale di annunciare le sue prossime nozze con… l’ex marito! (I continui tradimenti di Diego, anche con la sorella di Frida l’avevano costretta a separarsi). Nel 1946, dovette affrontare un delicatissimo intervento: quattro vertebre furono saldate ad un’asta metallica lunga quindici centimetri. Nei mesi seguenti il morale di Frida era talmente basso che cadde in una profonda depressione e tentò varie volte il suicidio. Sotto l’effetto delle droghe calmanti, sempre più massicce, la sua mente andava degenerando; quando era lucida, diventava nervosa fino all’isterismo. Diego era talmente disperato che confidò ad un amico “la ucciderei, se ne fossi capace, non posso tollerare di vederla soffrire così”. I primi di luglio del 1954 fu colpita da un attacco di broncopolmonite che dette il colpo di grazia all’organismo tanto debilitato: morì, all’alba del 13 dello stesso mese, per un embolo polmonare.

Curativa come ogni pratica di autocoscienza, di visualizzazione e racconto di sé, per Kahlo la pittura è un modo per venire a patti con il dolore e il tenere a bada la disperazione. Tre sono i modi in cui Frida si dipinge: corpo danneggiato e scheggiato, in bilico tra la vita e la morte, tra la passione e il delirio amoroso; corpo mascherato e adornato, icona intatta e intangibile, simulacro autosufficiente e sigillato in se stesso. L’effetto è magico: è come se noi, guardando le figure di Kahlo, provassimo le stesse sensazioni. Frida c’est moi!

Sono questa donna che guarda. Sono questa donna che piange. Sono questa donna che riassume in una mutilazione autoimposta (il taglio dei capelli lunghi) il lutto del corpo e del cuore. Sono questa donna che precipita al rallentatore dall’alto di un grattacielo e viene a morirmi davanti agli occhi; incapace persino la cornice di contenerne il corpo e arginarne il sangue. La condizione di tale identificazione è il rifiuto di tutte le convenzioni. È come se l’esser portati tanto vicini alla sensazione rappresentata eliminasse la distanza minima necessaria all’autocoscienza.

Ecco perché i quadri di Frida sono, in alcuni casi, ai limiti della guardabilità. Guardarli significa ‘essere’ il quadro, vivere pienamente le sensazioni in esso racchiuse. Dopo c’è desolazione e silenzio in noi: d’altra parte Frida scriveva, negli ultimi giorni di vita, nel suo diario: “Ho subito due gravi incidenti nella mia vita… il primo è stato quando un tram mi ha travolto e il secondo è stato Diego”.  ☺

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