Giuda: il rischio del potere
1 Marzo 2014 Share

Giuda: il rischio del potere

La figura di Giuda ha sempre suscitato sentimenti contrastanti, da quando è diventato un protagonista negativo del racconto della Passione di Gesù. Quasi subito nel cristianesimo vi è stato un tentativo di riabilitazione, come sappiamo dal cosiddetto vangelo di Giuda, scoperto di recente ma conosciuto già attraverso il resoconto dei padri della chiesa. L’idea è stata quella di ritenere Giuda la figura necessaria perché si compisse la redenzione dell’umanità, per cui è stato ingiusto condannarlo sia da parte degli evangelisti, che non risparmiano giudizi impietosi per il povero Giuda, sia da parte della storia cristiana successiva. Se guardiamo però il personaggio più da vicino, ci si accorge che ha una funzione narrativa nel vangelo per dare un messaggio a chi legge il vangelo, più che riportare la realtà dei fatti. E il messaggio diventa un monito terribile proprio per chi si ritiene più vicino a Gesù, a capo della comunità cristiana.

Di Giuda Iscariota si parla solo nei 4 vangeli e negli Atti, che sono comunque il seguito del vangelo di Luca. Nel resto del Nuovo Testamento non si accenna mai a questo membro del gruppo dei dodici, i più vicini a Gesù. Eppure questo gruppo è conosciuto, perché ne parla Paolo in 1 Cor 15 e l’autore dell’ Apocalisse. Mai, tuttavia, si accenna al fatto che uno dei dodici abbia tradito Gesù o abbandonato il gruppo, mentre Paolo stesso, quando si tratta di criticare altri apostoli, non si tira indietro, come fa con Pietro in Gal 2. Il sospetto che è venuto a più di qualche studioso è che il Giuda dei vangeli sia una finzione letteraria per dare un insegnamento in forma narrativa, come è tipico del linguaggio biblico. Sappiamo ormai che il racconto della Passione non è una cronaca degli avvenimenti, ma una riflessione, a partire dalla Scrittura, sul significato della morte di Gesù vista, nella fede, non come l’esito dell’opposizione di alcuni poteri coalizzati, ma come compimento di un disegno divino per sconfiggere il peccato, come ci insegna anche Paolo nelle sue lettere. Quelli che storicamente sono stati i nemici di Gesù e della sua azione, nella riflessione di fede sono diventati strumenti inconsapevoli del disegno di Dio, un disegno d’amore, anche se espresso con il linguaggio crudo della cultura antica a cui appartiene anche il nostro Nuovo Testamento. Ogni momento della Passione diventa così compimento di un passo della Scrittura per dire che Dio ha tutto sotto controllo; anzi, lo ha addirittura preannunciato attraverso i profeti. Il nostro Giuda adempie il Salmo 41,10: “Anche l’amico in cui confidavo, che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede”.

Perché l’evangelista Marco (14,18), seguito poi dagli altri che hanno amplificato la descrizione negativa di Giuda, ha messo uno dei dodici in una luce così negativa? Il vangelo è stato scritto molti anni dopo (anche dopo la morte di Paolo che ancora parlava di un gruppo dei dodici compatto), e forse effettivamente c’è stata una fuoriuscita dal gruppo dei dodici di qualcuno che non ha resistito di fronte alle pressioni dell’ambiente, se pensiamo a tutti quelli che erano già morti martiri. Il senso del racconto, tuttavia, non è quello di far emergere la pecora nera nel gruppo di Gesù, quanto piuttosto quello di mettere in guardia chi leggeva il vangelo e magari apparteneva al gruppo dirigente della comunità, dall’usare quel ruolo per pretendere onori o benefici, magari sfruttando la fede dei semplici.

Il messaggio del vangelo è che non basta essere vicini a Gesù o presentarsi come tali, se poi si assumono atteggiamenti che sono veri e propri tradimenti, come se si contribuisse a mettere ancora a morte Gesù, passando dalla parte di coloro che lo odiavano. Il tutto perché si mette al primo posto il denaro (Mc 14,10-11), il tornaconto che deriva dal ruolo che si ricopre invece della disponibilità a servire coloro che ci sono affidati. La figura di Giuda nei vangeli costituisce un insegnamento per chi ricopre ruoli di responsabilità, sia nella chiesa che nella società. La sua presenza è un’operazione di demitizzazione dei ruoli di potere, in una società che nell’assunzione di una carica vedeva il segno della benedizione divina, per cui chi vi accedeva diventava intoccabile perché sotto la protezione degli dei (salvo poi essere abbattuto da chi si attribuiva la protezione divina a sua volta). L’evangelista si rivolge a delle comunità in cui non mancavano lotte per acquisire ruoli di governo, come ci attesta Paolo nelle sue lettere; ruoli che garantivano onore e benefici anche materiali, visto che si amministravano i beni dei membri della comunità e spesso non per il bene comune. Certo erano lotte tra poveri, visto che le prime comunità non appartenevano alla parte ricca della società (tranne alcune eccezioni), tuttavia man mano che il cristianesimo è diventato religione potente e dei potenti, la lotta per quei ruoli è continuata producendo sempre più danni alla credibilità del vangelo.

La figura di Giuda sta lì a ricordare a chi vuole governare che non basta né l’investitura dall’alto né l’approvazione dal basso per rendere immuni dal giocare sporco; ma ricorda anche a chi sottostà a dei governi, siano essi religiosi o civili, di non accogliere passivamente le cose che ci vengono propinate con le parole, bensì di verificare nei fatti l’onestà di chi è a nostro servizio per la tutela del bene comune. ☺

 

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