L’evento Expo 2015 – che ci piaccia o meno – ha creato un proprio lessico. A cominciare dal suo assetto architettonico, quelli che una volta si sarebbero chiamati comunemente “padi- glioni” oggi sono – come recitano i documenti ufficiali – “spazi espositivi innovativi che raccolgono e organizzano numerosi paesi all’interno di uno stesso progetto” ed hanno un nome inglese: cluster [pronuncia: claster].
Il significato del termine è generalmente “gruppo”: il sostantivo viene utilizzato prevalentemente in ambito scientifico e tecnico per indicare un insieme di elementi simili per composizione o per forma. La parola traduce anche l’italiano “grappolo”, che suggerisce inoltre l’idea di una correlazione tra le varie parti. Tragicamente nota la locuzione cluster bomb che designa un temibile ordigno bellico, la bomba a grappolo!
La scelta semantica di Expo è quella relativa all’ambito dell’architettura, dove il termine assume anche il significato di nucleo abitativo. Alla manifestazione milanese, che per molti si sta ponendo più come vetrina internazionale per le società multinazionali piuttosto che come piattaforma di proposte concrete per la vita del nostro pianeta, questa ripartizione dello spazio sembra porgersi come un invito al dialogo, all’interazione, alla condivisione: il cluster si sviluppa attorno ad un “tema centrale condiviso da tutti e rappresentativo di ciascuno”. Non più il singolo paese che fa mostra di sé in competizione o rivalità con gli altri, ma una rete che raccorda ciò che di comune esiste tra le nazioni del mondo.
Questi padiglioni collettivi vorrebbero trasmettere uno spirito nuovo nelle relazioni tra i paesi del mondo: spazi espositivi individuali e un’area comune in cui ogni singola nazione rappresentata nel cluster può mostrare il proprio modo di trattare il tema del padiglione ed offrire risorse alla collaborazione con le altre nazioni. Un esempio di questa innovativa organizzazione è il cluster del Bio-Mediterraneo, che ospita dieci paesi: il pavimento della zona comune riprende tutte le sfumature del colore del mare e l’elemento caratterizzante sono i prodotti e le colture di grano, olio e vino che accomunano tutti i paesi del bacino.
Paradossalmente, e forse soltanto nelle intenzioni di chi ha progettato l’impianto della manifestazione Expo, ci viene offerta una chiave diversa per leggere la realtà del nostro pianeta. Le individualità, le singole identità non spariscono ma si pongono in evidenza attraverso il contatto, la vicinanza con altre identità, accomunate dall’ appartenenza ad una “casa comune” – come è stato recentemente denominato il pianeta.
Appartenere ad un “grappolo” significa essere uniti, essere e sentirsi parte, non esclusi o allontanati: come stridono queste considerazioni con le immagini di tanti, uomini e donne, ammassati nelle stazioni delle nostre città, o abbarbicati sugli scogli sferzati dalle onde nella zona di confine tra il nostro paese e l’Europa! La loro è semplicemente la richiesta di esistere, di essere legati ai raspi del grande cluster mondiale.
Cosa resta dei grappoli i cui acini vengono strappati dai raspi?☺
L’evento Expo 2015 – che ci piaccia o meno – ha creato un proprio lessico. A cominciare dal suo assetto architettonico, quelli che una volta si sarebbero chiamati comunemente “padi- glioni” oggi sono – come recitano i documenti ufficiali – “spazi espositivi innovativi che raccolgono e organizzano numerosi paesi all’interno di uno stesso progetto” ed hanno un nome inglese: cluster [pronuncia: claster].
Il significato del termine è generalmente “gruppo”: il sostantivo viene utilizzato prevalentemente in ambito scientifico e tecnico per indicare un insieme di elementi simili per composizione o per forma. La parola traduce anche l’italiano “grappolo”, che suggerisce inoltre l’idea di una correlazione tra le varie parti. Tragicamente nota la locuzione cluster bomb che designa un temibile ordigno bellico, la bomba a grappolo!
La scelta semantica di Expo è quella relativa all’ambito dell’architettura, dove il termine assume anche il significato di nucleo abitativo. Alla manifestazione milanese, che per molti si sta ponendo più come vetrina internazionale per le società multinazionali piuttosto che come piattaforma di proposte concrete per la vita del nostro pianeta, questa ripartizione dello spazio sembra porgersi come un invito al dialogo, all’interazione, alla condivisione: il cluster si sviluppa attorno ad un “tema centrale condiviso da tutti e rappresentativo di ciascuno”. Non più il singolo paese che fa mostra di sé in competizione o rivalità con gli altri, ma una rete che raccorda ciò che di comune esiste tra le nazioni del mondo.
