il potere della gente di Dario Carlone | La Fonte TV
People have the power [pronuncia: pipol hev d’pauer] cantava qualche anno fa la famosa rock star Patti Smith: i suoi versi, dolci e rudi al tempo stesso, evocavano un concetto che, seppur sfumato nel linguaggio della poesia-canzone, segna profondamente la nostra vita collettiva.
People power è una delle versioni inglesi per tradurre “democrazia”. Due termini formano la locuzione: people (“persone, gente”, per estensione “popolo”), sostantivo plurale che rimanda alla dimensione “politica”, nome collettivo col quale si indica un insieme di elementi, individui, ecc.; power, termine astratto che traduce “potere, sovranità” in senso giuridico.
Di sovranità popolare si sente parlare talmente spesso e in qualsiasi circostanza che il senso autentico di questa espressione sembra essersi ormai dileguato, affievolito fino a ridursi a fumosi e generici giri di parole. Eppure le radici della democrazia, così come intesa nel mondo occidentale, sono antiche, e nel percorrere le varie epoche storiche anche il concetto giuridico, quasi come l’homo sapiens, ha subìto un processo di evoluzione.
La costituzione americana del 1787 comincia con queste parole “We, the people” – “Noi il popolo”. Gli esiliati del Nuovo Mondo, che avevano sperimentato l’abbandono della propria terra, l’adatta- mento ad un ambiente diverso, che avevano cambiato cultura e abitudini, rivendicavano per sé e per la propria discendenza il “diritto” di sentirsi individui, membri di una collettività in cui non avrebbero dovuto contare posizione sociale o titolo nobiliare. Al grido di “nessuna tassa senza rappresentanza” [no taxation without representation], si ribellarono ai dominatori britannici e gettarono le basi di quel sistema di convivenza civile che, almeno in teoria, si può definire democrazia moderna. Lo sforzo dei primi presidenti, come ad esempio Thomas Jefferson, fu quello di perseverare nella convinzione che l’esperimento di far partecipare tutti alla gestione del potere avrebbe condotto alla conclusione che è possibile governare secondo ragione e verità, fugando menzogne e privilegi di rango o di nascita.
Convivenza all’insegna della razionalità: il secolo dei lumi, riservando alla Ragione il primato e la guida nelle vicende umane, poneva le basi per la modernità in campo giuridico. Gli avvenimenti successivi, i problemi creatisi e le soluzioni adottate, considerando anche i diversi contesti geopolitici, avrebbero modificato ed in parte vanificato questa idea così innovativa.
Quale people power vediamo all’opera oggi? È veramente democratico lo Stato in cui i cittadini, stanchi e delusi da una classe dirigente dedita esclusivamente a conservare i propri privilegi, non “possono” liberamente criticarne l’operato ed ottenerne le dimissioni? C’è sovranità popolare quando non si possono designare i candidati alle istituzioni nazionali o locali attraverso dibattiti aperti e libero confronto, ascoltando e prendendo in considerazione ciò che la cosiddetta “società civile” ritiene imprescindibile per chi riceverà il mandato elettorale e dovrà ricoprire un incarico pubblico? Quale potere hanno i cittadini che rivendicano, inascoltati, il diritto di contrastare gli scempi ambientali?
People power: per i padri fondatori della nazione americana era il sogno di dignità per ogni persona; per i padri costituenti italiani il riscatto dalla dittatura e l’affermazione della libertà di parola e di azione. “Il senso e il valore dell’Occidente … è la scommessa della modernità sulla universalità dei diritti, dunque il progetto democratico come realizzazione effettiva di eguale dignità/libertà/potere per l’esistenza irripetibile che tutti noi siamo. … Se vi rinuncia (e sempre più vi rinuncia) diventa solo un Occidente marrano” (Paolo Flores d’Arcais, Democrazia!). Sovranità popolare non ancora realizzata oppure in pericolo e soggetta a distorsioni quando non ad abolizioni, nel nostro paese e in tante altre parti del mondo occidentale.
Secondo Flores d’Arcais “la democrazia è innanzitutto e sempre lotta-per-la-democrazia” e la lotta ha come preludio la speranza, ciò che non deve mai mancare tra i membri di una collettività, come sintetizza mirabilmente il titolo di un volume che raccoglie testimonianze delle recenti “primavere arabe”: Il potere della gente è più forte della gente al potere!
