il cantiere della fraternità    di Silvio Malic
1 Dicembre 2013 Share

il cantiere della fraternità di Silvio Malic

Immaginiamo la fraternità come un cantiere aperto in cui ogni uomo è convocato. Un cantiere per adulti responsabili, la cui definizione la assumiamo da Maslow:  “colui che risponde di sé, risponde degli altri, risponde del mondo”, mentre risaliamo, in breve, alle radici della cultura cristiana.
Risponde di sé
Il racconto evangelico del samaritano (Lc. 10,25) ci mette davanti a risposte diverse. La responsabilità o prossimità positiva non è definita dalla logica dell’affinità o dell’appartenenza (religiosa, nazionale, ideale, ecc.) che avvolge l’altro, bensì dallo stato di bisogno in cui egli versa. Il paradigma dell’essere umano, nella sua realtà costitutiva e profonda, sta nell’essere di bisogno che grida e attende aiuto. Prima che dotato di valore e di poteri, al di là delle apparenze, l’uomo si rivela come essere inerme e bisognoso: il bimbo appena nato è attesa ed invocazione di protezione e di tenerezza, é il rappresentante dell’alterità nuda e radicale, paradigma del volto che si sottrae al dominio dell’io paralizzandone i poteri e giudicandolo. La parabola custodisce un senso abissale: dal silenzio del corpo di quel malcapitato di cui non si conosce il nome, si innalza una voce che, interrompe il cammino dei passanti e li convoca ad una responsabilità indeclinabile: rispondere positivamente a quel grido, assumendolo nella compassione, oppure negarvisi restando avvinghiati al proprio io. Di qui la parabola dischiude al significato ultimo e sconvolgente, soprattutto per coloro che si professano credenti: il luogo dove Dio mi parla e mi incontra, convocandomi alla responsabilità, giudicandomi, è l’altro nel suo essere di bisogno, l’alterità nella irriducibilità al desiderio dell’io e dei suoi progetti. Dov’è Dio? Dove incontrarlo? “Non sta tra i conoscitori della sua identità, non sta nelle istituzioni che lo rappresentano, é là dove nessuno se lo aspetta: chi non è niente lo ospita e lo designa… il nuovo testamento ha dislocato Dio trasferendo il suo habitat dal tempio al corpo di Gesù” (Midrash Rabbà). L’etica della responsabilità è innanzitutto l’etica della compassione. “Dobbiamo imparare a valutare gli uomini più per quello che soffrono che per quello che fanno o non fanno … Dio non ha disprezzato gli uomini, ma si è fatto uomo per amor loro”  … Far diventare eloquente la sofferenza è condizione di ogni morale universale; comincia forse qui la crisi radicale della morale europea ed occidentale. Se il nostro mondo sarà un paesaggio multiculturale in fiamme o fiorente, se l’Europa sarà un paesaggio di pace o lo scenario di una escalation di guerre civili, dipende dal successo di una tale morale della sofferenza” (D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa).
Risponde degli altri
Farsi carico dell’inimicizia senza mai perdere lo sguardo sulla persona. Scriveva E. Hillesum: “La massa è un terribile mostro, i singoli individui fanno compassione. Ma ho dovuto costatare in me stessa che non esiste alcun nesso causale fra il comportamento delle persone e l’amore che si prova per loro. Questo amore del prossimo è come l’ardore elementare che alimenta la vita”. Essere responsabili dell’inimicizia dell’altro, assumendola e rispondendo ad essa non con il male ma con il bene (Rm, 12,20) è l’apparizione ultima e radicale della bontà come gratuità, come asimmetria, come messa in disparte della priorità dell’io e come priorità dell’altro. Dove l’io compie l’impensabile esodo dal suo io all’altro e, fuori dalla logica dell’essere, la logica dell’automantenimento e dell’autopersistenza, entra nell’altrimenti che essere: la logica della grazia e del disinteressamento. La bontà è il vero futuro che si apre all’uomo, l’avvenire degno di questo nome e portatore di novità. Per il Nuovo Testamento il perdono