il martirio di ipazia
27 Aprile 2010 Share

il martirio di ipazia

 

Tra qualche giorno uscirà anche in Italia, dopo diversi tentativi da parte della Chiesa di proibirne la diffusione, “Agorà” un film che parla della persecuzione di Ipazia e del suo assassinio da parte di monaci obbedienti a Cirillo, uno dei Padri della Chiesa che vedeva in questa donna il Male assoluto, sia perché Donna sia perché non si voleva piegare alla volontà cristiana.

In un momento in cui il minimo grado di resistenza e di esistenza libera individuale è sempre più sottile, perché non corrisponde alle modalità che l’epoca pone appare interessante l’analisi di Gillo Dorfles in Fatti e fattoidi. Il decano degli studi di Estetica in Italia analizza le finzioni, le contraffazioni, le adulterazioni dei nostri tempi mass-medializzati e «virtualizzati». Oggi l’importante non è più il vero ma il verosimile. Ciò che Aristotele confinava nell’ambito del teatro e dell’arte dilaga nella nostra vita quotidiana: non solo siamo diventati succubi degli oggetti, dei rituali e delle tecnologie che noi stessi abbiamo prodotto, ma fingiamo anche di credere – come accade nei videogame, tra finti pericoli e finte vittorie – alle simulazioni che offrono l’equivalente di situazioni reali. In questo modo, però, è la realtà stessa che subisce un’alterazione originaria, che nasce già in partenza contraffatta. Siamo sicuri che è proprio a questo che volevamo arrivare?.

C’è, dunque, un margine di Libertà per l’individuo nella sua mente? Sì: la capacità di  rimanere, di potere essere libero, almeno intellettualmente: il che comporta fermezza, agilità culturale ed intellettuale.

E la Chiesa, che anche in questi ultimi tempi, nel suo dibattersi impacciato e affannoso per coprire “chiacchiericci” su eventi che gridano giustizia umana prima che divina, concorre a diminuire questa individualità preziosissima.

Per questo costeggiamo il martirio di Ipazia.

“Tu non sei una pagana qualunque: il tuo sacrificio deve servire da monito, deve accelerare le conversioni in massa!… Bacia la grossa croce d'argento che porta appesa al collo, fruga con occhi freddi tra le sinuosità della mia maestra, Ipazia emette attimi di lamenti, oltraggiata nel pudore tenta di stringere le gambe ma i monaci che la tengono artigliata con un gesto violento le fanno divaricare a dismisura. Pietro prima contempla il  bellissimo corpo “devi essere cancellata dalla vita, dalla storia Ipazia, se tu fossi stata solo eretica e pagana saresti stata solamente eliminata: ma tu rappresenti la ribellione! Ribellione portata avanti da una femmina! E pensare che noi cristiani abbiamo portato la vera rivoluzione elevando la donna al grado di essere umano ma a te questo non è bastato! Perché credi che Dio ti abbia fatta così bella? Per rendere felice l'uomo per amarlo e seguirlo! Mentre tu ora stai tremando perché probabilmente questa è la prima volta che un uomo ti osserva senza vestiti, di questo ti vergogni, ma non di aver gettato il tuo sguardo nel cielo di Dio no! Pietro porge la sua conchiglia a un monaco che sta accanto, afferra Ipazia per i capelli dietro la nuca, immobilizza con la mano sinistra e con due dita con le spaventose  unghie  cava un occhio a Ipazia che emette un grido straziante, Pietro con le unghie grondanti di sangue cava l'uno e l'altro occhio. Urla il carnefice: al posto dei due  piccoli  soli  ci sono due cavità sanguinolente. Pietro ordina  ai monaci di mettere Ipazia sul marmo dell'altare in mezzo ai petali bianchi: avvicina il grosso guscio di conchiglia al grembo, le fa divaricare dagli sgherri le gambe, prende a squarciare dal pube, a penetrarla con la conchiglia tagliente. Ipazia   emette grida strozzate, disperate; la voce rabbiosa del demonio tuona nella cattedrale densa di incenso e di strida indemoniate “Tu non puoi essere uccisa come un qualunque nemico; tu devi essere smembrata, così faremo a pezzi anche il tuo pensiero, i tuoi progetti, i ricordi, quel cielo che hai violato!” e tu sarai smembrata perché oltretutto quello che hai detto e che hai fatto, tu sei una  donna, donna, donna!”.

