Il peperoncino (Capsicum annuum), pianta della famiglia delle Solanacee, la stessa a cui appartengono la patata, il pomodoro, il peperone, il tabacco e tantissime altre, è originario delle Americhe ma oggi è coltivato in tutto il mondo. Il peperoncino piccante era noto come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5.500 a.C. era conosciuto in Messico dove era usato come spezia. Giunse in Europa grazie a Cristoforo Colombo in occasione del suo secondo viaggio nel 1493, ma è difficile determinare quando si sia diffuso in Italia, soprattutto nelle regioni centro-meridionali. Già nella seconda metà del 1500, il medico senese Pier Andrea Mattioli citava il peperoncino con il nome di «pepe d’India» per la somiglianza nel gusto con il pepe, piper in latino. Questo spiega anche come mai nel nostro dialetto il peperoncino venga chiamato ’u p’p’dín’je. In Europa è piuttosto usato il termine «paprica», dolce o piccante, che indica in realtà un prodotto caratteristico dell’Ungheria. Il nome latino Capsicum, secondo alcuni, deriva da capsa, che significa «scatola», per la particolare forma del frutto, che ricorda proprio una scatola con dentro i semi. Altri invece lo fanno derivare dal greco kapto, che significa «mordere», con riferimento al piccante che “morde” la lingua e il palato quando lo si mangia.
La piccantezza, caratteristica peculiare del peperoncino, è misurata empiricamente tramite la scala di Scoville, in gradi da 0 a 10, e quantitativamente in unità di Scoville. Il peperone dolce, ad esempio, ha zero unità. Il record per il più alto numero di unità Scoville è conteso da diversi tipi di peperoncini: attualmente pare che il più piccante peperoncino al mondo sia di origine indiana: si tratta del Bhut Jolokia, che ha fatto registrare oltre 1.000.000 di unità. Il principale artefice della piccantezza del peperoncino è un alcaloide, la capsaicina, caratterizzata da una incredibile stabilità per cui resta inalterata anche per lunghi periodi di tempo, persino dopo cottura e/o congelamento. Questa sostanza non è solubile in acqua, quindi bere per alleviare la sensazione di bruciore è del tutto inutile; la capsaicina si scioglie molto bene nei grassi e nell’alcol, quindi il bruciore può essere efficacemente neutralizzato se si ingerisce, ad esempio, un cucchiaino d’olio. Molto efficace è anche masticare della mollica di pane, perché può rimuovere meccanicamente il peperoncino dalla bocca. Molto interessante è anche l’effetto favorevole della capsaicina sul controllo dell’appetito, sulla spesa energetica e sull’ossidazione dei grassi, con un effetto, a breve termine, di aumento dell’ormone della sazietà ed inibizione di quello della fame. Essa, tuttavia, ha anche dei potenziali effetti tossici, studiati negli ultimi decenni: un eccesso nell’assunzione di capsaicina può infatti determinare la morte per paralisi respiratoria.
I peperoncini sono poi ricchissimi di vitamina C, per cui si sono dimostrati utili nella cura delle malattie da raffreddamento, ed hanno un forte potere antiossidante, proprietà che ha conferito loro la fama di antitumorali. Hanno inoltre un effetto antibatterico, cosicché cibi cotti col peperoncino possono essere conservati relativamente a lungo: questo spiega perché più ci si sposta in regioni a clima caldo, più abbondante è il loro utilizzo in cucina.
Questo frutto viene consumato fresco, essiccato, affumicato, cotto o crudo. È utilizzato per aromatizzare, nonché per preparare salse piccanti. Gli usi sono difficilmente elencabili, essendo legati alle tradizioni locali, alla fantasia di chi cucina e di chi produce alimenti. Valga per tutti l’esempio dei vari salumi contenenti peperoncino che si producono nelle regioni meridionali italiane. Si ricorda poi che è possibile gustare perfino la cioccolata al peperoncino!
