il concilio è vivo   di Antonio Di Lalla
2 Settembre 2012 Share

il concilio è vivo di Antonio Di Lalla

 

  A cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II è bene interrogarsi su come è stato recepito, soprattutto oggi che “la chiesa ha ripreso ad avere paura del proprio coraggio” (card. Kasper).

Si sentono affermazioni che vanno da “il concilio non è stato ancora attuato” a “il concilio è superato”; da “il concilio è da cancellare perché non in linea con la tradizione” (lefebvriani) alla “necessità di un nuovo concilio” per affrontare i problemi sorti nel frattempo o semplicemente evitati allora. Giovanni XXIII voleva un aggiornamento della Chiesa, per Paolo VI fu un rinnovamento, certo è che è stato un avvenimento provvidenziale, probabilmente da accostare alle uniche due grandi riforme che ha conosciuto la Chiesa (Gregorio VII e Lutero). Non ha prodotto “definizioni”, non ha limitato gli orizzonti della verità inseguendo errori e pronunciando anatemi, ma ha scelto la strada propositiva spingendo in avanti.

Il papa Giovanni Paolo II nella lettera apostolica in preparazione al terzo millennio (Tertio millennio adveniente), dopo aver ricordato che “la migliore preparazione alla scadenza bimillenaria, non potrà che esprimersi nel rinnovato impegno di applicazione dell’insegnamento del Vaticano II alla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa” (n. 20), invita a un serio esame di coscienza sulla ricezione del concilio per vedere in che misura la Parola di Dio è divenuta ispiratrice dell’esistenza cristiana e la liturgia fonte e culmine della vita della Chiesa, se l’ecclesiologia di comunione si consolida a tutti i livelli e se la Chiesa e il mondo sono veramente entrati in un dialogo aperto, rispettoso e cordiale (n. 36).

Ricezione

La Chiesa di oggi è certamente ben diversa da quella preconciliare, è di gran lunga più accogliente e amica, e i meno giovani sono stati chiamati a vivere un salto qualitativo. La Bibbia è sempre più letta e meditata, divenendo punto di riferimento nelle scelte quotidiane; la nozione di “popolo di Dio” come vero soggetto storico e quella di “Chiesa come mistero” sono passate anche se non hanno avuto ancora adeguato sviluppo; alla liturgia vi è una partecipazione attiva e consapevole; nelle comunità si ha la possibilità di esercitare il diritto-dovere di critica, una libertà prima quasi sconosciuta; la collegialità episcopale ha preso piede e la Chiesa è avvertita come comunità di chiese per cui faticosamente ma realmente assume forma autonoma nei vari continenti; si è superata la netta separazione tra chiesa docente che impartiva ordini e chiesa discente che aveva l’unico compito di eseguire; cresce la corresponsabilità di ognuno all’interno della comunità dei credenti; le altre confessioni cristiane, come le altre religioni, non sono più viste come depositarie di errori e pericolose per la fede, ma come arricchimento nella ricerca della verità; la gerarchia delle verità per cui non tutto all’interno del mistero cristiano sta sullo stesso piano è diventata un dato di fatto; è stata riabilitata la libertà di coscienza dentro e fuori la Chiesa; la Chiesa non è più percepita in forma piramidale con al vertice il papa, ma come una circonferenza il cui centro è Cristo; si va concretizzando la scelta preferenziale dei poveri rinunciando a ricchezza, potenza e privilegi.

Limiti

Ma è altrettanto indubbio che la Chiesa non riesce più a scaldare i cuori perché il primitivo slancio si è affievolito, la stanchezza nel cammino di rinnovamento si avverte forte, le resistenze alla piena attuazione del concilio non mancano: la paura della modernità; l’istituzione che cerca di soffocare il carisma e la profezia; si è accentuato il primato papale proprio quando si avverte come una necessità la sinodalità; la curia romana che con le sue congregazioni non riesce a leggere sempre correttamente il mondo d’oggi; l’uniformità dei riti liturgici; la reintroduzione del rito antico; la collegialità che per i vescovi nelle diocesi non è vincolante ma discrezionale per cui tutto dipende dalla loro personalità; la revisione è più di facciata anziché ripensamento della sostanza.

Attese

La riforma del primato papale, chiesta nell’enciclica Ut unum sint, perché il vescovo di Roma non può governare da solo la Chiesa; la nomina dei vescovi, per evitare “sorprese” al cammino delle chiese locali, non può essere decisa all’insaputa delle comunità; un impegno attivo e dinamico del laicato; il celibato dei preti, meraviglioso e irrinunciabile, non può continuare ad essere impedimento per l’ordinazione di uomini sposati; il ruolo della donna nella Chiesa, dato che le è preclusa ogni ministerialità, è da ripensare; i divorziati risposati non possono rimanere per il resto della vita esclusi dai sacramenti; la contraccezione andrebbe finalmente discussa, ecc. Occorre un nuovo concilio per queste e altre questioni che emergono? “In questo grigio panorama ecclesiastico, un nuovo concilio rischierebbe di essere un Vaticano I bis anziché un Vaticano III. Quindi meglio impegnarsi a resistere per mantenere desto lo spirito del Vaticano II” (R. Giacomelli).

Va preso sul serio, allora, l’esame di coscienza cui invitava papa Giovanni Paolo II per ripartire con nuovo entusiasmo e offrire al terzo millennio una Chiesa credibile al servizio del mondo. La buona o cattiva volontà di tradurre in pratica la fede cristiana e gli insegnamenti del concilio oggi dipendono anche da noi. Un fatto in ogni modo è certo: “Lo spirito del concilio non è spento – annota Ortensio da Spinetoli – È vivo. Non cammina forse a fior d’acqua, avanza di nascosto, come il vento che non si sa donde viene e dove va, ma procede inarrestabilmente”. Non è questione di ottimismo, è consapevolezza che la speranza, anche se non poche volte indignata, è nostra compagna di strada in quest’avventura meravigliosa di testimoni del Crocifisso Risorto.☺

 

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