La contabilità pubblica è stata definita come: “La scienza di fatti collettivi che trascendono l’organizzazione dello stato-ente per ricomprendervi tutti quelli che attengono al complesso della finanza pubblica” (Barettoni Arleri); “Il complesso delle norme che disciplinano l’attività gestoria dei pubblici poteri, comprendente l’organizzazione finanziaria – contabile, la gestione patrimoniale, l’attività contrattuale, la gestione del bilancio, il sistema dei controlli e le responsabilità degli amministratori della cosa pubblica” (Bennati). Giuristi, economisti, ragionieri, politici e molti altri sono stati sempre impegnati nel cercare la definizione giusta.
Da sempre, però, qualcuno ha cercato di rendere difficile una cosa facile. Mia madre, che faceva la serva, barattava il pesce pescato da mio padre, che faceva il pescatore. Il ricavato erano, a seconda delle circostanze, dei beni di consumo o del denaro. Quando mi mandava a comprare il pane, pesava sempre il pane ricevuto. Se avevo comprato “un chilo” (kg) e il pane pesava 900 grammi, mi rimandava al forno con la frase: “Je’ so paghate nü cuel’e d’ pane, fatt’ a ridè la jante!”. La frase dialettale, fatta venia per gli errori di lingua dialettale, significa: “io ho pagato un kg di pane, fatti dare quello che manca!”. In molti la conoscevano e appena mi vedevano, si chiedevano prima “cussuì chi jè?” (e questo chi è?) e alla risposta “jè lu fijje di la Scjrrate!” (è il figlio di Scompigliata. Così soprannominata per via dei suoi capelli ricci che portava spesso scomposti), senza aggiungere altro pesavano di nuovo il pane ed aggiungevano subito il pezzo di pane per fare un chilo. Scusandomi per l’ardito parallelo: “Il fornaio”, detentore di un potere, non voleva avere a che fare con una serva (grande! Mamma) “Scjrrate”, che esprimeva una rivendicazione scomposta dal basso; allo stesso modo, il liberale E. Kant non voleva avere a che fare con le masse, che chiamava “la folla selvaggia” (1798 / Antropologia pragmatica), perché, semplificando, i diritti del cittadino non determinano un dovere del Monarca. La contabilità pubblica, pertanto, chiedendo perdono per l’azzardo, la definirei: “buona amministrazione che rispetta le leggi, evitando disuguaglianze, clientele e profitti impropri”. Sicuramente una definizione riduttiva e da “servo”, ma analizziamo la metafora.
1. Mia madre lavorava per la necessità / finalità di garantire un cibo al figlio.
2. Ella controllava rigorosamente la corrispondenza tra costo sostenuto e prodotto ricevuto.
3. Rivendicava il diritto del bene acquistato.
4. Si indignava (“la scjrrate”) nel caso non le venisse restituito il pattuito e che qualcuno potesse trarre un indebito guadagno sul suo denaro.
5. Non chiedeva sconti o favori, pretendeva il rispetto del barattato, abituata com’era, a dare valore allo scambio necessario (contratto) che le garantisse il fine.
Tutta la storia che ci precede, racconta di schiavi ed imperi, servi e padroni, imperialismi e dittature, cittadini e stato e, per fortuna, di altro. È vero, superare le ideologie significa andare oltre le categorie utilizzate ieri, ma certo non significa dedurre che oggi siamo tutti uguali; né si può dedurre che le relazioni tra i soggetti dell’agire umano, soprattutto quelle economiche, possano essere relegate in ambiti scientifici sottratti alle ragioni di chi esprime un altro punto di vista. Non ricordo dove l’ho letto, ma durante la preparazione di un esame, mi colpì una domanda riportata sul testo e rivolta ad uno storico: “Che cosa ha prodotto il fascismo in Italia?”. La risposta fu: “Cinquanta milioni di antifascisti!” A me, lettore disincantato, fece e fa riflettere.
La società di ieri e quella di oggi procede per acquisizioni di conoscenze e competenze che determinano un potere di fatto. Nel momento in cui, io sottraessi la scienza alle mie ragioni e la rendessi succube di un potere astratto e comunque di un altro, io (!) sto alienando le mie ragioni, sto mettendomi a servizio (servo) e, soprattutto, sto rinunciando alla mia possibilità di indignazione. Cioè, ho effettuato un’alienazione. Il baratto convenuto, diventa funzionale non al mio fine, ma a quello di quell’altro indefinito, che dopo, solo dopo il danno da questi prodotto, io (!) non ho neanche la vergogna di disconoscerlo, pur essendone stato strumento e corresponsabile. Gli esempi sarebbero infiniti: dallo sterminio di Ebrei, dei neri, degli indiani d’America, dei diversi, a quelli delle opposizioni e fino alle attuali crisi delle banche, in particolare di quelle americane, per ora! ☺
polsmile@tin.it
La contabilità pubblica è stata definita come: “La scienza di fatti collettivi che trascendono l’organizzazione dello stato-ente per ricomprendervi tutti quelli che attengono al complesso della finanza pubblica” (Barettoni Arleri); “Il complesso delle norme che disciplinano l’attività gestoria dei pubblici poteri, comprendente l’organizzazione finanziaria – contabile, la gestione patrimoniale, l’attività contrattuale, la gestione del bilancio, il sistema dei controlli e le responsabilità degli amministratori della cosa pubblica” (Bennati). Giuristi, economisti, ragionieri, politici e molti altri sono stati sempre impegnati nel cercare la definizione giusta.
