Il futuro come minaccia
6 Dicembre 2021
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Il futuro come minaccia

Un mondo di acronimi il nostro! A spopolare, recentemente, quelli riguardanti le riunioni con protagonisti le persone più in vista del nostro tempo – capi di stato, di governo, amministratori ai vertici di istituzioni internazionali. G20, COP 26, tutt’altro che una successione aritmetica. Eppure ci stiamo abituando – almeno sembra – a questa riduzione del linguaggio, alla sinteticità delle espressioni, alla rinuncia ad un frasario complesso e circostanziato.

Le sigle di cui sopra racchiudono, nostro malgrado, il mondo contemporaneo: nella prima, la singola consonante G sta per Gruppo – in inglese Group [pronuncia: grup]- seguita dal numero dei componenti accreditati dell’assemblea, attualmente 20; quando venne istituito in passato, 7 erano gli accolti a tale importante consesso. E li abbiamo visti, i cosiddetti “grandi del mondo” arrivare nella nostra capitale, passeggiare, cenare, posare per le fotografie – ufficiali o da ‘semplici turisti’: a che scopo?

E poi trasferimento a Glasgow, nella ridente e suggestiva Scozia, per un’altra manifestazione, anch’essa ridotta ad acronimo: COP 26. Quest’altra sigla è l’ abbreviazione di Conference of Parties [pronuncia: conferens ov partis] che designa la riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (United Nations Framework Convention on Climate Change, UNFCCC). Questo trattato internazionale, firmato a Rio de Janeiro nel 1992 al cosiddetto Summit della Terra, prevedeva la sottoscrizione di protocolli per definire i limiti obbligatori di emissioni di gas serra; uno di questi, il più noto, è il protocollo di Kyōto.

La partecipazione dei leader è stata anche qui una operazione di facciata, una vetrina per riaffermare la loro posizione di privilegio: qualche discorsetto impregnato di paroline accattivanti circa la cura e la protezione dell’ambiente, impegno formale (vale a dire, a parole) per combattere la deforestazione entro il 2030. Lo stop all’utilizzo di energie non rinnovabili è stato rinviato al 2050 – o meglio sine die – poiché accordi seri e sottoscritti non ci sono stati.

E dire che l’attenzione ai temi ambientali, già sollecitata ampiamente dalle giovani generazioni attraverso il movimento Fridays for future [pronuncia: fraideis for fuciur] – i venerdì per il futuro – non è semplicemente una moda di questi anni: la preoccupazione per i cambiamenti climatici e per lo stato di salute del pianeta Terra è confermata da numerosi studi compiuti da esperti ed evidenze scientifiche inoppugnabili. La sempre maggiore frequenza di eventi atmosferici improvvisi e devastanti – anche in aree del mondo in cui tali fenomeni erano esclusi – ne rappresenta ulteriore prova. I giovani, che hanno aderito all’appello della combattiva Greta Thunberg, sostengono a testa alta, contro le generazioni che li hanno preceduti, “Voi siete la malattia, noi siamo la cura!”. Possiamo condannarli?

“[Walter] Benjamin afferma che la storia è scritta da chi ha vinto nel passato ed esercita il potere nel presente, e dunque caratterizza la propria ascesa come ‘progresso’. Per gli sconfitti quel ‘progresso’ ha significato catastrofi. Olocausto, campi profughi, migrazione forzata, apolidia e schiavitù” (Shahram Khosravi, Io sono confine). Quale progresso allora, in questo millennio, dovrebbe essere l’ obiettivo per coloro che si assumono la responsabilità di guidare le nostre società, e soprattutto per chi? Massimo Salvadori, professore di Storia delle dottrine politiche, già qualche tempo fa ricordava che stiamo vivendo in un paradosso: proprio nella fase della nostra storia che ha conosciuto e conosce strabilianti conquiste, “siamo costretti a prendere atto dell’inadeguatezza della nostra stessa idea di progresso. E tale inadeguatezza è testimoniata dal nostro crescente senso di insicurezza, persino dall’ angoscia per le minacce che sovrastano la vita umana, a partire da quella che proviene da una crescita economica che ha come prezzo la devastazione dell’ambiente. Quindi è forse il caso di ripensare e recuperare un senso nuovo del progresso, che sia compatibile con la nostra storia passata e presente”.

La questione ambientale è diventata vera emergenza che non riguarda soltanto i giovani; con serietà e consapevolezza, essi la intendono affrontare contro un atteggiamento sordo e sfuggente mostrato dai cosiddetti ‘grandi’. Nel corso di una trasmissione televisiva di qualche giorno fa, il professor Umberto Galimberti pronunciava queste amare parole: “per i giovani il futuro non è una promessa ma una minaccia”.

Non una battuta, purtroppo! Questa sì una valida ‘sintesi’, forte sia nel contenuto che nelle parole – niente abbreviazioni, niente acronimi: chiarezza espressiva ed espositiva, pur nella sua brevità.

Tra breve saluteremo anche questo 2021, ed ognuno credo ne stia facendo dentro di sé una valutazione, della sua vita personale ma anche rispetto a tutto quello che come collettività abbiamo condiviso, sofferto, sostenuto. Il futuro che ci attende è anche per noi una minaccia?☺

 

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