Il fattore umano
22 Maggio 2018
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Il fattore umano

Anni fa, mia figlia mi regalò un libro dal titolo La malattia come cammino. Il libro spiegava come diverse malattie coincidono con problemi che la persona colpita dalla malattia neanche sapeva di avere: problemi sommersi nel subconscio, problemi che finalmente cercano un modo per gridare, eh! Sono qua! Devi trovare una soluzione! ed il modo per farsi conoscere consiste nello sviluppare una malattia.

Questo libro mi è venuto in mente nei giorni immediatamente prima e dopo il 4 di marzo. Tutto era cominciato con la mia incapacità di dormire di notte. Di giorno seguivo in TV la campagna elettorale italiana, e di notte… immaginavo le conseguenze che avrebbero avuto i diversi risultati. Finché arrivò il giorno in cui non volevo alzarmi dal letto, una forte tosse mi offriva il pretesto per rimanere a letto, e il giorno del voto non facevo altro che dormire, dormire, dormire…senza mangiare, senza bere niente. Il mio corpo aveva trovato un modo per fuggire della realtà della notte fra il 4 ed il 5 di marzo, e finalmente, essendo ricoverata in ospedale a Termoli, ho potuto scappare anche dalla pazzia kafkiana di quei negoziati senza risultati… ero troppo occupata con la lotta contro la broncopolmonite.

In questa lotta ho vissuto una esperienza notevole che è stata una specie di regalo. Devo confessare che non volevo andare al pronto soccorso e non volevo essere ricoverata. Avevo sentito e letto troppo sulla sanità in Molise, avevo visto come il mio compagno non trovasse la possibilità di fare le analisi che doveva presentare al medico curante, avevo visto che presso qualche laboratorio privato le analisi si potevano fare subito, naturalmente pagando. Avevo seguito sui giornali le notizie sull’ospedale di Larino, le notizie sui tagli alla sanità pubblica, le notizie sulla crescente privatizzazione della sanità. E naturalmente sapevo che c’era una grande mancanza di soldi per pagare attrezzi e personale per gli ospedali molisani.

Non è difficile immaginare lo stato d’animo con il quale aprii gli occhi la prima giornata ospedaliera a Termoli, nell’ospedale San Timoteo, reparto Medicina. Quella stanza è stata per 10 giorni la mia “casa”, le vicine sono cambiate ogni tanto, ma le persone che badavano a noi malati erano, credo, una ventina, dalle donne che facevano pulizia nella stanza fino ai medici, passando per le infermiere ed altri operatori e operatrici sanitarie ed anche qualche volontaria che si offriva nel caso in cui non potevamo mangiare da sole. In quei dieci giorni non ho visto una sola di tutte quelle persone essere di malumore, tutte e tutti avevano sempre il tempo per qualche parola incoraggiante o consolatoria, anche i medici scherzavano ogni tanto e ci facevano sentire che non eravamo solamente “il letto numero 16” o “la broncopolmonite”, ma persone con le loro paure e le loro gioie.

Chi non conosce i problemi della sanità molisana dirà che questo che sto raccontando è normale, non è niente di speciale. Ma non è vero. Uno di questi medici che ho conosciuto lo ha detto: “Noi cerchiamo di porre rimedio a tutto quello che manca nella sanità pubblica, cerchiamo di riempire questo vuoto creato dalla politica”. Devo dire che il personale del reparto Medicina del San Timoteo lo fa benissimo. Hanno saputo creare un ambiente di amabilità e di efficienza, di professionalità e di cordialità, un ambiente che non ho conosciuto fino ad oggi in nessun altro ospedale.

Sono ritornata a casa e devo dire che mi mancano gli scherzi che facevano i medici. Mi mancano i sorrisi delle infermiere quando per l’enessima volta dovevano mostrarmi come dovevo posizionare la mano per permettere al liquido della flebo di scendere e di entrare nel mio corpo. E voglio finire questo piccolo e molto personale elogio di un gruppo di persone che mi hanno accompagnato per dieci giorni con una piccola e molto personale critica, o meglio, con una proposta: sarebbe bello vedere sull’uniforme del medico o della infermiera o della volontaria o della operatrice sanitaria un cartellino con il nome della persona. Un nome crea ancora più vicinanza, più fiducia, ed a me piacerebbe poter scrivere, in questo momento, per esempio “grazie, infermiera xxx”, “grazie dottore xxxx”.

Vista la mancanza di nomi, ancora una volta, grazie, grazie a tutte/tutti voi del reparto Medicina, che state lavorando in condizioni difficili e che state combattendo le difficoltà con i vostri sorrisi ed i vostri scherzi.

 

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