Da sempre, però, qualcuno ha cercato di rendere difficile una cosa facile. Mia madre, che faceva la serva, barattava il pesce pescato da mio padre, che faceva il pescatore. Il ricavato erano, a seconda delle circostanze, dei beni di consumo o del denaro. Quando mi mandava a comprare il pane, pesava sempre il pane ricevuto. Se avevo comprato “un chilo” (kg) e il pane pesava 900 grammi, mi rimandava al forno con la frase: “Je’ so paghate nü cuel’e d’ pane, fatt’ a ridè la jante!”. La frase dialettale, fatta venia per gli errori di lingua dialettale, significa: “io ho pagato un kg di pane, fatti dare quello che manca!”. In molti la conoscevano e appena mi vedevano, si chiedevano prima “cussuì chi jè?” (e questo chi è?) e alla risposta “jè lu fijje di la Scjrrate!” (è il figlio di Scompigliata. Così soprannominata per via dei suoi capelli ricci che portava spesso scomposti), senza aggiungere altro pesavano di nuovo il pane ed aggiungevano subito il pezzo di pane per fare un chilo. Scusandomi per l’ardito parallelo: “Il fornaio”, detentore di un potere, non voleva avere a che fare con una serva (grande! Mamma) “Scjrrate”, che esprimeva una rivendicazione scomposta dal basso; allo stesso modo, il liberale E. Kant non voleva avere a che fare con le masse, che chiamava “la folla selvaggia” (1798 / Antropologia pragmatica), perché, semplificando, i diritti del cittadino non determinano un dovere del Monarca. La contabilità pubblica, pertanto, chiedendo perdono per l’azzardo, la definirei: “buona amministrazione che rispetta le leggi, evitando disuguaglianze, clientele e profitti impropri”. Sicuramente una definizione riduttiva e da “servo”, ma analizziamo la metafora.
1. Mia madre lavorava per la necessità / finalità di garantire un cibo al figlio.
2. Ella controllava rigorosamente la corrispondenza tra costo sostenuto e prodotto ricevuto.
3. Rivendicava il diritto del bene acquistato.
4. Si indignava (“la scjrrate”) nel caso non le venisse restituito il pattuito e che qualcuno potesse trarre un indebito guadagno sul suo denaro.
5. Non chiedeva sconti o favori, pretendeva il rispetto del barattato, abituata com’era, a dare valore allo scambio necessario (contratto) che le garantisse il fine.
Tutta la storia che ci precede, racconta di schiavi ed imperi, servi e padroni, imperialismi e dittature, cittadini e stato e, per fortuna, di altro. È vero, superare le ideologie significa andare oltre le categorie utilizzate ieri, ma certo non significa dedurre che oggi siamo tutti uguali; né si può dedurre che le relazioni tra i soggetti dell’agire umano, soprattutto quelle economiche, possano essere relegate in ambiti scientifici sottratti alle ragioni di chi esprime un altro punto di vista. Non ricordo dove l’ho letto, ma durante la preparazione di un esame, mi colpì una domanda riportata sul testo e rivolta ad uno storico: “Che cosa ha prodotto il fascismo in Italia?”. La risposta fu: “Cinquanta milioni di antifascisti!” A me, lettore disincantato, fece e fa riflettere.
La società di ieri e quella di oggi procede per acquisizioni di conoscenze e competenze che determinano un potere di fatto. Nel momento in cui, io sottraessi la scienza alle mie ragioni e la rendessi succube di un potere astratto e comunque di un altro, io (!) sto alienando le mie ragioni, sto mettendomi a servizio (servo) e, soprattutto, sto rinunciando alla mia possibilità di indignazione. Cioè, ho effettuato un’alienazione. Il baratto convenuto, diventa funzionale non al mio fine, ma a quello di quell’altro indefinito, che dopo, solo dopo il danno da questi prodotto, io (!) non ho neanche la vergogna di disconoscerlo, pur essendone stato strumento e corresponsabile. Gli esempi sarebbero infiniti: dallo sterminio di Ebrei, dei neri, degli indiani d’America, dei diversi, a quelli delle opposizioni e fino alle attuali crisi delle banche, in particolare di quelle americane, per ora! ☺
La contabilità pubblica è stata definita come: “La scienza di fatti collettivi che trascendono l’organizzazione dello stato-ente per ricomprendervi tutti quelli che attengono al complesso della finanza pubblica” (Barettoni Arleri); “Il complesso delle norme che disciplinano l’attività gestoria dei pubblici poteri, comprendente l’organizzazione finanziaria – contabile, la gestione patrimoniale, l’attività contrattuale, la gestione del bilancio, il sistema dei controlli e le responsabilità degli amministratori della cosa pubblica” (Bennati). Giuristi, economisti, ragionieri, politici e molti altri sono stati sempre impegnati nel cercare la definizione giusta.
