Gli ultimi del mondo
7 Novembre 2019
laFonteTV (3152 articles)
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Gli ultimi del mondo

Abbiamo letto praticamente tutto, nel corso delle scorse settimane, riguardo le angherie subìte dal popolo curdo a causa di un non meglio specificato ed ennesimo rigurgito violento del Sultano di Ankara, Recep Tayyip Erdogan. Non ci arroghiamo, in questa sede, capacità di discernimento del fenomeno geopolitico a cavallo tra Siria e Turchia, con in mezzo il cuscinetto Rojava, o men che meno azzardiamo previsioni circa le evoluzioni dell’attacco di Ankara verso quella regione. Per questo genere di analisi abbiamo lasciato parlare i protagonisti, coloro i quali conoscono bene determinate dinamiche -in quanto curdi – e di conseguenza costretti a portare sulla propria pelle i segni della diaspora di un popolo, consumata in lunghi anni di guerre.

L’opportunità dell’incontro ci è stata offerta dalla manifestazione organizzata a Campobasso in piazza Prefettura lo scorso ottobre da Casa del Popolo a sostegno del Rojava, dove abbiamo potuto dialogare con Hikmet Aslan, rifugiato politico curdo e storico attivista, presidente dell’associazione Primo Marzo, che abbiamo incontrato già lo scorso anno durante una manifestazione a sostegno dello storico leader Abdullah Ocalan, vittima anch’esso della tirannia di Erdogan, costretto in un carcere di massima sicurezza in totale isolamento da ormai più di vent’anni.

Agli occhi di tutti noi, ed anche come emerso nel corso della manifestazione, questo attacco al popolo curdo, ed indirettamente alle minoranze armene costrette a riparare nel Rojava a seguito della politica persecutoria ed isolazionista realizzata da Erdogan ed i suoi militari, non è che un vero e proprio rastrellamento etnico, mistificato dall’ipocrisia di una missione di sicurezza e stabilizzazione dell’area al confine con la Siria.

“La realtà”, come ci spiega Hikmet, “è che il Rojava è fin troppo ben organizzato, è civile, un esempio di convivenza pacifica tra le minoranze, un vero crogiuolo di razze. Da noi la giustizia parte dal basso, dal popolo. In politica il mandato è imperativo e porta all’emarginazione sociale e contestuale revoca per l’eletto che non rispetta il mandato nei confronti degli elettori. Inoltre, aggiunge ancora Hikmet, il Kurdistan ha il ‘problema’ delle risorse di cui dispone: acqua, materie prime, petrolio, che ne fanno una preda su cui il governo centrale ha sempre avuto mire di conquista. Ed infine, è collocato geograficamente in un posto talmente strategico da creare più di un grattacapo al governo di Ankara”.

L’esperimento del Rojava, questa confederazione che con una forzatura geografica abbiamo paragonato al Kerala indiano – altro modello di sviluppo in un paese pieno di contraddizioni come l’ex colonia inglese – è evidentemente un elemento di disturbo soprattutto per chi come Erdogan non tollera e mai ha tollerato le minoranze etniche, un personaggio non nuovo a colpi di testa del genere, capace di vere e proprie ‘purghe’ in stile sovietico.

Le proteste di piazza Taksim ne furono un esempio, nell’anno 2013, quando per fermare la rivolta contro l’oscurantismo del Sultano, le squadre antisommossa impiegate dal governo si sono contraddistinte per un atteggiamento ai limiti della legalità, con uso massiccio di spray al peperoncino su persone inermi, lanci di gas lacrimogeno ad altezza d’uomo e l’aggiunta di urticanti all’acqua dei camion muniti di idranti. Inoltre, il blocco dei social media è ormai consuetudine in Turchia, onde limitare qualsiasi diffusione di notizie all’esterno e dall’esterno.

Altro abuso di potere di Erdogan avvenne in occasione del presunto colpo di stato, che il capo dell’Akp asserì orchestrato da Fethullah Gülen, suo principale nemico pubblico ed ora residente negli Stati Uniti. Erdogan utilizzò artatamente il finto golpe per ottenere invece l’estradizione dello stesso Gulen, peraltro mai avvenuta. Di recente infine, il teatrino delle elezioni amministrative per il rinnovo del sindaco di Istanbul, fatte ripetere dal governo per presunti brogli, anche questo un tentativo mal riuscito di mantenere il controllo sulla città che maggiormente guarda all’Europa al di là del Bosforo. La ripetizione delle elezioni si è infatti rivelata una sonora sconfitta per l’Akp. Tutto questo, – se è ancora poco per il leader di un paese che chiede di entrare in Europa,- scandito da una politica interna che ha gradualmente portato alla cancellazione delle più importanti riforme realizzate dall’indimenticato Ataturk, padre della Turchia moderna e che Erdogan ha radicalmente azzerato, riportando il paese in uno stato di prostrazione prossimo a quello del fu Impero Ottomano.

Erdogan ha fallito l’appuntamento con il progresso, volendo reincarnarsi quale moderno Saladino, che paradossalmente era curdo, per rinnovare i fasti dell’Impero della Sublime Porta, ma avendo come vero obiettivo distogliere l’attenzione da quel ‘confederalismo democratico’, rappresentato proprio dall’esempio del Rojava, autodeterminato, libero. “Una realtà – come ci ripete Hikmet – in cui democraticamente sono state poste le basi dell’istituzionalizzazione delle minoranze religiose, oggetto di scontro soprattutto in realtà dominate dall’ Islam. Nel Rojava la donna è stata rimessa al centro della vita e del momento democratico. Nel Rojava non esistono carceri, se non la condanna, come detto, dell’ emarginazione per chi delinque”.

Questo modello di vivere però, evidentemente non può essere accettato dal Sultano di Ankara, avvitato nel tessere invece rapporti internazionali che lo mettano al riparo da mancate forniture di armi e mezzi, un momento in cui purtroppo l’Italia è coinvolta in primis.

La manifestazione di Campobasso, conclusa ormai quando la sera era già calata su Piazza Prefettura, al di là del momento di riflessione e discussione che ha creato, è certamente riuscita nell’intento di scuotere le coscienze di chi era presente e ci induce altresì a lottare ogni giorno per le minoranze curde e per la liberazione di Ocalan. Che questo percorso, auspicabilmente, sia solo all’inizio.☺

 

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