glocalizzazione
1 Ottobre 2010 Share

glocalizzazione

 

La sinteticità è senza dubbio un pregio che va riconosciuto alla lingua inglese. Un vocabolo può sostituire spesso un’intera frase; ciò che in italiano esprimiamo con un numero eccessivo di parole può ridursi a breve enunciato. Gli anglosassoni sono in grado di manipolare la loro lingua adattandola all’evoluzione della società: l’esempio più evidente si è avuto con l’introduzione del computer: per descriverne le parti e le funzioni sono stati introdotti vocaboli nuovi oppure sono state adattate parole già in uso alle quali è stata data una “veste” nuova. Mouse [pronuncia: maus], ad esempio, per noi italiani non è altro che un comodo apparecchio che ci consente di lavorare con il nostro computer: non ci sfiora neanche il pensiero che il vocabolo che lo denomina in realtà indica un animale, a seconda dei gusti, simpatico o repellente, il “topo”.

Glocal, termine di recente conio, unisce due aggettivi inglesi (in assonanza con l’italiano), global (globale) e local (locale), fusi in un unico lemma glo-cal che conserva di ognuno solo una parte.“Glocale”: un neo-aggettivo che sottende sul piano semantico un’ampia riflessione teorica. Il vocabolo discende direttamente da “glocalizzazione”, versione aggiornata e “rivista” di quel fenomeno che ormai caratterizza la nostra contemporaneità.

I cambiamenti repentini cui la storia recente ci ha abituato hanno fatto sì che in breve tempo ciò che chiamavamo “globalizza- zione”, abbia subìto un’evoluzione al punto che molti esperti, in ambito sociologico, parlano attualmente di “glocalizzazione”.

Solo qualche anno fa R. Robertson asseriva che con la globalizzazione il mondo intero è ormai un solo luogo perché grazie alle scoperte tecnologiche, ma soprattutto all’espandersi del libero mercato, sono state abbattute le barriere tra gli stati per consentire una rapida circolazione di prodotti e di servizi. Non più confini invalicabili, soprattutto per le merci, ma facilità di accesso a strumenti di comunicazione da una parte all’altra del pianeta; collegamenti in rete per permettere scambi – sempre di prodotti – a dispetto di ogni vincolo doganale; possibilità di “esportare” un bene dappertutto, raggiungendo i potenziali clienti che lo possano consumare!

Negli ultimi decenni il “villaggio globale” che le generazioni del dopoguerra auspicavano è divenuto realtà. Le attività di produzione e gli scambi commerciali si svolgono ora a livello internazionale, si è creata un’ampia convergenza economica, sono cresciute le relazioni nei vari ambiti. Ma a quale prezzo? A discapito di un’equa distribuzione sia delle risorse che delle ricchezze!

Globalizzazione sì, ma con molte contraddizioni perché troppe nazioni restano ancora a livelli di povertà spaventosi e vedono negate le loro identità. Così risulterebbe dunque il mondo globalizzato? Piatto, uniforme, esposto al pericolo dell’omologazione, all’annientamento delle identità, delle culture, delle sensibilità peculiari di ogni paese?

Questi interrogativi hanno spinto verso l’evoluzione del sistema, che oggi prende il nome appunto di “glocalizzazione”: globale e locale, due realtà che non si contrappongono ma che invece rappresentano le due facce della stessa medaglia. Poiché nel corso della storia la comunità locale ha costituito la base di ogni società, appare impensabile un sistema ampio e complesso che prescinda dalla sua componente basilare. Perciò l’attenzione degli studiosi tende a coniugare le due realtà, quella locale e quella globale e planetaria.

L’aridità e la freddezza del mondo “globalizzato” hanno trascurato quella che era la vera ricchezza delle comunità locali: la comunicazione tra gli individui, lo scambio tra i gruppi, l’attenzione non tanto ai mezzi ma ai contenuti della comunicazione. Glocal equivale quindi a valorizzare ciò che ci appartiene non per conservarlo gelosamente ma per condividerlo, non per utilizzarlo come attacco verso altre culture bensì come patrimonio da mettere a disposizione in contesti più ampi.

Attenzione verso le culture, anche le più semplici e minoritarie, perché non siano oggetto di esclusione o, peggio, eliminazione; valorizzazione di ciò che esprimono le piccole realtà; rispetto per tutte le sensibilità. È questo il significato di g-local.☺

dario.carlone@tiscali.it

 

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