Prima che tu dica pronto è il titolo di un racconto in cui Italo Calvino ci ha regalato una poetica riflessione su uno dei mezzi tecnologici contemporanei che, mai come in questo tempo, è al centro dell’attenzione e delle polemiche.
Le indagini relative a presunti reati, com’è noto, si svolgono ormai attraverso le intercettazioni delle chiamate telefoniche dei sospettati e intorno a questo metodo si sono scatenate, recentemente, prese di posizione, anche vigorose, con numerosi tentativi di regolare la “scottante” materia mediante apposite disposizioni di legge. Orecchi indiscreti rispetto alla vita degli altri per alcuni, modo sicuro per scoprire comportamenti criminali secondo altri.
“Cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno di un’eco” è la descrizione, apparentemente arida, dell’apparecchio telefonico che qualche decennio fa ci offriva Calvino, sottolineando, già allora, l’importanza del “medium telefono”.
A distanza di diversi anni abbiamo acquistato familiarità con un altro tipo di telefono, il cellulare. Il pratico e utilissimo strumento che permette di comunicare in qualsiasi luogo o situazione si è evoluto in maniera esorbitante al punto da non rivelarsi più solamente come una serie di bottoni da pigiare, non più come semplice trasmettitore di voce: “il telefonino si inserisce in una storia gloriosa e straordinaria che ha inciso sugli stili di vita delle persone, dapprima di poche, ma poi di tutte e nulla ormai come il telefono sembra così essenziale per stare al mondo…E il telefonino è giunto ad una tale ubiquità che le nuove generazioni lo considerano un prodotto di natura, come il latte o il pomodoro” (Vittorino Andreoli). Un prodotto in continua evoluzione, che si modifica e si aggiorna, mutando anche il proprio nome, che – ovviamente – appartiene alla lingua inglese.
Attraverso intense campagne pubblicitarie, oggi sentiamo parlare, infatti, non più genericamente di cellulare, bensì di smartphone [pronuncia: smartfon], vocabolo che viene tradotto, correttamente, nella nostra lingua con “telefono intelligente”. Non si tratta ormai soltanto di un cellulare; al contrario ci si riferisce ad un computer in miniatura che può essere usato dappertutto così da avere l’intero nostro ambiente di lavoro o di studio “a portata di dita”! A mio parere, una denominazione appropriata quella inglese, ed efficacemente rispondente.
Il termine è composto dal sostantivo phone [pronuncia: fon] (abbreviazione di telephone), mentre l’aggettivo smart assomma in sé una pluralità semantica. Sembra quasi che, attraverso il nome, gli ideatori di questo sofisticatissimo congegno elettronico abbiano voluto rappresentare le varie e sorprendenti funzioni che il telefonino può esplicare.
Per l’aggettivo smart, in italiano, abbiamo corrispettivi sia relativi a qualità intellettive (“sveglio, scaltro, intelligente”) che estetiche (“elegante, brillante”); smart è la persona dal carattere forte, dotata di ironia e quindi pungente o spiritosa verso gli altri; ed è anche colui o colei che si distingue per genialità ed inventiva.
“Il telefono mobile, mobile assieme all’uomo, … è un oggetto bello, gradevole, non ingombrante, con cui si abbellisce il proprio corpo fino a farne parte integrante… il telefonino diventa un mondo intero”, ci ricorda ancora Vittorino Andreoli.
Un banalissimo apparecchio elettronico con tutte le qualità che meglio si adatterebbero ad una persona: è questo che caratterizza la nostra contemporaneità. Peccato che tanta attenzione e cura sembrano oggi essere riservate esclusivamente ai congegni tecnologici, lasciando in ombra la funzione primaria per cui questi mezzi sono stati creati: essere utili alle persone, costituire – come sostiene Calvino – “un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme”!