Un uso frequente della particolare varietà di peperoncino a ciliegia – ideale da riempire – che dalla tarda estate sino a circa metà ottobre si trova negli orti e sulle bancarelle dei mercati, è quello spiegato nella ricetta che segue, da gustare come contorno.
Peperoncini piccanti ripieni
Ingredienti: 1 Kg di peperoncini piccanti (tutti della stessa dimensione); 300 g di tonno sott’olio di ottima qualità; 100 g di capperi; 100 g di acciughe; 1 litro di aceto di vino bianco; 1 litro di acqua; olio di oliva q.b.
Procedimento: lavare i peperoncini (in- dossare un paio di guanti in lattice per proteggere la pelle dall’azione “bruciante”); eliminare la parte centrale della bacca e, aiutandosi con il manico di un cucchiaino da caffè, eliminare i semi. Portare a bollore l’aceto e l’acqua; tuffarvi i peperoncini e farli bollire solo per due minuti. Scolarli e porli ad asciugare a testa in giù; dopo circa un’ora capovolgerli e lasciarli in questa posizione per un’altra ora. Preparare il ripieno frullando tonno, capperi e acciughe ben sgocciolati. Farcire i peperoncini e conservarli in un vasetto di vetro. Coprire perfettamente con l’olio di oliva e consumarli entro 3-4 mesi: l’eccessiva permanenza nell’olio provoca una sorta di “lessatura” della polpa. ☺
giannotti.gildo@gmail.com
Il peperoncino (Capsicum annuum), pianta della famiglia delle Solanacee, la stessa a cui appartengono la patata, il pomodoro, il peperone, il tabacco e tantissime altre, è originario delle Americhe ma oggi è coltivato in tutto il mondo. Il peperoncino piccante era noto come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5.500 a.C. era conosciuto in Messico dove era usato come spezia. Giunse in Europa grazie a Cristoforo Colombo in occasione del suo secondo viaggio nel 1493, ma è difficile determinare quando si sia diffuso in Italia, soprattutto nelle regioni centro-meridionali. Già nella seconda metà del 1500, il medico senese Pier Andrea Mattioli citava il peperoncino con il nome di «pepe d’India» per la somiglianza nel gusto con il pepe, piper in latino. Questo spiega anche come mai nel nostro dialetto il peperoncino venga chiamato ’u p’p’dín’je. In Europa è piuttosto usato il termine «paprica», dolce o piccante, che indica in realtà un prodotto caratteristico dell’Ungheria. Il nome latino Capsicum, secondo alcuni, deriva da capsa, che significa «scatola», per la particolare forma del frutto, che ricorda proprio una scatola con dentro i semi. Altri invece lo fanno derivare dal greco kapto, che significa «mordere», con riferimento al piccante che “morde” la lingua e il palato quando lo si mangia.
La piccantezza, caratteristica peculiare del peperoncino, è misurata empiricamente tramite la scala di Scoville, in gradi da 0 a 10, e quantitativamente in unità di Scoville. Il peperone dolce, ad esempio, ha zero unità. Il record per il più alto numero di unità Scoville è conteso da diversi tipi di peperoncini: attualmente pare che il più piccante peperoncino al mondo sia di origine indiana: si tratta del Bhut Jolokia, che ha fatto registrare oltre 1.000.000 di unità. Il principale artefice della piccantezza del peperoncino è un alcaloide, la capsaicina, caratterizzata da una incredibile stabilità per cui resta inalterata anche per lunghi periodi di tempo, persino dopo cottura e/o congelamento. Questa sostanza non è solubile in acqua, quindi bere per alleviare la sensazione di bruciore è del tutto inutile; la capsaicina si scioglie molto bene nei grassi e nell’alcol, quindi il bruciore può essere efficacemente neutralizzato se si ingerisce, ad esempio, un cucchiaino d’olio. Molto efficace è anche masticare della mollica di pane, perché può rimuovere meccanicamente il peperoncino dalla bocca. Molto interessante è anche l’effetto favorevole della capsaicina sul controllo dell’appetito, sulla spesa energetica e sull’ossidazione dei grassi, con un effetto, a breve termine, di aumento dell’ormone della sazietà ed inibizione di quello della fame. Essa, tuttavia, ha anche dei potenziali effetti tossici, studiati negli ultimi decenni: un eccesso nell’assunzione di capsaicina può infatti determinare la morte per paralisi respiratoria.
