Il natale di dostoevskij
14 Dicembre 2020
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Il natale di dostoevskij

Fra il 1873 e il 1881 il grande romanziere russo Fëdor Dostoevskij scrisse una serie di articoli per la rivista “Il Cittadino”, poi raccolti in volumi, su vari temi culturali, problemi di attualità o eventi di cronaca nera che avevano turbato l’opinione pubblica. A un evento realmente accaduto è ispirato per esempio il racconto Il bambino presso l’albero di Natale di Gesù.

Un bambino di sei anni si sveglia, alla vigilia di Natale, in un gelido scantinato. Ha fame e freddo, e cerca invano di svegliare anche la madre, che dorme su un sottile pagliericcio. In un angolo della cantina giace una vecchietta, che era stata bambinaia, e ora geme per i reumatismi; in un altro angolo è disteso un uomo ubriaco, con una vestaglia. Allora, con addosso solo una camicina, il piccolo esce per le strade innevate di una città (che potrebbe essere Pietroburgo) completamente illuminata dalle luci del Natale. Il primo che lo vede è un poliziotto, ma, non avendo voglia di occuparsene, si gira dall’altra parte. Proseguendo nel suo cammino, dietro una grande vetrata il bambino vede delle donne, splendidamente vestite, che distribuiscono pasticcini a tutti quelli che entrano. Così prova a entrare anche lui, ma viene rimproverato. Solo una signora gli regala una monetina e lo rimanda fuori al gelo. Le mani intanto gli si sono congelate e il soldino gli scivola via. Con gli occhi e la bocca spalancati il bambino si ferma quindi a osservare una vetrina con dei giocattoli che cantano e ballano. Ma in quel momento un ragazzaccio lo strattona e lo fa cadere nella neve. A quel punto il piccolo scappa e va a nascondersi dietro una catasta di legna, dove ha una visione: delle braccia tese verso di lui e una voce misteriosa che gli dice: “Vieni alla mia festa di Natale, bambino”. Così si ritrova in un luogo caldo, luminoso e pieno di bimbi: ad accoglierlo c’è la madre sorridente. La mattina seguente, dietro la legna accatastata, i proprietari trovano il cadavere del piccolo assiderato.

La festa in cui il bambino si ritrova è l’eternità, e le braccia e la voce che lo accolgono sono quelle di Gesù, che ogni anno organizza una festa di Natale per tutti i bambini che sulla Terra non hanno un albero di Natale. Il piccolo dello scantinato è a sua volta il Bambino di Betlemme, che vaga al freddo con una camicina (le fasce) in cerca di uomini che vogliano accoglierlo, incontra una serie di figure che lo rifiutano (il poliziotto, le ricche donne, il ragazzaccio), per loro muore in croce (la catasta di legna), ma risorge nella festa eterna. Lo scantinato è il presepio, rappresentato secondo il modello delle icone russe: al centro è distesa la Madonna, anch’essa su un giaciglio sottilissimo; negli angoli inferiori ci sono da un lato san Giuseppe (vestito con un chitone, il cui corrispettivo nell’epoca moderna può essere una vestaglia) e dall’altro la levatrice, di cui la Madonna non ebbe bisogno.

Dostoevskij era convinto che la storia di Cristo si ripeta in tutte le vite umane. E lui stesso aveva sperimentato più volte nella sua vita l’intervento di Dio: con la condanna a morte e la grazia arrivata all’ultimo istante prima dell’esecuzione; durante i lavori forzati in Siberia e la lettura a memoria dell’ unico libro a sua disposizione, il Vangelo; nella malattia, la crisi creativa ed economica, fino all’incontro salvifico con la futura moglie Anna. Per questo fa in modo che Dio sia sempre problematicamente presente nei suoi capolavori, da L’idiota a I fratelli Karamazov, e ci insegna come Dio passi accanto a noi in infiniti modi e soprattutto nelle creature fragili, come i bambini, dalla cui sofferenza era tormentato.

L’augurio per questo Natale è semplicemente un altro finale per questo racconto, o almeno uno svolgimento diverso e positivo per ognuno dei tre incontri del bambino, nello spirito del detto evangelico “tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt. 25, 40). ☺

 

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