Fuge, tace, quiesce
7 Luglio 2015 Share

Fuge, tace, quiesce

Si narra che Arsenio, uno dei più grandi esponenti del monachesimo eremitico e allievo di san Girolamo, dopo aver abbandonato l’incarico di precettore presso la corte dell’imperatore Teodosio, si ritirò nel deserto, in Egitto (dove morì nel 450 d.C.), e lì, pregando Dio di mostrargli il cammino della salvezza, udì una voce: “Fuge, tace, quiesce” (“Fuggi, taci, riposati”).

Di queste tre semplici parole si dovrebbe fare tesoro soprattutto in vacanza, per riscoprirne il significato e ritrovare la propria umanità. A ricordarcelo è Enzo Bianchi, fondatore e priore della Comunità di Bose, in provincia di Biella, e autore di numerosi testi sulla spiritualità cristiana, fra i quali Ogni cosa alla sua stagione (Einaudi, 2010). Si tratta di un breve ma intenso saggio, che aiuta a riflettere sul vero senso dell’esistenza, attraverso lo scorrere spietato degli anni e delle stagioni, con i giorni degli aromi, del focolare, del presepe e della memoria. Dal primo capitolo, che riprende proprio il detto di Arsenio, si ricavano indicazioni utili a credenti e non credenti, non tanto per una vita cristiana, quanto “per una vacanza che sia anche un’occasione per accedere alla vita interiore”.

Il primo consiglio che ci viene dal grande padre del deserto, “Fuggi!”, è infatti interpretato da Bianchi come un allontanarsi prima di tutto, sì, dal luogo in cui si vive, ma anche dal lavoro, che ci occupa per tante ore al giorno e coinvolge tutta la nostra persona, e da coloro con i quali si vive, siano essi moglie o marito, genitori o figli: solo in questo modo potremo interrogarci sulla qualità sia del compito che abbiamo assunto e stiamo svolgendo nella vita, sia dei legami che rischiano spesso di essere logorati dalla routine, affinché la presa di distanza ci aiuti a misurarli, relativizzarli ed eventualmente migliorarli.

Ma senza il silenzio, che vacanze sarebbero? Si chiede poi Bianchi. Di qui il secondo consiglio, “Taci!”, che è in realtà un invito ad abitare e a vivere il silenzio, oltre che a farlo, in quegli spazi solitari che la natura ci offre, al mare come in montagna, per esempio al mattino presto. Solo grazie al silenzio, “possiamo scendere dalla giostra, smettere di ruotare senza mai aver in mano la direzione”.

“Riposati!”, infine, come terzo consiglio, che Bianchi intende però non solo come un riprendersi dalle fatiche, ma come un riappacificarsi, un riconciliarsi con se stessi, con i propri enigmi e con gli altri, passando dal riconquistato amore di sé all’amore per gli altri.

Tuttavia, chi non ha seguito i primi due consigli, difficilmente potrà mettere in pratica il terzo: in fondo la parola vacanza, a partire dalla stessa etimologia (dal verbo latino vacare, “esser vuoto, esser libero”) ci suggerisce l’idea di un vuoto piacevolissimo, un vuoto che è libertà, prima di tutto interiore, ma che si può trovare solo se si fugge dalla quotidianità e se tacciono le parole, i messaggi, i suoni, i rumori, che inondano le nostre giornate.