Il domani che verrebbe
4 Settembre 2014 Share

Il domani che verrebbe

Di recente la politica sembra aver dato ascolto alle istanze del Terzo Settore volte a introdurre segnali concreti di innovazione nell’ambito delle politiche sociali. A fine mese, siamo in agosto, sono previsti incontri tra governo e rappresentanti di cittadinanza attiva impegnata per tradurre in leggi proposte già discusse da tempo. I dati che sollecitano tale traguardo sono ormai alla portata di tutti. Solo per accenno: la disoccupazione giovanile in Italia è al 43% e al suo interno il 24% sono ragazzi con età compresa tra i 15 e 29 anni, indice decisamente superiore alla media europea che segna il 15,9%.

La svolta storica dovrebbe consistere nella rivalutazione del sociale in termini di impresa  e di economia che vada oltre i ristretti spazi della solidarietà e del sostegno ai più deboli. È questa l’opinione di esperti in materia che non concordano da tempo nella stessa sigla che parla di terzo settore, una etichetta che rende l’umanesimo solidale circoscritto in angoli ristretti e senza ricadute significative nella politica di più ampio respiro.

Come sta avvenendo in molti paesi, tra questi Francia, Germania e Spagna anche, il cosiddetto Terzo Settore va collocato in uno spazio che non sia tra i primi in termini di prestigio o potere ma che salga ad  un livello di promozione e di valori anche sul piano dell’economia e della crescita e che in tale prospettiva restituisca dignità e sostegno ai più deboli. Si tratta allora di andare oltre i recinti che nel nostro paese hanno ulteriormente recluso i cittadini in spazi ristretti di separazione dal bene comune che invece ha ceduto spazi ad imprese orientate all’interesse di pochi.

La ripresa del sociale andrebbe rilanciata da una strategia che persegua con forza e strumenti concreti di sostegno l’intreccio tra investimento pubblico e privato, anche per ridare valore ad una Costituzione che ha subìto l’emarginazione di articoli che i nostri padri avevano attentamente formulati nella direzione del bene comune.

L’articolo 42, ormai ignorato, così si pronuncia: “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati: La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti…”. Norme e principi etici ormai stranieri in una società centrata sull’interesse di pochi, ignoti a molti di noi e non alla portata delle nuove generazioni che finiscono col pagarne le conseguenze nel futuro prossimo.

Ed eccoci allora stimolati per addivenire ad un futuro che rilanci valori civili e princìpi di democrazia autentica tradotta in prassi operative. È in uno di questi giorni che don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera”,  associazione e movimento contro le mafie, in un convegno tenutosi a Castelguidone in una parrocchia della diocesi di Trivento, ha lanciato il messaggio: “Basta formulare programmi……è giunto il tempo di agire”.

Abbiamo da qualche tempo rilanciato la sollecitazione a ricostruire in Molise il Forum del Terzo Settore e con quanti hanno già risposto all’appello riattiveremo le iniziative, già in corso in diversi gruppi, per giungere a fare rete per perseguire obiettivi con operosità,  ridestando l’attenzione della cittadinanza ma anche non rinunciando a coinvolgere il mondo politico locale, regionale e nazionale. In tale direzione si mobilitano esperti in materia che ampliano la rete stimolando il coinvolgimento e l’intervento delle imprese private e delle banche che in Italia presentano una concentrazione e una diffusione locale ai livelli più alti nell’intero mondo.

L’economia sociale allora acquisterebbe spazio e rilevanza maggiore sul piano dell’azione non solo in campo solidaristico ma nel contesto di una economia oggi in crisi.  ☺

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