il profumo della dignità   di Luciana Zingaro
29 Agosto 2011 Share

il profumo della dignità di Luciana Zingaro

 

La parte peggiore della società italiana siamo in tanti.

La parte peggiore della società siamo quelli che hanno speso la parte migliore della vita a leggere e studiare: laurea e specializzazioni una via l’altra, talora il dottorato e la ricerca tout court, perché la parte peggiore della parte peggiore della società è finanche convinta che lo studio sia un valore e che produca crescita culturale, economica, umana.

La parte peggiore della società siamo quelli che hanno sfacchinato per anni, caricando tomi e volumi in valigie slabbrate su e giù dal paese natio alla sede universitaria prescelta, Natale Pasqua e Ferragosto, lungo tratte ferroviarie il più mal servite: tutto perché la parte peggiore della società italiana è ideologicamente prevenuta né valuta per tale la comoda opportunità di figurare da portaborse in auto blu al bisnipote del tris senatore né, verso genere, di armeggiare, segretaria austera eppur suadente, con la cartella stranamente leggera del delegato x del partito y del comune z.

La parte peggiore della società siamo quelli che la parte adulta della vita è un equilibrio instabile tra l’“oggi lavoro” e il “domani chissà”, perché dipende, e dipende dalla parte migliore, resta inteso.

Ecco: la parte migliore.

Poco se ne conosce. Arringa e scartabella sempre, questo è certo, ma forse per posa, considerato che alle parole non seguono i fatti e, se mai seguono, sono fatti che impegno e studio non li dimostrano punto; gran parte della parte migliore, inoltre, pare goda di vitalizi vertiginosi guadagnati in pochi anni di “servizio” allo Stato e a prezzo di decurtazioni altrettanto vertiginose agli stipendi e alle pensioni dei più: ma è cosa buona e giusta, perché la parte migliore della società affronta compiti urgenti e dispendiosi, quali, ad esempio, “festini” di non acclarata natura, a proposito dei quali si tramanda che di diminutivo abbiano solo la forma grammaticale, non plus ultra; i componenti la parte migliore della società italiana, infine, non avrebbero un congiunto, dal figlio al nonno dell’amante, che sia in odore di disoccupazione: ma va?

È da aggiungere, ad onor del vero, che una minima parte della parte migliore l’aggettivo nobilitante se lo merita altro che non, solo spetterebbe alla parte peggiore accorgersene e fare in modo che quella minima parte decida del destino del nostro Paese.

Stop.

“Siete la parte peggiore della società italiana”: Ministro Brunetta, Ministro della res publica nonché Repubblica italiana, ai precari cosiddetti, quota ormai considerevole della società italiana in età lavorativa. Poi – ovvio – giustificazioni e rettifiche, ma, per dirla coi leghisti che ogni tanto nel loro empirismo celtico ci prendono,  peggio el tacon del buso, ovvero che è peggio la toppa del buco da rammendare.

Le parole di Brunetta mi hanno suscitato dolore e rabbia, la rabbia buia dell’impotenza, di quando sai l’entità del torto subito e sai allo stesso modo di non poterlo contrastare ad armi pari e con pari successo.

Chi mi ruba la borsa, ruba ciarpame;

è qualcosa, è nulla;

era mia, è sua ed è stata schiava di mille altri.

Ma chi mi toglie il mio buon nome

ruba qualcosa che non lo arricchisce

e rende me davvero povero.

Shakespeare, Otello, veridico e viscerale, oserei: sono più povera dopo l’esternazione di Brunetta, non importa che essa sia stata grossolanamente fraintesa, come il Ministro sostiene, o che sia da considerarsi manifestazione patologica di un misantropo ebbro di potere, come in maniera fin troppo conciliante si è affermato per ridurne il carattere malvagio; sono più povera, perché sento intimamente che non è il denaro a renderci ricchi, ma l’onorabilità, il profumo ineffabile della dignità della persona, che dal suo buon nome anche scaturisce.

Pure, le parole di Brunetta non hanno suscitato l’eco che avrebbero dovuto, o perlomeno hanno avuto assai meno risonanza nelle cure degli Italiani di quanta ne abbiano per solito gli arabeschi di gossip con cui giornali carta radio e tele oltraggiano quotidianamente la nostra intelligenza.

Un sintomo, uno fra i tanti, del decadere del senso di appartenenza alla comunità politica dell’Italia odierna: diminuisce il sentimento della pietà, della condivisone della pena e del male degli altri, mentre la disperata ricerca della salvezza individuale si traduce in crudeltà; incapaci di provare scandalo, siamo quasi narcotizzati di fronte all’arroganza e al malaffare, che non trovano più inciampo: questo l’etimo greco del termine “scandalo”, “ostacolo”, “inciampo” appunto, qualcosa che turbi le acque torbide e stagnanti del fatalmente necessario.

