«Oggi c’è una parola a rischio che è urgente riprendere perché possa essere abitata insieme con responsabilità. È la parola, anzi il nome, “Italia”. Se si guarda con lucidità all’Italia contemporanea si vede un paese oppresso dall’incuria e dall’iniquità. La crisi va ben al di là della scuola cattolica, della bioetica, della morale sessuale. È una crisi di civiltà, che investe i fondamenti della convivenza, le relazioni tra uomini e donne, il rispetto dell’orfano e della vedova, del giovane e dell’anziano, del povero e dello straniero» (R. Mancini).
La coltivazione scientifica del consumismo, del cinismo, della volgarità, della prepotenza, della menzogna hanno spalmato nel paese una mentalità contraria sia al bene comune che allo stesso messaggio evangelico di cui pretende farsene vanto. La complicità con il potere dominante è così evidente che non è immaginabile ritenere che nessuno tra i credenti, forse partecipe ai segni della recente Pasqua cristiana ma così affezionato al berlusconismo, non se ne avveda. Il sistema dominante, che inanella un successo dopo l’altro per i propri immondi obiettivi, ci nutre quotidianamente di tre pani avvelenati.
La paura, di fronte all’altro, che si presenti prossimo o straniero, è l’acqua che lentamente ci ha lessati ed invece di scioglierci ci ha solidificati e induriti nello spirito, sviando la mente e l’esistenza, liquefacendo ogni forma di resistenza spirituale perdutasi nell’acqua di cottura.
Confezionato dalla paura il secondo pane avvelenato è il desiderio di potere. Un potere verticale da usare per difenderci dagli altri, per controllare l’andamento delle cose e per volgerle a nostro vantaggio. Anche i credenti, dentro questa logica, rischiano di convincersi che accumulare potere, in qualsiasi modo, a difesa o vantaggio della “chiesa” e dei “valori” cristiani, sia giusto, necessario, senza star lì a cercare il pelo nell’uovo. Si proclama il discernimento e si pratica l’ingoiare acritico di ogni via, purché ci scappi una tutela di sé.
Frutto acerbo e indigesto di tale nutrimento è la cancellazione del confronto. Quello con il Vangelo ridotto a pensiero astratto e moralismo buonista, quello con l’altro a semplice dichiarazione di schieramento pro o contro. Mentre solo questo confronto unitario, con la fonte spirituale, con la storia quotidiana e con i soggetti che la generano, è capace di individuare i meccanismi dell’iniquità, l’interpretazione del presente e la comprensione della storia di tutti.
Se abbassiamo lo sguardo sul nostro piccolo Molise lo troveremo diverso dalla storia nazionale? Le prossime consultazioni elettorali aprono la stura alla stagione del vanto, della celebrazione di sé, dell’elencazione dei meriti per chi non se ne fosse accorto. È già tale il racconto da cancellare qualsiasi situazione di incuria e di iniquità.
Accanto alla battaglia ormai decennale per la dignità delle comunità terremotate, volgiamo lo sguardo su una piccola ma inquietante realtà: quella dei tossicodipendenti in cura nel sistema Modello Molise.
Di prevenzione se ne sbandiera la necessità e il proposito ma non si investono risorse su tale obiettivo; quel poco che realizza ha il volto più di gesti occasionali, per favorire l’amico del momento o della casta, che non la prospettiva di un progetto articolato e duraturo.
La cura dei tossicodipendenti che accedono alle strutture abilitate (i Se.r.t. territoriali dell’unica Azienda sanitaria regionale e le Comunità terapeutiche del volontariato) è stretta dalla gestione rachitica della sanità molisana. Con le comunità terapeutiche le autorità regionali si “consentono” la libertà di saldare le fatture di rimborso del servizio già prestato ben quindici mesi dopo. La conferenza Stato-Regioni, di cui il nostro sen. Michele Iorio è vicepresidente, ha concordato e sottoscritto, dal 2009, che vanno saldate entro 90 giorni, ma il Molise ha il proprio modello! Per determinazione regionale è stabilito che il servizio di recupero in Molise costa meno che in ogni altra parte d’Italia: solo 42 euro al giorno; in Abruzzo 46, in Puglia 50, ecc. Le comunità ospitano giovani da tutte le regioni che pagano al costo della Regione ospitante. In Molise per un giovane ad es. pugliese ospitato la comunità perde 240 euro al mese, 2.880 in un anno, senza accedere a paragoni con le regioni più a nord. È sempre modello Molise: da noi non è costume aggiornare i costi alla realtà, né rivederli nei tempi che la legge stabilisce, ma solo quando un potere, sordo e miope lo ritiene opportuno. Si potrà mai immaginare un Molise normale nell’Italia repubblicana che abbia come ispirazione la civiltà costituzionale repubblicana e come modello l’onore e il rispetto di coloro che si misurano con i problemi che a loro è dato di affrontare?