“La gente ha il potere di sognare / di dettare le regole/ di lottare per cacciare dal mondo i folli” può ancora cantare oggi Patti Smith!☺
dario.carlone@tiscali.it
People have the power [pronuncia: pipol hev d’pauer] cantava qualche anno fa la famosa rock star Patti Smith: i suoi versi, dolci e rudi al tempo stesso, evocavano un concetto che, seppur sfumato nel linguaggio della poesia-canzone, segna profondamente la nostra vita collettiva.
People power è una delle versioni inglesi per tradurre “democrazia”. Due termini formano la locuzione: people (“persone, gente”, per estensione “popolo”), sostantivo plurale che rimanda alla dimensione “politica”, nome collettivo col quale si indica un insieme di elementi, individui, ecc.; power, termine astratto che traduce “potere, sovranità” in senso giuridico.
Di sovranità popolare si sente parlare talmente spesso e in qualsiasi circostanza che il senso autentico di questa espressione sembra essersi ormai dileguato, affievolito fino a ridursi a fumosi e generici giri di parole. Eppure le radici della democrazia, così come intesa nel mondo occidentale, sono antiche, e nel percorrere le varie epoche storiche anche il concetto giuridico, quasi come l’homo sapiens, ha subìto un processo di evoluzione.
La costituzione americana del 1787 comincia con queste parole “We, the people” – “Noi il popolo”. Gli esiliati del Nuovo Mondo, che avevano sperimentato l’abbandono della propria terra, l’adatta- mento ad un ambiente diverso, che avevano cambiato cultura e abitudini, rivendicavano per sé e per la propria discendenza il “diritto” di sentirsi individui, membri di una collettività in cui non avrebbero dovuto contare posizione sociale o titolo nobiliare. Al grido di “nessuna tassa senza rappresentanza” [no taxation without representation], si ribellarono ai dominatori britannici e gettarono le basi di quel sistema di convivenza civile che, almeno in teoria, si può definire democrazia moderna. Lo sforzo dei primi presidenti, come ad esempio Thomas Jefferson, fu quello di perseverare nella convinzione che l’esperimento di far partecipare tutti alla gestione del potere avrebbe condotto alla conclusione che è possibile governare secondo ragione e verità, fugando menzogne e privilegi di rango o di nascita.
Convivenza all’insegna della razionalità: il secolo dei lumi, riservando alla Ragione il primato e la guida nelle vicende umane, poneva le basi per la modernità in campo giuridico. Gli avvenimenti successivi, i problemi creatisi e le soluzioni adottate, considerando anche i diversi contesti geopolitici, avrebbero modificato ed in parte vanificato questa idea così innovativa.
Quale people power vediamo all’opera oggi? È veramente democratico lo Stato in cui i cittadini, stanchi e delusi da una classe dirigente dedita esclusivamente a conservare i propri privilegi, non “possono” liberamente criticarne l’operato ed ottenerne le dimissioni? C’è sovranità popolare quando non si possono designare i candidati alle istituzioni nazionali o locali attraverso dibattiti aperti e libero confronto, ascoltando e prendendo in considerazione ciò che la cosiddetta “società civile” ritiene imprescindibile per chi riceverà il mandato elettorale e dovrà ricoprire un incarico pubblico? Quale potere hanno i cittadini che rivendicano, inascoltati, il diritto di contrastare gli scempi ambientali?
People power: per i padri fondatori della nazione americana era il sogno di dignità per ogni persona; per i padri costituenti italiani il riscatto dalla dittatura e l’affermazione della libertà di parola e di azione. “Il senso e il valore dell’Occidente … è la scommessa della modernità sulla universalità dei diritti, dunque il progetto democratico come realizzazione effettiva di eguale dignità/libertà/potere per l’esistenza irripetibile che tutti noi siamo. … Se vi rinuncia (e sempre più vi rinuncia) diventa solo un Occidente marrano” (Paolo Flores d’Arcais, Democrazia!). Sovranità popolare non ancora realizzata oppure in pericolo e soggetta a distorsioni quando non ad abolizioni, nel nostro paese e in tante altre parti del mondo occidentale.
Secondo Flores d’Arcais “la democrazia è innanzitutto e sempre lotta-per-la-democrazia” e la lotta ha come preludio la speranza, ciò che non deve mai mancare tra i membri di una collettività, come sintetizza mirabilmente il titolo di un volume che raccoglie testimonianze delle recenti “primavere arabe”: Il potere della gente è più forte della gente al potere!
