Il prezzo della finanziaria
9 Novembre 2018
laFonteTV (3191 articles)
Share

Il prezzo della finanziaria

Prima la Corte dei Conti. Poi Bankitalia. Successivamente le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato. Infine l’Ufficio parlamentare di Bilancio. Quattro authority e quattro bocciature per la prima manovra finanziaria del governo gialloverde, che ha inaugurato l’autunno caldo.

Il Molise osserva con preoccupazione ciò che accade nei palazzi capitolini, consapevole che il proprio destino è figlio anche dei tagli che verranno decisi a livello centrale. In una regione con una viabilità disastrata, una rete ferroviaria post bellica, una sanità commissariata e con i distretti industriali ormai appartenenti alla storia, ogni decisione superiore è attesa con il fiato sospeso.

Il percepito da qui, è più la ricerca dello scontro ad ogni costo con Bruxelles e Francoforte da parte di alcuni esponenti di governo, piuttosto che trovare in fretta risposte che non possono attendere. “L’Europa non può dettare le regole a nessuno” è la frase ridondante delle ultime settimane. Può essere vero, anche se molto opinabile, poiché rispettare il Trattato fondativo dell’UE è compito di ogni stato membro. A prescindere dal proprio credo politico, quelle regole, redatte da menti illuminate, hanno come obiettivo quello della cooperazione, della stabilità economica e della pace reciproca e non il dar vita ad un barbaro nazionalismo, frutto di parole spesso scellerate. Parole che nostro malgrado siamo obbligati ad ascoltare senza colpo ferire sempre più frequentemente e pronunciate da chi ha la pretesa di rappresentare la maggioranza del popolo italiano.

Verrebbe da gridare all’indecenza, se guardandoci indietro negli anni sfogliassimo le pagine della storia. È pura blasfemia mettere a confronto gli Illuminati del Risorgimento, i Padri costituenti, i governi monocolore del Miracolo economico al confronto con l’anno domini 2018 a Palazzo Chigi. Non è colpa del fantomatico establishment se la valutazione dei mercati è negativa. Finché le agenzie di rating, l’Fmi, la Bce, il quantitative easing verranno catalogati alla stregua di semplici strumenti di destabilizzazione del governo, si viaggerà su una pista sbagliata, dimostrando di non tener conto dell’articolo 81 della nostra Costituzione: “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.

In uno scenario in cui il nostro differenziale risulta stabilmente al di sopra dei 300 punti, superiore a quello della Spagna, che fino alla prima impennata dello spread del 2011 aveva un costo del debito quasi doppio rispetto al nostro, si è arrivati quasi a paventare una chiamata “dell’oro alla patria” da parte di alcuni esponenti di governo pur di rastrellare risorse necessarie alla realizzazione dell’iperbolica manovra. Saranno ancora gli italiani a doversi fare carico della salvezza dell’Italia invece degli investitori stranieri, spaventati dall’acquisto dei titoli di un paese in procinto di essere declassato.

Pertanto oro alla patria in cambio di detrazioni fiscali ai risparmiatori, le cui promesse di guadagno sono racchiuse nell’acronimo Cir, Conti Individuali di Risparmio, che negli intendimenti del governo dovevano essere emessi tra qualche anno, ma anticipati alle prossime settimane qualora la situazione dovesse precipitare. I proventi dei Cir, per un tetto massimo di 15 miliardi annui, sarebbero destinati ad investimenti che sanno molto di Euro Project Bond, strumenti pensati dall’UE per finanziare le infrastrutture, tanto vituperati dai verdi del Nord, quanto necessari ed ineludibili oggi che invece sono al governo. Ogni famiglia potrà investire fino a tremila euro annui per beneficiare così della deduzione del 23%, della non tassazione degli interessi, della non pignorabilità e della sterilizzazione del capital gain con plusvalenze e minusvalenze.

La speranza, qualora lo strumento attecchisse tra gli storicamente cauti risparmiatori italiani è che possa quanto meno attutire l’impatto dell’allargamento dello spread, che colpisce immediatamente i conti pubblici. Si noti bene che negli ultimi anni è stato questo capitolo a generare il progressivo miglioramento del rapporto deficit/Pil. Dal 2012, quando l’Italia sosteneva 83 miliardi di spesa per interessi sul debito, negli anni a venire il calo è stato progressivo, fino all’indicazione per il 2018 di una discesa a 63 miliardi. Questo finché lo spread orbitava attorno a 130 punti. Oggi si può facilmente immaginare l’impatto diverso con i valori di questi ultimi giorni: per il 2019 la spesa per interessi aumenterà di circa 9 miliardi – il costo iniziale del reddito di cittadinanza – per superare i 13 miliardi nel 2020.

Ed infine, torniamo a quanto riportammo su queste colonne in merito agli scenari post voto, quando si paventò un salto nel buio, in particolar modo per quanto riguardava l’aspetto economico, con ripercussioni su cittadini, imprese, fondi pensione, grandi investitori ed in ultima battuta, sulle banche. Lo scenario in fieri porterebbe ad una progressiva riduzione del credito alle imprese ed un progressivo aumento dei tassi sui mutui e sui prestiti, poiché la storia insegna che c’è sempre stata un’impennata dei costi dei finanziamenti con l’impennarsi dello spread, con lo spettro delle ricapitalizzazioni sempre in agguato.

Vogliamo essere ottimisti, nonostante tutto, ed auspicare che i costi della manovra e le relative analisi di impatto siano state considerate variabili primarie e non solo il mezzo per creare consenso per le Europee di primavera.☺

 

laFonteTV

laFonteTV