il mare della vita  di Mara Mancini
3 Settembre 2013 Share

il mare della vita di Mara Mancini

 

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,

e questa siepe, che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Come Pirandello che amava dipingere e pensare ai piedi del pino solitario, anch’io ho l’abitudine di recarmi in una pineta nei momenti in cui non riesco a riempire il vuoto che la solitudine fa aumentare dentro me incondizionatamente. Oggi la panchina sulla quale devo sedermi è decorata da pigne, a terra vi è un’ape che cerca di trascinare con sé un’altra… chissà se ha capito che è morta. Sedendomi, mi lascio alle spalle i pini, solitari come quello di Pirandello, solitari seppur vicini. Come quelle persone che si sentono sole in mezzo alla gente, come i numeri primi. “I numeri primi sono divisibili soltanto per uno e per sé stessi; se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma in un passo in là rispetto agli altri; sono numeri sospettosi e solitari” (La solitudine dei numeri primi, Paolo Giordano). Mi spingono a venire qui la quiete, il cinguettio degli uccelli che sfuma nei fastidiosi clacson e vocii in lontananza. Stranamente oggi il silenzio la fa da padrone, è il nulla a dominare, e solo ora noto che la siepe davanti a me non mi permette di guardare oltre.

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovraumani

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo, ove per poco

il cor non si spaura.

Allora provo ad immaginare: ci dovrà pur essere qualcosa oltre questa siepe, oltre questa vita! La mia vita… mi chiedo se ci sia un progetto irreversibile per tutti come per me o se posso essere io a scegliere, o magari farlo solo in parte. Vorrei avere la libertà di un uccello, vorrei viaggiare in tutto il mondo, ma dovrei rinunciare a molte cose. D’altronde, nella vita si deve essere sempre disposti a perdere qualcosa.

L’arrivo del tramonto non farà certo spostare questa siepe che si comporta come quelle nuvole dispettose che coprono il sole, che poi guardarlo fa male agli occhi, ma che è comunque uno spettacolo. Ecco, forse ci sono: vedo una donna in riva al mare che dipinge onde. Sugli scogli, i gabbiani. Forse è l’alba, perché il cielo mi sembra si sia colorato di rosa, l’acqua calma della polvere d’oro dei raggi del sole che la donna cerca di fotografare con lo sguardo per catturare subito sulla tela. All’improvviso mi appare un prato, un anziano inginocchiato ad una croce con in mano un cappello e nell’altra dei fiori che sistema delicatamente nell’acqua. Bacia la terra, chiude gli occhi. Lo faccio anch’io. Quando li riapro sono accanto ad una donna che, in un letto d’ospedale, per la prima volta tiene fra le braccia il suo bambino promettendo di prendersi cura di colui che ha appena assunto più importanza della sua stessa vita. Penso a tutti quei bambini che, diventati adulti, stanno stringendo per l’ultima volta la mano di un genitore; alle parole non dette, agli abbracci non dati, ai sorrisi non fatti, alla paura del tempo che passa nella consapevolezza di non poterlo fermare.

E come il vento

odo stormir tra queste piante, io quello

infinito silenzio a questa voce

vo comparando: e mi sovvien l’eterno,

e le morte stagioni, e la presente

e viva, e il suon di lei.

Di colpo il vento che rumorosamente passa fra i rami di questi pini, fra gli spazi di questa siepe, mi fa inciampare bruscamente nei miei pensieri, nel silenzio che ora cerco di paragonare alla sua voce, alla voce del vento… Sbaglio dell’uomo è l’abitudine di paragonare, definire, calcolare. Perché paura dell’uomo è non conoscere, non riuscire a controllare. Ma l’infinito non ha misure. Il vento mi riporta alla realtà, mi suggerisce di prendere in mano le redini della mia vita, mi sprona a vivere augurandomi ogni conseguenza che ciò comporta; mi fa pensare che ad essere più importante del passato è il futuro, è coltivare il presente. Il vento richiama la mia attenzione, ed io quella del mondo, circa il quale ormai so che non ha certo bisogno di me per andare avanti.

Così tra questa

immensità s’annega il pensier mio:

e il naufragar m’è dolce in questo mare

(L’infinito, Leopardi)

Temo i vortici che si formano nel mare della solitudine, nel quale quasi sicuramente si arriva in barca pregando che essa non si rovesci. Io non sono infinito. E forse l’unica amica che non mi abbandonerà sarà l’immaginazione, la stessa che riesce a far perdere il mio pensiero nell’immensità che racchiude un mare nel quale dolcemente esso “s’annega”. Io invece spero di non affogare nel mare in burrasca nella vita, ma dubito che possa aggrapparmi al solo pensiero. “Tanto tempo fa un grande filosofo indiano scrisse: nel mare della vita i fortunati vanno in crociera, gli altri nuotano, qualcuno annega” (Delfini, Modugno). Se potessi decidere da che parte stare, sceglierei di nuotare a spese mie, rischiando anche di giocare con la sorte, proprio come un delfino.☺

maramancini94@tiscali.it

 

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