Peccato, perché la scienza e l’arte della politica, di antiche e illustri origini, hanno sempre posto il problema del benessere comune a fondamento delle loro discettazioni e decisioni e il fatalmente necessario, specie se declinato in direzione del clientelismo, della corruzione, della mollezza morale lo hanno sempre bandito dal governo internazionale, nazionale, territoriale su piccola scala.

Per rimanere nell’ambito della classicità latina, meriterebbe la nostra attenzione di cittadini, meglio se uomini di Stato, un breve trattato di filosofia politica di Cicerone, il De re publica, molto apprezzato da scrittori pagani e cristiani per il suo alto valore politico e morale; dopo il X secolo d.C., l’opera scomparve misteriosamente dalla circolazione, finché, seguendo una vicenda contorta quanto comune alla tradizione di molti testi antichi, essa non venne ritrovata in un palinsesto conservato nella Biblioteca Vaticana dal cardinale Angelo Mai, pertanto celebrato da Leopardi nell’omonimo componimento.

Difficile tracciarne una sintesi, e perché il trattato è scritto nella forma di derivazione platonica del dialogo, particolarmente ostile al riassunto, e perché il testo è lacunoso in più punti. Quel che se ne legge è comunque in molti luoghi illuminante, in grado di parlarci ancor oggi: nell’esordio dell’opera, ad esempio, dove Cicerone afferma che la virtù, se conosciuta soltanto in teoria e non esercitata in pratica, non ha alcun valore, perché la virtù esiste solo in quanto è attiva (bella la pregnanza dell’espressione latina: in usu sui tota posita est), quindi prosegue sostenendo che l‘uso attivo della virtù risiede soprattutto nella civitatis gubernatio, nel governo della cittadinanza; o quando di seguito definisce la res publica, lo stato, non una qualunque aggregazione di popolo, ma  il popolo organizzato sul fondamento della comune utilità e sulla comune coscienza giuridica (coetus moltitudinis iuris consensu et utilitatis communis sociatus); ancora, nella sezione dedicata alla giustizia, in cui Cicerone sottolinea come essa insegni a rispettare tutti, a provvedere al bene di tutti, a dare a ciascuno ciò che gli spetta, a non arrecare danno alle cose sacre né ai beni pubblici o altrui (vigorosa anche qui la versione latina, intessuta in un gioco di incroci semantici che al significato d’insieme non dà scampo: suum cuique reddere, sacra, publica, aliena non tangere); infine, nella parte conclusiva dell’opera, il cosiddetto Somnium Scipionis, di evidente ascendenza platonica, laddove Scipione l’Emiliano riferisce dei consigli impartitigli in sogno dal nonno adottivo, Scipione l’Africano, che lo avrebbe tra l’altro invitato a riflettere sull’immortalità dell’anima e sulla necessità di affinarla nell’esercizio delle più nobili virtù, prima delle quali la cura per la salvezza della patria, che sola garantisce l’ascesa alla Via Lattea, dimora definitiva degli spiriti eletti.

In prossimità delle elezioni per il rinnovo della Presidenza del Consiglio regionale e dopo anni di monocolore Iorio e cricca, mi auguro vivamente per il Molise l’avvio di una stagione diversa, di una politica più nobile e pulita, non perché stizzosamente staccata dal reale, ma perché capace di conservare almeno l’anelito alla purezza ideale; mi auguro una opposizione una tantum decisa a guardare al bene comune sempre invocato, tranne essere smentito in egoismi e facezie piccoli piccoli; mi auguro che noi tutti diamo ragione a chi ha impiegato il suo tempo e le sue energie nel sostegno alle cause civili e politiche emergenti in Molise, dal terremoto all’eolico, dall’acqua alla scuola e alla sanità, tanto per dirne, sforzandosi di proporre una via alternativa dell’agire politico, progressista ed onesta.

Né bisogna spingerci lontano, perché è agli amici in primis che dobbiamo offrire fiducia e possibilità; ancora Cicerone in un bellissimo suo trattato dedicato all’amicizia scriveva, scrive anzi:.. In amicizia, se non trovi un cuore aperto, se non ti presenti tu stesso a cuore aperto, non puoi credere in nulla di certo, non sei sicuro di nulla, neppure di amare ed essere amato, dal momento che ignori quanta sincerità vi sia in quei sentimenti.

Approvato. A presto.☺

LucianaZingaro@libero.it

 

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