Crediamo ancora che possa essere così, nonostante “il rombo delle onde (che) travolge senza speranza”? ☺
dario.carlone@tiscali.it
Prima che tu dica pronto è il titolo di un racconto in cui Italo Calvino ci ha regalato una poetica riflessione su uno dei mezzi tecnologici contemporanei che, mai come in questo tempo, è al centro dell’attenzione e delle polemiche.
Le indagini relative a presunti reati, com’è noto, si svolgono ormai attraverso le intercettazioni delle chiamate telefoniche dei sospettati e intorno a questo metodo si sono scatenate, recentemente, prese di posizione, anche vigorose, con numerosi tentativi di regolare la “scottante” materia mediante apposite disposizioni di legge. Orecchi indiscreti rispetto alla vita degli altri per alcuni, modo sicuro per scoprire comportamenti criminali secondo altri.
“Cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno di un’eco” è la descrizione, apparentemente arida, dell’apparecchio telefonico che qualche decennio fa ci offriva Calvino, sottolineando, già allora, l’importanza del “medium telefono”.
A distanza di diversi anni abbiamo acquistato familiarità con un altro tipo di telefono, il cellulare. Il pratico e utilissimo strumento che permette di comunicare in qualsiasi luogo o situazione si è evoluto in maniera esorbitante al punto da non rivelarsi più solamente come una serie di bottoni da pigiare, non più come semplice trasmettitore di voce: “il telefonino si inserisce in una storia gloriosa e straordinaria che ha inciso sugli stili di vita delle persone, dapprima di poche, ma poi di tutte e nulla ormai come il telefono sembra così essenziale per stare al mondo…E il telefonino è giunto ad una tale ubiquità che le nuove generazioni lo considerano un prodotto di natura, come il latte o il pomodoro” (Vittorino Andreoli). Un prodotto in continua evoluzione, che si modifica e si aggiorna, mutando anche il proprio nome, che – ovviamente – appartiene alla lingua inglese.
Attraverso intense campagne pubblicitarie, oggi sentiamo parlare, infatti, non più genericamente di cellulare, bensì di smartphone [pronuncia: smartfon], vocabolo che viene tradotto, correttamente, nella nostra lingua con “telefono intelligente”. Non si tratta ormai soltanto di un cellulare; al contrario ci si riferisce ad un computer in miniatura che può essere usato dappertutto così da avere l’intero nostro ambiente di lavoro o di studio “a portata di dita”! A mio parere, una denominazione appropriata quella inglese, ed efficacemente rispondente.
Il termine è composto dal sostantivo phone [pronuncia: fon] (abbreviazione di telephone), mentre l’aggettivo smart assomma in sé una pluralità semantica. Sembra quasi che, attraverso il nome, gli ideatori di questo sofisticatissimo congegno elettronico abbiano voluto rappresentare le varie e sorprendenti funzioni che il telefonino può esplicare.
Per l’aggettivo smart, in italiano, abbiamo corrispettivi sia relativi a qualità intellettive (“sveglio, scaltro, intelligente”) che estetiche (“elegante, brillante”); smart è la persona dal carattere forte, dotata di ironia e quindi pungente o spiritosa verso gli altri; ed è anche colui o colei che si distingue per genialità ed inventiva.
“Il telefono mobile, mobile assieme all’uomo, … è un oggetto bello, gradevole, non ingombrante, con cui si abbellisce il proprio corpo fino a farne parte integrante… il telefonino diventa un mondo intero”, ci ricorda ancora Vittorino Andreoli.
Un banalissimo apparecchio elettronico con tutte le qualità che meglio si adatterebbero ad una persona: è questo che caratterizza la nostra contemporaneità. Peccato che tanta attenzione e cura sembrano oggi essere riservate esclusivamente ai congegni tecnologici, lasciando in ombra la funzione primaria per cui questi mezzi sono stati creati: essere utili alle persone, costituire – come sostiene Calvino – “un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme”!