è il principio di ricostruzione del mondo, perché potenza capace d’infrangere la logica della violenza che irretisce la storia umana e delle relazioni umane. La giustizia e l’agire secondo l’orizzonte  del “è giusto” non solo non si oppone all’amore ma ne è la vera instaurazione: la giustizia è l’amore che raggiunge l’altro;  è la messa in opera di leggi e istituzioni adeguate nelle quali si oggettiva il principio bontà o misericordia senza cui l’umano precipita nel caos. Nella propria libertà si inscrive l’ethos della bontà, che, quale evento della soggettività responsabile, ha bisogno delle pietre dell’oggettività – istituzioni e leggi – in cui incidersi, conservarsi e tramandarsi. Nelle ore buie della storia solo istituzioni giuste, salde e democratiche possono arginare la barbarie che minaccia l’umanità e risvegliare le coscienze alla loro responsabilità indeclinabile.
Risponde del mondo
Il mondo, per la Bibbia, non è ostacolo per l’uomo, né è solo una tappa, né tentazione; semplicemente è l’oggettivarsi dell’ amore creatore che da Dio proviene all’uomo e dall’uomo giunge all’altro uomo. Non viene nascosto il negativo che sconquassa il mondo ma é addebitato alla mancata responsabilità dell’uomo. A differenza della grecità che lo ha celebrato come cosmos, pienezza di armonia e di forma, la Bibbia lo ritiene in-compiuto, dove il caos ancora attende di essere debellato. Responsabilità è compiere l’in-compiuto del mondo, immettendovi l’amore di Dio che è “comandamento”. Redimere il mondo facendolo passare da parola fermata (Sartre) a parola dotata di senso, portare al termine la creazione che, per Paolo, nelle doglie del parto attende ancora di venire pienamente alla luce. La creazione  più che ordinazione del caos è apparizione di un nuovo ordine: l’ordine del bene su tre livelli.
Il primo è definito dal bisogno umano. Il mondo è adeguato al bisogno umano; non è deserto, spazio vuoto o res extensa dove l’unico senso é quello che l’uomo vi iscrive con la sua progettualità, come vuole la modernità, bensì è oikòs cioè casa. L’esperienza biblica del mondo è quella dell’accasamento o terra dei padri, metafore dello spazio riconciliato tra l’uomo bisognoso e il mondo capace di rispondervi.
Il secondo livello di bontà è definito dal mondo in se stesso. Come l’albero è buono non perché serve all’uomo ma in se stesso. La bontà è sinonimo di bellezza; l’agathos (buono) è kalòs (bello).
Il terzo livello di bontà, unico della bibbia, è definito non dal rapporto al bisogno umano (utile) né dal mondo in rapporto alla sua forma (bello) bensì in rapporto a Dio che lo fa essere chiamandolo dall’inesistenza all’esistenza: buono perché proveniente da una bene-volenza. La terra è di Dio, modello che oltrepassa il mito della terra madre (causa dei nazionalismi) e quello della conquista (causa delle guerre); poiché di Dio l’uomo può risiedervi come forestiero e come pellegrino. In qualsiasi momento bisogna essere pronti a mettersi in cammino (nomadismo): distacco come antidoto al possesso. Il rapporto con il mondo non si istituisce nella linea dell’ appropriazione e del possesso ma su quella dell’ospitalità e dell’accoglienza. Lo spirito che esprime questa relazione al dono gratuito è la bene-dizione. Essa ritrascrive la logica dell’eden dove tutto è per l’uomo purché tutto resti di Dio. Risposta originaria al dono é la ri-conoscenza nel duplice significato di una nuova conoscenza e di gratitudine o ringraziamento. Ri-conoscere il mondo, accedendo ad una nuova conoscenza, come mistero e come adorazione, dove l’io porta la mano alla bocca per tacere e cedere il posto all’ascolto e al silenzio. La trascendenza dell’uomo sulla natura non è quella di chi allunga le mani sul mondo dicendo “è mio” ma quella di chi, stupito, se lo vede porgere da un’altra mano e vi legge: “è per te”.  ☺

 

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