I fagioli e la pazienza
31 Marzo 2015 Share

I fagioli e la pazienza

Avevo promesso a degli amici di cucinare un piatto tipico dell’America Latina: i fagioli neri. Sono passati quasi 20 anni dall’ultima volta che li ho preparati e mi stupisce il fatto che hanno bisogno di quasi due ore per essere pronti. Anche se sono stati a mollo per una notte… Siccome li devo rimescolare ogni tanto, ho molto tempo per ricordare le circostanze nelle quali ho mangiato questo piatto. Ho conosciuto i fagioli neri a Berlino, quando lavoravo all’ Ambasciata cubana. I diplomatici cubani li portavano da Berlino Ovest, perche a Berlino Est non si trovavano. Qualche anno dopo li ho mangiati a Cuba, in Nicaragua, in Brasile, a Città del Messico. Guardo i fagioli nella mia pentola e ricordo il gusto che avevano in tutti quei posti, ricordo i pezzi di carne o di salciccia che, mescolati con cipolla fritta, davano quel sapore speciale. E, di pronto, ricordo un altro piatto di fagioli neri, senza carne, senza salciccia e senza sale. Ricordo quel piatto e mi viene in mente, dopo quasi 40 anni, il nome del paesino dove mi hanno servito questi fagioli.

È l’anno 1977. Ci troviamo in Messico, nella regione del Chiapas, non molto lontano dal confine con il Guatemala. Assieme a mia sorella accompagno Erwin, il rappresentante di un piccolo partito di sinistra, il Partito dei Lavoratori, in un viaggio a Majocik, un minuscolo paese abitato da indiani Tzeltales. Erwin mi ha chiesto di parlare agli abitanti di Majocik, della riforma agraria realizzata nella Repubblica Democratica Tedesca dopo la seconda guerra mondiale.

È difficile arrivare a Majocik, “il posto dove si posano gli uccelli“. Dobbiamo parcheggiare la macchina lungo la strada e continuare a piedi. Dobbiamo attraversare quattro vallate e tre monti ed arriviamo a Majocik dopo cinque ore. Majocik non è proprio un paese, ma un paraje, un’agglomerato di venti capanne, circondate da piante di caffè e di banane.

Il nostro anfitrione Santiago ci invita nella sua capanna e ci fa servire, da sua moglie, quel famoso piatto di fagioli neri, accompagnati da una specie di polenta mescolata con calce che rimane incollata al palato. Santiago si scusa per il fatto che i fagioli non sono salati, perchè il sale fa parte, insieme con lo zucchero ed il petrolio per le lampade, delle cose che gli indiani di Majocik devono comprare in città, e non sempre hanno i soldi necessari. Santiago sa che né noi né Erwin possiamo bere l’acqua di Majocik, ed i suoi due figli vanno al posto di vendita più vicino per portarci qualche bibita. I ragazzi ritornano dopo tre ore e ci portano… tre bottiglie di Coca Cola! Intorno a Majocik non ci sono strade, nelle capanne non c’è la luce elettrica, per i bambini del paese non ci sono scuole e per andare da un medico occorrono almeno tre ore, ma la Coca Cola ha conquistato questo angolo perso del Messico!

Mentre noi cerchiamo di ingoiare il pasto, Santiago ci parla della vita degli Tzeltales. I soldi che occorrono per comprare il sale li guadagnano con la vendita di uova e del caffè. Il caffè lo devono vendere ai “coyotes”, intermediari bianchi residenti nella capitale del Chiapas. Questi intermediari pagano per 60 chilogrammi di caffè duemila Pesos e lo vendono ad un prezzo tre volte più alto. Erwin cerca, da anni, di convincere i Tzeltales a formare una cooperativa per la raccolta, di mettere insieme i soldi per comprare un furgone e di vendere il caffè direttamente nella capitale Tuxtla. Ma Erwin ancora non è riuscito a convincere gli indiani. Loro hanno bisogno dei soldi subito, non possono aspettare finché il prezzo del caffè sale sul mercato. E cosi saranno sfruttati dai “coyotes” per chi sa quanto tempo ancora.

Nella notte, prima di dormire su un mucchio di granturco, parliamo di quello che ci ha stupito di più durante la conversazione con Santiago. Non solo a Majocik, ma quasi in tutti i posti del Messico che abbiamo visitato in questi due mesi, abbiamo notato questa pazienza infinita che ci fa arrabbiare. Quasi 70 anni sono passati dalla rivoluzione messicana del 1910, e niente, proprio niente è cambiato nella vita della popolazione dell’agro messicano.

Ho l’impressione che anche Santiago e gli Tzeltales sentano questa rabbia, ma ancora non hanno trovato il modo di esprimerla in una forma organizzata, e così, milioni di indiani in America Centrale sopportano gli abusi dei latifondisti, dell’esercito e dei politici corrotti.

Non potevamo prevedere, nell’autunno del 1977, che il 1 gennaio 1994 sarebbe nato, proprio nello stato messicano del Chiapas, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, un movimento no-global e anti-capitalista che fa capo al “sub-comandante Marcos”. Non potevamo prevedere che anche la pazienza non sarebbe stata infinita…

Prima di salare i miei fagioli neri e prima di mescolarli con la salciccia e la cipolla, me ne metto in bocca un cucchiaio e prima di ingoiarli li accarezzo con la lingua ed il palato, ricordando i due figli di Santiago che, forse, nel frattempo non solo sono diventati uomini, ma anche uomini impazienti che combattono per la causa degli indiani. E penso che, se in Messico la pazienza ha avuto un limite, lo stesso potrebbe succedere nei nostri paesi europei.☺

 

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