Guerra di posizione
18 Febbraio 2020
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Guerra di posizione

Nell’abbazia di San Pastore nel reatino il Partito Democratico ha tenuto il suo incontro sul futuro del partito e della politica italiana. Nelle stesse ore l’ISTAT dava due dati di grande significato: 5,4 milioni dei nostri pensionati, ovvero il 34% del totale sono sotto i mille euro; 7 milioni e 400 mila sono le famiglie che senza le pensioni dei nonni starebbero sotto la soglia di povertà. Infine per il 22% delle famiglie le pensioni degli anziani sono l’unico reddito. Se dovessimo fare una istantanea sul resto dell’Italia, dal mercato del lavoro alla condizione giovanile, dal funzionamento della nostra macchina burocratica al cancro maligno della delinquenza verrebbe fuori la stessa musica. È ovvio che una storia sociale culturale così straordinaria come quella italiana trattiene dentro di sé nuclei di eccellenza, riserve di genialità, ma queste “riserve della repubblica” non possono essere un alibi per chiudere gli occhi sull’insieme di questa nostra Italia. Un paese per grandissima parte povero, dove in pochi hanno continuato ad arricchirsi; un paese rabbioso con la politica, con le istituzioni e con il proprio vicino di casa; un paese nel quale tutti i fattori di coesione sociale, dalla religione alla famiglia, dalla comunità alla cultura del lavoro sono come evaporati. Questo paese con le sue grandi tribolazioni non è entrato, e per ragioni che vengono da lontano, nel conclave del Partito Democratico. Questo mondo di esclusi non ha alcuna empatia con la discussione voluta dal segretario Zingaretti. Qualche decennio fa, quando Enrico Berlinguer chiudeva le feste dell’Unità le sue parole venivano studiate, analizzate non solo dai giornalisti, ma dalle decine e decine di migliaia di militanti comunisti, dall’esercito del sindacato, da una galassia di associazioni e di organizzazioni sociali e giù per li rami sino ad arrivare al popolo. Si dirà altra epoca! Ma proprio questo è il problema esploso nella nostra società e che rischia di trascinarci in un buco nero senza fine. Passatista non è chi ricorda i decenni del dopoguerra come il periodo aureo della politica e della democrazia, passatista è chi pensa di tornare al pensiero “dell’uomo qualunque”, ad una democrazia senza soggetti democraticamente organizzata e senza corpi intermedi .

È uscito in queste settimane nelle sale cinematografiche Hammamet, il film di Gianni Amelio  che parla degli ultimi mesi  della vita di Bettino Craxi. Potrebbe apparire singolare il fatto che molti della vecchia guardia della sinistra ne abbiano parlato bene. Sono gli stessi che nel periodo di Craxi furono i più fieri avversari delle politiche craxiane, gli stessi che hanno contrastato i missili nucleari a Comiso, l’intervento sulla scala mobile, i progetti di modifica costituzionale, il duro anticomunismo, ecc. La ragione di questa benevolenza verso il nemico di una volta è semplice. Ancora negli anni ‘80, nel massimo dello splendore politico della breve era craxiana, la società italiana non era indifferente e la politica era ancora il luogo dei conflitti e della mediazione, la politica era ancora un’arma possibile nelle mani delle classi sociali subalterne e i penultimi della società non odiavano gli ultimi. Certo la mala pianta della corruzione in quegli anni si era diffusa nel campo della sinistra e il debito pubblico si era moltiplicato finanziando i mille rivoli del clientelismo elettorale e i forzieri dei partiti. Pur tuttavia in molti ci ripetevamo la famosa frase: “eppure si muove”. Ora tutte le porte ci sembrano chiuse e nella notte buia tutte le vacche paiono grigie. Dal conclave del PD nell’abbazia di San Pastore ci viene riproposta la minestra che abbiamo conosciuto già alla fine degli anni ‘80: aprirsi al nuovo, aprirsi alla società civile in movimento, reclutare sardine e sindaci. Sinistra Italiana, con più fantasia, ma con lo stesso stile, si sta preparando al congresso di Marzo con un questionario che dovrebbe risolvere i problemi più spinosi in seno al gruppo dirigente. Comunque la si giri, a sinistra si è ormai imposto un luogo comune: sfuggire ad ogni responsabilità di direzione politica, trasformare il partito in un galleggiante che si lascia portare a destra o a sinistra da corporazioni sociali e movimenti. Non chiedo di tornare al Che fare? di Lenin, ma di ripensare alla straordinaria e moderna elaborazione di Gramsci. Egemonia, società civile, guerra di posizione, intellettuale collettivo sono concetti fondamentali di un pensiero politico che ancora tanto può dare. Per Gramsci il potere si fonda sul consenso e sull’egemonia prima ancora che sulla forza; la società civile è il luogo elettivo dove la soggettività critica, lotta per conquistare l’egemonia; la guerra di posizione è la lunga marcia per cambiare società e istituzioni. Infine il partito come intellettuale collettivo, utile a ridurre il confine fra governati e governanti e a promuovere la riforma morale e intellettuale della società. Tutt’altra musica, dal conclave del PD nell’abbazia di San Pastore e dagli involuti movimenti della sinistra radicale.☺

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