Il piacere di incontrarsi
31 Luglio 2021
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Il piacere di incontrarsi

In uno dei miei rientri a casa da Larino, in autobus, ascoltando distrattamente la radio – immancabile strumento di compagnia per il conducente – ho sentito più volte ripetere il vocabolo showcase [pronuncia: sciocheis]. Si trattava di un quiz, al quale gli ascoltatori erano invitati a partecipare, il cui premio sarebbe stato accedere allo showcase di uno degli idoli musicali del momento. Per il resto del viaggio mi sono chiesto in cosa consistesse questo premio così ambìto: showcase vuol dire vetrina in inglese, in realtà non quella di un negozio che è meglio denominata shop window (vale a dire finestra del negozio). Come esprime il vocabolo stesso, showcase è un contenitore, case [pronuncia: cheis] appunto, presumibilmente trasparente, solitamente di vetro, in cui sono racchiusi oggetti messi lì allo scopo di essere mostrati. Le nostre case ne ospitano diverse, a volte sobrie, altre volte pretenziose: de gustibus! Ma proseguendo nella spiegazione del termine anglofono, precisiamo che show non è soltanto il sostantivo che indica l’esibizione di qualcuno, lo spettacolo in genere; esso è anche un verbo che traduce letteralmente “mostrare, indicare”.

La domanda che l’intervento radiofonico aveva suscitato in me restava però ancora inevasa. Ho quindi fatto ricerche in rete – ormai l’unico mezzo in cui reperire informazioni aggiornate – e sono giunto alla conclusione che in campo musicale, anche a causa della recente pandemia, vengono promossi spettacoli, questi showcase, che altro non sono che esibizioni realizzate appositamente per il web: musica, canzoni, concerti, performance  – come si ama dire oggi – fruibili comodamente su internet, da dispositivi portatili, in qualsiasi luogo e momento.

È proprio vero che non si smette mai di imparare e che la società contemporanea, abituata a ritmi veloci, propone – ahinoi – novità sempre più attrattive ed allettanti, soprattutto per le giovani generazioni. Ma l’aspetto performativo, sia musicale che artistico, non è il solo significato del termine di cui stiamo discutendo. A guardare bene showcase è anche una grande attività economica per il mondo dell’editoria. Si sta parlando infatti, da alcuni mesi, di un nuovo prodotto dell’arcinoto motore di ricerca Google: il suo nome è, guarda caso, News Showcase [pronuncia: niussciocheis]. Secondo quanto riferiscono gli esperti del settore, questa vetrina di notizie sostituirebbe quelle che si trovano in rete, le quali vengono semplicemente aggregate dal motore di ricerca, quasi senza criterio e non prevedendo la corresponsione di alcun compenso agli autori; lo showcase comporterebbe invece un costo da pagare agli editori, che a loro volta sarebbero in prima persona coinvolti nella scelta dei contenuti, nella definizione delle priorità temporali, nella cura e qualità delle notizie offerte.

Come riporta il Sole 24 ore di qualche mese fa, gli accordi per questo servizio sono “firmati su base individuale” e “rappresentano un importante passo avanti nella relazione di Google con gli editori italiani”; per quelli aderenti sono previste remunerazioni ed è tenuta in considerazione la Direttiva Europea sul Copyright in relazione agli usi specifici online delle pubblicazioni giornalistiche. Una gestione – verrebbe da dire – trasparente come la vetrina stessa, e ci auguriamo attendibile, onesta, fedele alla realtà dei fatti. Correttezza, affidabilità, chiarezza: tutti buoni propositi che ci invogliano a guardare con occhi diversi al futuro, all’interno di una “ripresa” post Covid degna di questo nome.

Mi sia consentita, a questo punto, una di -vagazione se- mantica. Showcase è, ed è stata, metafora di immobilismo causato dalle restrizioni sanitarie cui, nostro malgrado, ci siamo dovuti attenere per salvaguardare noi stessi e gli altri: custoditi in una vetrina, protetti ma visibili e in contatto “virtuale” gli uni con gli altri, grazie alla rete. Il pensiero però corre verso un’“altra vetrina”, non limitata da lastre di vetro: è l’estate imminente, con la voglia di uscire dopo le restrizioni dovute alla pandemia, con il desiderio di spostarsi, di godere degli spazi aperti, di riprendere a viaggiare. È lo showcase della fiducia ritrovata, della consapevolezza, della voglia di mostrarsi, ed anche – per chi come me ha qualche anno in più – di parole dolci e malinconiche come quelle di Cesare Pavese: “della mia infanzia non mi restava altro che l’estate. Le vie strette che sbucavano nei campi da ogni parte, di giorno e di sera, erano i cancelli della vita e del mondo” (La bella estate).☺

 

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