I rantoli strazianti di Ipazia vanno oltre l'altare – le staccano le mani, attaccano le sue gambe, le strappano  i seni, le labbra, la divorano, cacciano urla sguaiate. I figli del demonio obbligano a scavare con i miei occhi nello scempio del suo corpo; a decine, a centinaia strappano a brandelli quella povera creatura. Pietro il Lettore, ebbro di sangue, si fa largo nel sangue, riesce a piombare sulla ciurma dei monaci assassini e urla di non strapparle il cuore! Questo privilegio tocca a lui! I monaci cacciano urla sguaiate, Pietro il Lettore si fa largo nel sangue e riesce a piombare sul corpo seviziato, alza la conchiglia affilata, solleva gli occhi sulla croce d'avorio, cala  un colpo mortale sotto i brandelli del seno di Ipazia, squarciandole il cuore. Un ultimo sussulto di vita, il macellaio non si ferma, scava, solleva, protende la mano insanguinata in alto. Poi l'ultima corsa verso la porta della luna e infine al Cinerone: qui si brucia la spazzatura e il branco di demoni getta in mezzo all’immondizia i resti  di Ipazia. Le fauci del Cinerone prendono a vomitare  una fuliggine orribile, a sporcare la purezza del cielo stellato…

Là imbrattato di sangue Pietro il Lettore, levando al cielo le unghie insanguinate, urla “questo dice Agostino di Ippona! la donna è immondizia! E  anche tu, Ipazia d'Alessandria, sei solo …immondizia! Immondizia…!immondizia…! (Adriano Petta – Antonino Colavito “Ipazia, scienziata alessandrina” ed. Lampi di Stampa 2004).

Filosofa neoplatonica, musicologa, scienziata matematica e fisica, madre della scienza sperimentale (studiò e realizzò l'astrolabio di telescopio) e come scrisse Pascal “ultimo fiore meraviglioso della gentilezza della scienza e della medicina”.  Ma su Ipazia e l'intera umanità si abbatté la più grossa delle sventure: l'ascesa al potere della Chiesa cattolica e il patto di sangue stipulato con l'impero romano agonizzante. Questo patto prevedeva la cancellazione delle biblioteche, della scienza, degli scienziati, l'annullamento del libero pensiero, della ricerca scientifica. Alla donna doveva essere impedito l'accesso alla religione, alla scuola, all'arte, alla scienza.

In poche decine di anni il piano venne quasi interamente realizzato da Ambrogio, Giovanni Crisostomo,  Agostino, Cirillo, giganti del nascente impero della Chiesa che trovarono un ultimo impedimento: una giovane bellissima creatura a capo della scuola alessandrina: Ipazia, la scienziata la quale al termine di una giornata di studi di ricerca, si gettava sulle spalle il mantello dei filosofi e andava in giro per Alessandria a spiegare alla gente con ingegnosa straordinaria saggezza cosa volesse dire libertà di pensiero, della ragione.

È Cirillo vescovo il patriarca di Alessandria a ordinare la sua morte.

Violare qualunque essere umano è ingiusto, ma trucidare Ipazia, ha arrecato un danno incalcolabile all'umanità intera. Da quel marzo del 415 d.C. la Chiesa cattolica oltre a imprigionare, torturare, bruciare vivi popoli interi, incatenò la mente degli uomini per manovrarli e dominarli.

Nessun mea culpa potrà mai restituire all'umanità tanto sangue innocente (né allora, né durante i roghi delle streghe, né oggi). Nel 415 d.C. a nulla valse la voce isolata del prefetto augustale Oreste che cercò inutilmente di difendere e di salvare la scienziata. Quando giunse ad Alessandria prima di andare a visitare il vescovo Cirillo, Oreste andò a rendere omaggio a Ipazia; da lei apprese che non poteva definirsi realmente pagana perché “qualunque religione, qualunque dogma è un freno alla libera ricerca e può rappresentare una gabbia che non permette di indagare liberamente sulle origini della vita, sul destino dell'uomo”. Dopo l’incendio della biblioteca alessandrina, alla proposta di convertirsi al cristianesimo in cambio di maggiori sovvenzioni per la sua scuola lei aveva rifiutato dicendo “se mi faccio comprare, non sono più libera e non potrei studiare e così non funziona una mente libera, anch'essa ha le sue regole”.☺

 ninive@aliceposta.it

 

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