Crediamo ancora che possa essere così, nonostante “il rombo delle onde (che) travolge senza speranza”? ☺
Prima che tu dica pronto è il titolo di un racconto in cui Italo Calvino ci ha regalato una poetica riflessione su uno dei mezzi tecnologici contemporanei che, mai come in questo tempo, è al centro dell’attenzione e delle polemiche.
Le indagini relative a presunti reati, com’è noto, si svolgono ormai attraverso le intercettazioni delle chiamate telefoniche dei sospettati e intorno a questo metodo si sono scatenate, recentemente, prese di posizione, anche vigorose, con numerosi tentativi di regolare la “scottante” materia mediante apposite disposizioni di legge. Orecchi indiscreti rispetto alla vita degli altri per alcuni, modo sicuro per scoprire comportamenti criminali secondo altri.
“Cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno di un’eco” è la descrizione, apparentemente arida, dell’apparecchio telefonico che qualche decennio fa ci offriva Calvino, sottolineando, già allora, l’importanza del “medium telefono”.
A distanza di diversi anni abbiamo acquistato familiarità con un altro tipo di telefono, il cellulare. Il pratico e utilissimo strumento che permette di comunicare in qualsiasi luogo o situazione si è evoluto in maniera esorbitante al punto da non rivelarsi più solamente come una serie di bottoni da pigiare, non più come semplice trasmettitore di voce: “il telefonino si inserisce in una storia gloriosa e straordinaria che ha inciso sugli stili di vita delle persone, dapprima di poche, ma poi di tutte e nulla ormai come il telefono sembra così essenziale per stare al mondo…E il telefonino è giunto ad una tale ubiquità che le nuove generazioni lo considerano un prodotto di natura, come il latte o il pomodoro” (Vittorino Andreoli). Un prodotto in continua evoluzione, che si modifica e si aggiorna, mutando anche il proprio nome, che – ovviamente – appartiene alla lingua inglese.
Attraverso intense campagne pubblicitarie, oggi sentiamo parlare, infatti, non più genericamente di cellulare, bensì di smartphone [pronuncia: smartfon], vocabolo che viene tradotto, correttamente, nella nostra lingua con “telefono intelligente”. Non si tratta ormai soltanto di un cellulare; al contrario ci si riferisce ad un computer in miniatura che può essere usato dappertutto così da avere l’intero nostro ambiente di lavoro o di studio “a portata di dita”! A mio parere, una denominazione appropriata quella inglese, ed efficacemente rispondente.
Il termine è composto dal sostantivo phone [pronuncia: fon] (abbreviazione di telephone), mentre l’aggettivo smart assomma in sé una pluralità semantica. Sembra quasi che, attraverso il nome, gli ideatori di questo sofisticatissimo congegno elettronico abbiano voluto rappresentare le varie e sorprendenti funzioni che il telefonino può esplicare.
Per l’aggettivo smart, in italiano, abbiamo corrispettivi sia relativi a qualità intellettive (“sveglio, scaltro, intelligente”) che estetiche (“elegante, brillante”); smart è la persona dal carattere forte, dotata di ironia e quindi pungente o spiritosa verso gli altri; ed è anche colui o colei che si distingue per genialità ed inventiva.
“Il telefono mobile, mobile assieme all’uomo, … è un oggetto bello, gradevole, non ingombrante, con cui si abbellisce il proprio corpo fino a farne parte integrante… il telefonino diventa un mondo intero”, ci ricorda ancora Vittorino Andreoli.
Un banalissimo apparecchio elettronico con tutte le qualità che meglio si adatterebbero ad una persona: è questo che caratterizza la nostra contemporaneità. Peccato che tanta attenzione e cura sembrano oggi essere riservate esclusivamente ai congegni tecnologici, lasciando in ombra la funzione primaria per cui questi mezzi sono stati creati: essere utili alle persone, costituire – come sostiene Calvino – “un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme”!
Crediamo ancora che possa essere così, nonostante “il rombo delle onde (che) travolge senza speranza”? ☺
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