Da sempre, però, qualcuno ha cercato di rendere difficile una cosa facile. Mia madre, che faceva la serva, barattava il pesce pescato da mio padre, che faceva il pescatore. Il ricavato erano, a seconda delle circostanze, dei beni di consumo o del denaro. Quando mi mandava a comprare il pane, pesava sempre il pane ricevuto. Se avevo comprato “un chilo” (kg) e il pane pesava 900 grammi, mi rimandava al forno con la frase: “Je’ so paghate nü cuel’e d’ pane, fatt’ a ridè la jante!”. La frase dialettale, fatta venia per gli errori di lingua dialettale, significa: “io ho pagato un kg di pane, fatti dare quello che manca!”. In molti la conoscevano e appena mi vedevano, si chiedevano prima “cussuì chi jè?” (e questo chi è?) e alla risposta “jè lu fijje di la Scjrrate!” (è il figlio di Scompigliata. Così soprannominata per via dei suoi capelli ricci che portava spesso scomposti), senza aggiungere altro pesavano di nuovo il pane ed aggiungevano subito il pezzo di pane per fare un chilo. Scusandomi per l’ardito parallelo: “Il fornaio”, detentore di un potere, non voleva avere a che fare con una serva (grande! Mamma) “Scjrrate”, che esprimeva una rivendicazione scomposta dal basso; allo stesso modo, il liberale E. Kant non voleva avere a che fare con le masse, che chiamava “la folla selvaggia” (1798 / Antropologia pragmatica), perché, semplificando, i diritti del cittadino non determinano un dovere del Monarca. La contabilità pubblica, pertanto, chiedendo perdono per l’azzardo, la definirei: “buona amministrazione che rispetta le leggi, evitando disuguaglianze, clientele e profitti impropri”. Sicuramente una definizione riduttiva e da “servo”, ma analizziamo la metafora.
1. Mia madre lavorava per la necessità / finalità di garantire un cibo al figlio.
2. Ella controllava rigorosamente la corrispondenza tra costo sostenuto e prodotto ricevuto.
3. Rivendicava il diritto del bene acquistato.
4. Si indignava (“la scjrrate”) nel caso non le venisse restituito il pattuito e che qualcuno potesse trarre un indebito guadagno sul suo denaro.
5. Non chiedeva sconti o favori, pretendeva il rispetto del barattato, abituata com’era, a dare valore allo scambio necessario (contratto) che le garantisse il fine.
Tutta la storia che ci precede, racconta di schiavi ed imperi, servi e padroni, imperialismi e dittature, cittadini e stato e, per fortuna, di altro. È vero, superare le ideologie significa andare oltre le categorie utilizzate ieri, ma certo non significa dedurre che oggi siamo tutti uguali; né si può dedurre che le relazioni tra i soggetti dell’agire umano, soprattutto quelle economiche, possano essere relegate in ambiti scientifici sottratti alle ragioni di chi esprime un altro punto di vista. Non ricordo dove l’ho letto, ma durante la preparazione di un esame, mi colpì una domanda riportata sul testo e rivolta ad uno storico: “Che cosa ha prodotto il fascismo in Italia?”. La risposta fu: “Cinquanta milioni di antifascisti!” A me, lettore disincantato, fece e fa riflettere.
La società di ieri e quella di oggi procede per acquisizioni di conoscenze e competenze che determinano un potere di fatto. Nel momento in cui, io sottraessi la scienza alle mie ragioni e la rendessi succube di un potere astratto e comunque di un altro, io (!) sto alienando le mie ragioni, sto mettendomi a servizio (servo) e, soprattutto, sto rinunciando alla mia possibilità di indignazione. Cioè, ho effettuato un’alienazione. Il baratto convenuto, diventa funzionale non al mio fine, ma a quello di quell’altro indefinito, che dopo, solo dopo il danno da questi prodotto, io (!) non ho neanche la vergogna di disconoscerlo, pur essendone stato strumento e corresponsabile. Gli esempi sarebbero infiniti: dallo sterminio di Ebrei, dei neri, degli indiani d’America, dei diversi, a quelli delle opposizioni e fino alle attuali crisi delle banche, in particolare di quelle americane, per ora! ☺
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