I peperoncini sono poi ricchissimi di vitamina C, per cui si sono dimostrati utili nella cura delle malattie da raffreddamento, ed hanno un forte potere antiossidante, proprietà che ha conferito loro la fama di antitumorali. Hanno inoltre un effetto antibatterico, cosicché cibi cotti col peperoncino possono essere conservati relativamente a lungo: questo spiega perché più ci si sposta in regioni a clima caldo, più abbondante è il loro utilizzo in cucina.
Questo frutto viene consumato fresco, essiccato, affumicato, cotto o crudo. È utilizzato per aromatizzare, nonché per preparare salse piccanti. Gli usi sono difficilmente elencabili, essendo legati alle tradizioni locali, alla fantasia di chi cucina e di chi produce alimenti. Valga per tutti l’esempio dei vari salumi contenenti peperoncino che si producono nelle regioni meridionali italiane. Si ricorda poi che è possibile gustare perfino la cioccolata al peperoncino!
Un uso frequente della particolare varietà di peperoncino a ciliegia – ideale da riempire – che dalla tarda estate sino a circa metà ottobre si trova negli orti e sulle bancarelle dei mercati, è quello spiegato nella ricetta che segue, da gustare come contorno.
Peperoncini piccanti ripieni
Ingredienti: 1 Kg di peperoncini piccanti (tutti della stessa dimensione); 300 g di tonno sott’olio di ottima qualità; 100 g di capperi; 100 g di acciughe; 1 litro di aceto di vino bianco; 1 litro di acqua; olio di oliva q.b.
Procedimento: lavare i peperoncini (in- dossare un paio di guanti in lattice per proteggere la pelle dall’azione “bruciante”); eliminare la parte centrale della bacca e, aiutandosi con il manico di un cucchiaino da caffè, eliminare i semi. Portare a bollore l’aceto e l’acqua; tuffarvi i peperoncini e farli bollire solo per due minuti. Scolarli e porli ad asciugare a testa in giù; dopo circa un’ora capovolgerli e lasciarli in questa posizione per un’altra ora. Preparare il ripieno frullando tonno, capperi e acciughe ben sgocciolati. Farcire i peperoncini e conservarli in un vasetto di vetro. Coprire perfettamente con l’olio di oliva e consumarli entro 3-4 mesi: l’eccessiva permanenza nell’olio provoca una sorta di “lessatura” della polpa. ☺
Il peperoncino (Capsicum annuum), pianta della famiglia delle Solanacee, la stessa a cui appartengono la patata, il pomodoro, il peperone, il tabacco e tantissime altre, è originario delle Americhe ma oggi è coltivato in tutto il mondo. Il peperoncino piccante era noto come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5.500 a.C. era conosciuto in Messico dove era usato come spezia. Giunse in Europa grazie a Cristoforo Colombo in occasione del suo secondo viaggio nel 1493, ma è difficile determinare quando si sia diffuso in Italia, soprattutto nelle regioni centro-meridionali. Già nella seconda metà del 1500, il medico senese Pier Andrea Mattioli citava il peperoncino con il nome di «pepe d’India» per la somiglianza nel gusto con il pepe, piper in latino. Questo spiega anche come mai nel nostro dialetto il peperoncino venga chiamato ’u p’p’dín’je. In Europa è piuttosto usato il termine «paprica», dolce o piccante, che indica in realtà un prodotto caratteristico dell’Ungheria. Il nome latino Capsicum, secondo alcuni, deriva da capsa, che significa «scatola», per la particolare forma del frutto, che ricorda proprio una scatola con dentro i semi. Altri invece lo fanno derivare dal greco kapto, che significa «mordere», con riferimento al piccante che “morde” la lingua e il palato quando lo si mangia.
