il granoturco
31 Agosto 2010 Share

il granoturco

 

             Il granoturco è una pianta che è giunta in Europa dopo i viaggi di Cristoforo Colombo ma le sue origini si perdono nella notte dei tempi: nel Messico sono stati trovati infatti granuli di polline e cariossidi di granoturco risalenti ad almeno 60.000 anni fa.

             A lungo fu coltivato in Europa come curiosità solo negli orti botanici. Ma i Turchi ne appresero ben presto la coltivazione, e i Veneziani, che intrattenevano scambi commerciali con il Medio Oriente, ne favorirono la conoscenza. Si diffuse successivamente nelle altre regioni, rimanendo tuttavia a lungo una pianta in prevalenza dell’Italia settentrionale.

Il nome granoturco gli fu attribuito solo nel Cinquecento quando si usava denominare “turco” tutto ciò che proveniva da paesi ‘non cristiani’. Altro nome con il quale viene indicata questa pianta è “grano d’India” probabilmente perché, come si diceva prima, essa venne introdotta da Cristoforo Colombo al ritorno del suo viaggio nelle Indie Occidentali (le attuali Antille). Quasi certamente da grano d’India deriva anche il nome dialettale col quale viene indicato nel nostro paese: ’u ’rendìn’je.

Zea mays è invece il suo nome scientifico. Zea fu utilizzato da Linneo per meglio definire l’importanza vitale della pianta per l’alimentazione umana. Infatti una pianta a nome Zea (un cereale) era nota già ai Romani e descritta da Plinio come “il primo antico cibo del Lazio”. Anche Omero nell’Odissea parla ripetutamente di una pianta chiamata zea e le attribuisce grande importanza per la vita degli uomini. Mays era invece il nome con il quale la pianta era nota alle popolazioni americane.

Non tutti forse sanno che questa pianta generosa, che nutre uomini ed animali, possiede anche proprietà medicinali apprezzabili. Ma per capire quali sono le parti dotate di virtù terapeutiche è necessario accennare alle infiorescenze maschili e femminili portate da una stessa pianta, che, per tale motivo si definisce monoica.

Il fusto termina con l’infiorescen- za maschile, a forma di pennacchio, ’u stennarde, mentre all’ascella delle foglie si trovano le infiorescenze femminili, che botanicamente sono delle spighe, note col nome di pannocchie, ’i mórre. Queste sono completamente avvolte da brattee, ’i frúsce, un tempo utilizzate per riempire il saccone del letto oppure vendute per lo stesso scopo ai frusciare, che venivano ad acquistarle dal Gargano con i loro carretti. Al momento della fecondazione, spuntano le parti superiori dei pistilli (che raccoglieranno il polline), detti “capelli” o “barbe”, che sono appunto le parti dotate di virtù terapeutiche.

Il ciuffo di capelli va raccolto prima della completa maturazione del chicco, cioè in piena estate; va seccato rapidamente al sole e conservato in scatole di legno o vasi di vetro, al riparo dall’umidità. Il decotto delle barbe (un cucchiaio per ogni tazza di acqua) costituisce un potentissimo ed innocuo diuretico, utilissimo nelle cistiti acute e croniche, nelle calcolosi renali e in tutti i casi in cui sia necessaria un’abbondante diuresi. In caso di forte dolore della zona renale, oltre a somministrare una tazza di decotto, si può coprire la parte interessata con un impacco di cotone idrofilo imbevuto di un decotto più concentrato, che si prepara facendo bollire per pochi minuti e lasciando poi riposare per circa mezz’ora una manciata di stimmi di mais e di foglie di malva, insieme ad un pizzico di camomilla in un litro d’acqua.

Ma il mais, come è noto, è anche un alimento quasi completo perché contiene tutti gli amminoacidi essenziali e, insieme agli altri cereali, ha costituito per millenni la base dell’alimenta- zione umana della gente più povera, soprattutto contadini, grazie alla sua produttività, ed ha accompagnato le varie civiltà attraverso le alterne fasi della loro evoluzione.

Il tipo di macinazione moderna dei cereali, cosiddetta a cilindri, se da un lato ha reso la farina più impalpabile, bella da vedersi, omogenea a cuocersi, e per certi versi facile a digerirsi, ha però eliminato due parti del seme, il germe e la crusca, che hanno ognuna delle qualità grandissime: il germe costituisce un mirabile concentrato di grassi (chi non conosce l’olio di semi di mais che da esso si estrae?), proteine, sali minerali e vitamine, mentre la crusca, l’involucro del seme, ha la virtù di stimolare, come fibra grezza, la digestione.

Per gli animali (maiali e galline), con il mais si preparava ’u squertate. Ai suini e ad altri animali di bassa corte, il granoturco era dato anche senza essere macinato.

Fra le varie utilizzazioni del mais nel nostro territorio, oltre ai noti pop corn, si ricordano alcune pietanze una volta esclusive dei contadini e diventate oggi una prelibatezza, quali ’i fraschetélle, una sorta di polenta non molto densa, e la “pizza”, un tempo cotta sotte ’a coppe e consumata da sola, semplicemente unta con l’olio in padella, oppure servita con ’i c’culille (pezzetti di pancetta fritta), ’i diaulille (varietà di peperoncini rossi dolci essiccati e fritti) o ’i sarde (sardine pulite dal sale, immerse in una pastella e fritte); in alternativa può essere gustata con i fagioli o con la verdura in uno dei tipici piatti di Bonefro, pizze e ffoglie (pizza di granone, schiacciata con la forchetta e unita a foglie di cavolo verza o cavolo cappuccio lessate e a piacere insaporite con il bollito di maiale). ☺

giannotti.gildo@gmail.com

 

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