Il grande imbroglio
4 Dicembre 2020
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Il grande imbroglio

Un grande imbroglio, questo si è consumato nelle aule del Parlamento europeo. Nel silenzio e nell’ignoranza dei cittadini europei le corporazioni e le lobby dell’ industria dell’agro alimentare stanno per mettere le mani ancora una volta su 360 miliardi di euro in sette anni, ovvero più del 35% delle risorse spese dall’Unione Europea. Questa è la nuova politica agricola europea (PAC) discussa e approvata a Bruxelles nelle settimane passate. Ieri questa era un’ appropriazione privata  di un bene pubblico, grave perché rappresentava una iniqua distribuzione delle risorse finanziarie nel mondo agricolo. Grave perché questi finanziamenti andavano a sostenere un’agricoltura chimica, gli allevamenti intensivi e le monoculture. Ieri era un errore grave, oggi nella reiterazione è divenuto un errore diabolico.

L’ex ministro, nonché europarlamentare De Castro sostiene per legittimare questa nuova politica agricola comune (PAC) che la preoccupazione del legislatore europeo è stata ancora una volta quella di sostenere il reddito dei contadini, in coerenza con lo spirito dei trattati di Roma del 1957.

Di quali contadini De Castro parla, a chi si riferisce, a chi vanno questi miliardi e miliardi di euro che la comunità europea stanzia per il mondo contadino? Non a quei milioni di piccoli e medi contadini che producono gran parte del cibo che finisce sulle nostre tavole, che garantiscono la diversificazione e la biodiversità delle nostre coltivazioni. Non a quelle centinaia e centinaia di migliaia di piccole aziende che nel corso degli anni hanno chiuso. Né a quel mondo contadino che abitava e viveva nelle zone interne del paese, il 17% dell’intero territorio nazionale. Aree interne che sono state abbandonate, paesi e paesi ormai desolatamente senza popolo e senza contadini. In realtà il nostro De Castro si riferisce a quel 20% di grandi proprietari terrieri che si appropria da sempre dell’80% delle risorse stanziate per l’ agricoltura dall’Europa.

Tutte le persone di buon senso e senza particolari conflitti di interesse hanno salutato con grande favore le proposte venute dalla Commissione europea, quando si è parlato di Green New Deal, o quando la numero uno a Bruxelles, la Ursula von der Leyen con il documento From farm to fork ha affermato che in Europa la superficie agricola coltivabile biologica deve triplicare sino ad arrivare al 25%, che il 10% delle coltivazioni agricole deve essere destinato alla biodiversità e che bisogna ridurre del 50% l’uso dei pesticidi. Tutte affermazioni che ci hanno fatto sperare in una nuova consapevolezza nei sacrari del potere europeo sulla necessità inderogabile di una nuova e sostenibile politica nella produzione agricola. Finalmente, abbiamo pensato, si riconosce la centralità dell’agricoltura in tutti i grandi cicli che regolano l’equilibrio ecologico del pianeta, dal ciclo dell’azoto a quello del fosforo, dal ciclo dell’acqua a quello del carbonio. Oggi alla luce dei fatti dobbiamo riconoscere di essere stati ingenui e di aver sottovalutato la potenza delle lobby dell’agro-industria e la sudditanza del potere politico ed istituzionale al potere economico-finanziario. Nel Parlamento Europeo i vertici dei socialisti, dei popolari, dei liberali hanno deciso di affossare il Green New Deal in agricoltura e le idee innovative della Von der Leyen. Hanno bocciato gli emendamenti della Commissione Ambiente del Parlamento che chiedevano il taglio dei sussidi agli allevamenti intensivi e misure di sostegno alla qualità degli ecosistemi. Hanno approvato norme equivoche che, come è accaduto nel recente  passato e come ha dichiarato la stessa Corte dei Conti europea, non hanno avuto e non hanno alcun effetto positivo sugli squilibri ambientali.

In questa opera di demolizione della strategia ambientalista ancora una volta si è distinta la nostra ministra dell’Agricoltura Bellanova. Il suo comunicato di commento al testo sulla nuova PAC ha almeno il merito della chiarezza: il 20% dice la ministra (non il 30% come afferma De Castro) delle risorse destinate al sostegno di scelte ambientaliste della nuova PAC può essere anche utilizzato in attività squisitamente economiche; le flessibilità nazionali debbono essere utilizzate per ridurre le rigidità ecologiche della Commissione. Parole e intenzioni chiarissime: sotto la retorica della sostenibilità si ripropongono le politiche di sempre che sono all’origine degli squilibri ambientali, della crisi climatica e delle iniquità nel mondo dell’agricoltura. Abbiamo perso la prima battaglia di un contenzioso politico-istituzio- nale che sarà ancora lungo. Il testo del Parlamento europeo dovrà essere discusso e vagliato per diversi mesi da un “trilogo” formato dai Governi nazionali, dalla Commissione e dallo stesso Parlamento europeo. Vi è quindi il tempo, e anche le forze, per riprendere un percorso ecologicamente virtuoso. Vi è in Europa una moltitudine di organizzazioni della società civile che insieme a grandi associazioni come Slow food, WWF, Greenpeace hanno espresso il loro radicale dissenso. Vi è il 38% dei deputati europei che ha rifiutato il diktat dei vertici dei grandi partiti. Infine lo stesso vicepresidente della Commissione Timmermans ha dichiarato tutta la sua delusione per le scelte del Parlamento europeo ed è pronto a bloccare lo stesso documento PAC. La partita è ancora aperta e come si affermava nel Maggio del 68 francese: Ce n’est qu’un début, continuons le combat!☺

 

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