La piccantezza, caratteristica peculiare del peperoncino, è misurata empiricamente tramite la scala di Scoville, in gradi da 0 a 10, e quantitativamente in unità di Scoville. Il peperone dolce, ad esempio, ha zero unità. Il record per il più alto numero di unità Scoville è conteso da diversi tipi di peperoncini: attualmente pare che il più piccante peperoncino al mondo sia di origine indiana: si tratta del Bhut Jolokia, che ha fatto registrare oltre 1.000.000 di unità. Il principale artefice della piccantezza del peperoncino è un alcaloide, la capsaicina, caratterizzata da una incredibile stabilità per cui resta inalterata anche per lunghi periodi di tempo, persino dopo cottura e/o congelamento. Questa sostanza non è solubile in acqua, quindi bere per alleviare la sensazione di bruciore è del tutto inutile; la capsaicina si scioglie molto bene nei grassi e nell’alcol, quindi il bruciore può essere efficacemente neutralizzato se si ingerisce, ad esempio, un cucchiaino d’olio. Molto efficace è anche masticare della mollica di pane, perché può rimuovere meccanicamente il peperoncino dalla bocca. Molto interessante è anche l’effetto favorevole della capsaicina sul controllo dell’appetito, sulla spesa energetica e sull’ossidazione dei grassi, con un effetto, a breve termine, di aumento dell’ormone della sazietà ed inibizione di quello della fame. Essa, tuttavia, ha anche dei potenziali effetti tossici, studiati negli ultimi decenni: un eccesso nell’assunzione di capsaicina può infatti determinare la morte per paralisi respiratoria.
I peperoncini sono poi ricchissimi di vitamina C, per cui si sono dimostrati utili nella cura delle malattie da raffreddamento, ed hanno un forte potere antiossidante, proprietà che ha conferito loro la fama di antitumorali. Hanno inoltre un effetto antibatterico, cosicché cibi cotti col peperoncino possono essere conservati relativamente a lungo: questo spiega perché più ci si sposta in regioni a clima caldo, più abbondante è il loro utilizzo in cucina.
Questo frutto viene consumato fresco, essiccato, affumicato, cotto o crudo. È utilizzato per aromatizzare, nonché per preparare salse piccanti. Gli usi sono difficilmente elencabili, essendo legati alle tradizioni locali, alla fantasia di chi cucina e di chi produce alimenti. Valga per tutti l’esempio dei vari salumi contenenti peperoncino che si producono nelle regioni meridionali italiane. Si ricorda poi che è possibile gustare perfino la cioccolata al peperoncino!
Un uso frequente della particolare varietà di peperoncino a ciliegia – ideale da riempire – che dalla tarda estate sino a circa metà ottobre si trova negli orti e sulle bancarelle dei mercati, è quello spiegato nella ricetta che segue, da gustare come contorno.
Peperoncini piccanti ripieni
Ingredienti: 1 Kg di peperoncini piccanti (tutti della stessa dimensione); 300 g di tonno sott’olio di ottima qualità; 100 g di capperi; 100 g di acciughe; 1 litro di aceto di vino bianco; 1 litro di acqua; olio di oliva q.b.
Procedimento: lavare i peperoncini (in- dossare un paio di guanti in lattice per proteggere la pelle dall’azione “bruciante”); eliminare la parte centrale della bacca e, aiutandosi con il manico di un cucchiaino da caffè, eliminare i semi. Portare a bollore l’aceto e l’acqua; tuffarvi i peperoncini e farli bollire solo per due minuti. Scolarli e porli ad asciugare a testa in giù; dopo circa un’ora capovolgerli e lasciarli in questa posizione per un’altra ora. Preparare il ripieno frullando tonno, capperi e acciughe ben sgocciolati. Farcire i peperoncini e conservarli in un vasetto di vetro. Coprire perfettamente con l’olio di oliva e consumarli entro 3-4 mesi: l’eccessiva permanenza nell’olio provoca una sorta di “lessatura” della polpa. ☺
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