Questi padiglioni collettivi vorrebbero trasmettere uno spirito nuovo nelle relazioni tra i paesi del mondo: spazi espositivi individuali e un’area comune in cui ogni singola nazione rappresentata nel cluster può mostrare il proprio modo di trattare il tema del padiglione ed offrire risorse alla collaborazione con le altre nazioni. Un esempio di questa innovativa organizzazione è il cluster del Bio-Mediterraneo, che ospita dieci paesi: il pavimento della zona comune riprende tutte le sfumature del colore del mare e l’elemento caratterizzante sono i prodotti e le colture di grano, olio e vino che accomunano tutti i paesi del bacino.
Paradossalmente, e forse soltanto nelle intenzioni di chi ha progettato l’impianto della manifestazione Expo, ci viene offerta una chiave diversa per leggere la realtà del nostro pianeta. Le individualità, le singole identità non spariscono ma si pongono in evidenza attraverso il contatto, la vicinanza con altre identità, accomunate dall’ appartenenza ad una “casa comune” – come è stato recentemente denominato il pianeta.
Appartenere ad un “grappolo” significa essere uniti, essere e sentirsi parte, non esclusi o allontanati: come stridono queste considerazioni con le immagini di tanti, uomini e donne, ammassati nelle stazioni delle nostre città, o abbarbicati sugli scogli sferzati dalle onde nella zona di confine tra il nostro paese e l’Europa! La loro è semplicemente la richiesta di esistere, di essere legati ai raspi del grande cluster mondiale.
Cosa resta dei grappoli i cui acini vengono strappati dai raspi?☺
L'evento Expo 2015 - che ci piaccia o meno - ha creato un proprio lessico. A cominciare dal suo assetto architettonico.
L’evento Expo 2015 – che ci piaccia o meno – ha creato un proprio lessico. A cominciare dal suo assetto architettonico, quelli che una volta si sarebbero chiamati comunemente “padi- glioni” oggi sono – come recitano i documenti ufficiali – “spazi espositivi innovativi che raccolgono e organizzano numerosi paesi all’interno di uno stesso progetto” ed hanno un nome inglese: cluster [pronuncia: claster].
Il significato del termine è generalmente “gruppo”: il sostantivo viene utilizzato prevalentemente in ambito scientifico e tecnico per indicare un insieme di elementi simili per composizione o per forma. La parola traduce anche l’italiano “grappolo”, che suggerisce inoltre l’idea di una correlazione tra le varie parti. Tragicamente nota la locuzione cluster bomb che designa un temibile ordigno bellico, la bomba a grappolo!
La scelta semantica di Expo è quella relativa all’ambito dell’architettura, dove il termine assume anche il significato di nucleo abitativo. Alla manifestazione milanese, che per molti si sta ponendo più come vetrina internazionale per le società multinazionali piuttosto che come piattaforma di proposte concrete per la vita del nostro pianeta, questa ripartizione dello spazio sembra porgersi come un invito al dialogo, all’interazione, alla condivisione: il cluster si sviluppa attorno ad un “tema centrale condiviso da tutti e rappresentativo di ciascuno”. Non più il singolo paese che fa mostra di sé in competizione o rivalità con gli altri, ma una rete che raccorda ciò che di comune esiste tra le nazioni del mondo.
Questi padiglioni collettivi vorrebbero trasmettere uno spirito nuovo nelle relazioni tra i paesi del mondo: spazi espositivi individuali e un’area comune in cui ogni singola nazione rappresentata nel cluster può mostrare il proprio modo di trattare il tema del padiglione ed offrire risorse alla collaborazione con le altre nazioni. Un esempio di questa innovativa organizzazione è il cluster del Bio-Mediterraneo, che ospita dieci paesi: il pavimento della zona comune riprende tutte le sfumature del colore del mare e l’elemento caratterizzante sono i prodotti e le colture di grano, olio e vino che accomunano tutti i paesi del bacino.
Paradossalmente, e forse soltanto nelle intenzioni di chi ha progettato l’impianto della manifestazione Expo, ci viene offerta una chiave diversa per leggere la realtà del nostro pianeta. Le individualità, le singole identità non spariscono ma si pongono in evidenza attraverso il contatto, la vicinanza con altre identità, accomunate dall’ appartenenza ad una “casa comune” – come è stato recentemente denominato il pianeta.
Appartenere ad un “grappolo” significa essere uniti, essere e sentirsi parte, non esclusi o allontanati: come stridono queste considerazioni con le immagini di tanti, uomini e donne, ammassati nelle stazioni delle nostre città, o abbarbicati sugli scogli sferzati dalle onde nella zona di confine tra il nostro paese e l’Europa! La loro è semplicemente la richiesta di esistere, di essere legati ai raspi del grande cluster mondiale.
Cosa resta dei grappoli i cui acini vengono strappati dai raspi?☺
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