Ho sorpreso l’alba
6 Luglio 2016
La Fonte (351 articles)
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Ho sorpreso l’alba

L’ora più bella è quella dell’alba, quando tenebre e luce non sono ancora nette e il silenzio sembra quello primordiale dei giorni della creazione quando solo lo Spirito aleggiava sulle acque.

Oggi, alzandomi molto presto, ho sorpreso l’alba alla finestra. Il cielo notturno era inondato da tinte belle da stordire: strisce gialle sfilacciate, striature viola dagli orli dorati, stralci di porpora e carminio; colori che si muovevano, mutavano rapidamente, brillavano a volte più intensamente, a volte meno, mentre lasciavano andare gli ultimi lembi di buio e inzuppavano di luce alberi e tetti.

Avrei voluto fermare il momento, raccogliere quel luccichio di sole nascente e portarmi il cielo in una stanza per prenderne frammenti nei giorni di pioggia quando il grigio delle nuvole incomberà sulla mia anima. Questo è il bello dell’alba: osservare l’oscurità che si dissolve e i colori che nascono spargendo luminosità sulle ore e accendendo pensieri nuovi mentre il giorno si sgomitola e inazzurra il cielo.

La visione che oggi mi si è parata davanti non era quella sublime e terrificante di un’ aurora boreale, bensì di un’alba nel suo splendore feriale, un’alba come ne abbiamo viste tante. Ma le abbiamo veramente guardate e godute o le abbiamo ignorate?

Sfioriamo ogni giorno la bellezza che è intorno e dentro di noi, che ci avvolge e ci coinvolge, però nel nostro correre continuo, nella nostra indifferenza e abitudine che dà tutto per dovuto e scontato, abbiamo perso la preziosità della quotidianità, la percezione della “musica” delle cose, la sonorità, la melodia, il colore emotivo insiti nelle situazioni, nelle persone, nei giorni, nelle stagioni. Il mondo non manca di meraviglie ma di meraviglia.

È la capacità dello stupore che dobbiamo recuperare: lasciarci parlare da un fragile fiore spuntato da una crepa sull’ asfalto che sopravvive al viavai dei passi tenendosi stretto al filo di terriccio che gli resta, accorgerci di una spiga di orzo selvatico, frugale e baldanzosa nella sua semplicità, rallegrarci del rosso di papaveri resilienti ai bordi polverosi delle strade, alitare su un soffione per guardare le piccole spore fluttuare nel vento e scendere con garbo sulla terra, contemplare, su un filo d’erba, una goccia di rugiada che imprigiona tutto il sole e brilla come un diamante, provare tenerezza per una chiocciola che sotto un violento acquazzone, lenta e imperturbabile attraversa la via…

“ Ma dove corri, dove vai?” recita una canzone di E. Bennato.

È la fretta il nemico da sconfiggere per poter ascoltare le parole mute che l’universo ogni momento ci rivolge, per riappropriarci di noi stessi e della nostra umanità.

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