“La gente ha il potere di sognare / di dettare le regole/ di lottare per cacciare dal mondo i folli” può ancora cantare oggi Patti Smith!☺
People have the power [pronuncia: pipol hev d’pauer] cantava qualche anno fa la famosa rock star Patti Smith: i suoi versi, dolci e rudi al tempo stesso, evocavano un concetto che, seppur sfumato nel linguaggio della poesia-canzone, segna profondamente la nostra vita collettiva.
People power è una delle versioni inglesi per tradurre “democrazia”. Due termini formano la locuzione: people (“persone, gente”, per estensione “popolo”), sostantivo plurale che rimanda alla dimensione “politica”, nome collettivo col quale si indica un insieme di elementi, individui, ecc.; power, termine astratto che traduce “potere, sovranità” in senso giuridico.
Di sovranità popolare si sente parlare talmente spesso e in qualsiasi circostanza che il senso autentico di questa espressione sembra essersi ormai dileguato, affievolito fino a ridursi a fumosi e generici giri di parole. Eppure le radici della democrazia, così come intesa nel mondo occidentale, sono antiche, e nel percorrere le varie epoche storiche anche il concetto giuridico, quasi come l’homo sapiens, ha subìto un processo di evoluzione.
La costituzione americana del 1787 comincia con queste parole “We, the people” – “Noi il popolo”. Gli esiliati del Nuovo Mondo, che avevano sperimentato l’abbandono della propria terra, l’adatta- mento ad un ambiente diverso, che avevano cambiato cultura e abitudini, rivendicavano per sé e per la propria discendenza il “diritto” di sentirsi individui, membri di una collettività in cui non avrebbero dovuto contare posizione sociale o titolo nobiliare. Al grido di “nessuna tassa senza rappresentanza” [no taxation without representation], si ribellarono ai dominatori britannici e gettarono le basi di quel sistema di convivenza civile che, almeno in teoria, si può definire democrazia moderna. Lo sforzo dei primi presidenti, come ad esempio Thomas Jefferson, fu quello di perseverare nella convinzione che l’esperimento di far partecipare tutti alla gestione del potere avrebbe condotto alla conclusione che è possibile governare secondo ragione e verità, fugando menzogne e privilegi di rango o di nascita.
Convivenza all’insegna della razionalità: il secolo dei lumi, riservando alla Ragione il primato e la guida nelle vicende umane, poneva le basi per la modernità in campo giuridico. Gli avvenimenti successivi, i problemi creatisi e le soluzioni adottate, considerando anche i diversi contesti geopolitici, avrebbero modificato ed in parte vanificato questa idea così innovativa.
Quale people power vediamo all’opera oggi? È veramente democratico lo Stato in cui i cittadini, stanchi e delusi da una classe dirigente dedita esclusivamente a conservare i propri privilegi, non “possono” liberamente criticarne l’operato ed ottenerne le dimissioni? C’è sovranità popolare quando non si possono designare i candidati alle istituzioni nazionali o locali attraverso dibattiti aperti e libero confronto, ascoltando e prendendo in considerazione ciò che la cosiddetta “società civile” ritiene imprescindibile per chi riceverà il mandato elettorale e dovrà ricoprire un incarico pubblico? Quale potere hanno i cittadini che rivendicano, inascoltati, il diritto di contrastare gli scempi ambientali?
People power: per i padri fondatori della nazione americana era il sogno di dignità per ogni persona; per i padri costituenti italiani il riscatto dalla dittatura e l’affermazione della libertà di parola e di azione. “Il senso e il valore dell’Occidente … è la scommessa della modernità sulla universalità dei diritti, dunque il progetto democratico come realizzazione effettiva di eguale dignità/libertà/potere per l’esistenza irripetibile che tutti noi siamo. … Se vi rinuncia (e sempre più vi rinuncia) diventa solo un Occidente marrano” (Paolo Flores d’Arcais, Democrazia!). Sovranità popolare non ancora realizzata oppure in pericolo e soggetta a distorsioni quando non ad abolizioni, nel nostro paese e in tante altre parti del mondo occidentale.
Secondo Flores d’Arcais “la democrazia è innanzitutto e sempre lotta-per-la-democrazia” e la lotta ha come preludio la speranza, ciò che non deve mai mancare tra i membri di una collettività, come sintetizza mirabilmente il titolo di un volume che raccoglie testimonianze delle recenti “primavere arabe”: Il potere della gente è più forte della gente al potere!
“La gente ha il potere di sognare / di dettare le regole/ di lottare per cacciare dal mondo i folli” può ancora cantare oggi Patti Smith!☺
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