Evocare i “valori” e farsene paladini senza curare la giustizia e senza cambiare strada, serve solo ad aggiunger ipocrisia al disastro. Se appena riconoscessimo che la democrazia stessa non è solo un sistema elettorale, poiché è anzitutto uno stile di vita, frutto dell’impegno nella cura del bene comune e di quello di ogni singola persona, ci renderemmo conto che diverrebbe naturale traduzione – parziale, indiretta, sempre in cammino – di quella che il Vangelo presenta come la fraternità, custodita ed esaltata dallo stile della prossimità compassionevole e disinteressata. Quella, che in un linguaggio comune a tutti, risponde alle parole di giustizia, equità e legalità. ☺
«Oggi c’è una parola a rischio che è urgente riprendere perché possa essere abitata insieme con responsabilità. È la parola, anzi il nome, “Italia”. Se si guarda con lucidità all’Italia contemporanea si vede un paese oppresso dall’incuria e dall’iniquità. La crisi va ben al di là della scuola cattolica, della bioetica, della morale sessuale. È una crisi di civiltà, che investe i fondamenti della convivenza, le relazioni tra uomini e donne, il rispetto dell’orfano e della vedova, del giovane e dell’anziano, del povero e dello straniero» (R. Mancini).
La coltivazione scientifica del consumismo, del cinismo, della volgarità, della prepotenza, della menzogna hanno spalmato nel paese una mentalità contraria sia al bene comune che allo stesso messaggio evangelico di cui pretende farsene vanto. La complicità con il potere dominante è così evidente che non è immaginabile ritenere che nessuno tra i credenti, forse partecipe ai segni della recente Pasqua cristiana ma così affezionato al berlusconismo, non se ne avveda. Il sistema dominante, che inanella un successo dopo l’altro per i propri immondi obiettivi, ci nutre quotidianamente di tre pani avvelenati.
La paura, di fronte all’altro, che si presenti prossimo o straniero, è l’acqua che lentamente ci ha lessati ed invece di scioglierci ci ha solidificati e induriti nello spirito, sviando la mente e l’esistenza, liquefacendo ogni forma di resistenza spirituale perdutasi nell’acqua di cottura.
Confezionato dalla paura il secondo pane avvelenato è il desiderio di potere. Un potere verticale da usare per difenderci dagli altri, per controllare l’andamento delle cose e per volgerle a nostro vantaggio. Anche i credenti, dentro questa logica, rischiano di convincersi che accumulare potere, in qualsiasi modo, a difesa o vantaggio della “chiesa” e dei “valori” cristiani, sia giusto, necessario, senza star lì a cercare il pelo nell’uovo. Si proclama il discernimento e si pratica l’ingoiare acritico di ogni via, purché ci scappi una tutela di sé.
Frutto acerbo e indigesto di tale nutrimento è la cancellazione del confronto. Quello con il Vangelo ridotto a pensiero astratto e moralismo buonista, quello con l’altro a semplice dichiarazione di schieramento pro o contro. Mentre solo questo confronto unitario, con la fonte spirituale, con la storia quotidiana e con i soggetti che la generano, è capace di individuare i meccanismi dell’iniquità, l’interpretazione del presente e la comprensione della storia di tutti.
Se abbassiamo lo sguardo sul nostro piccolo Molise lo troveremo diverso dalla storia nazionale? Le prossime consultazioni elettorali aprono la stura alla stagione del vanto, della celebrazione di sé, dell’elencazione dei meriti per chi non se ne fosse accorto. È già tale il racconto da cancellare qualsiasi situazione di incuria e di iniquità.
Accanto alla battaglia ormai decennale per la dignità delle comunità terremotate, volgiamo lo sguardo su una piccola ma inquietante realtà: quella dei tossicodipendenti in cura nel sistema Modello Molise.
Di prevenzione se ne sbandiera la necessità e il proposito ma non si investono risorse su tale obiettivo; quel poco che realizza ha il volto più di gesti occasionali, per favorire l’amico del momento o della casta, che non la prospettiva di un progetto articolato e duraturo.
La cura dei tossicodipendenti che accedono alle strutture abilitate (i Se.r.t. territoriali dell’unica Azienda sanitaria regionale e le Comunità terapeutiche del volontariato) è stretta dalla gestione rachitica della sanità molisana. Con le comunità terapeutiche le autorità regionali si “consentono” la libertà di saldare le fatture di rimborso del servizio già prestato ben quindici mesi dopo. La conferenza Stato-Regioni, di cui il nostro sen. Michele Iorio è vicepresidente, ha concordato e sottoscritto, dal 2009, che vanno saldate entro 90 giorni, ma il Molise ha il proprio modello! Per determinazione regionale è stabilito che il servizio di recupero in Molise costa meno che in ogni altra parte d’Italia: solo 42 euro al giorno; in Abruzzo 46, in Puglia 50, ecc. Le comunità ospitano giovani da tutte le regioni che pagano al costo della Regione ospitante. In Molise per un giovane ad es. pugliese ospitato la comunità perde 240 euro al mese, 2.880 in un anno, senza accedere a paragoni con le regioni più a nord. È sempre modello Molise: da noi non è costume aggiornare i costi alla realtà, né rivederli nei tempi che la legge stabilisce, ma solo quando un potere, sordo e miope lo ritiene opportuno. Si potrà mai immaginare un Molise normale nell’Italia repubblicana che abbia come ispirazione la civiltà costituzionale repubblicana e come modello l’onore e il rispetto di coloro che si misurano con i problemi che a loro è dato di affrontare?
Evocare i “valori” e farsene paladini senza curare la giustizia e senza cambiare strada, serve solo ad aggiunger ipocrisia al disastro. Se appena riconoscessimo che la democrazia stessa non è solo un sistema elettorale, poiché è anzitutto uno stile di vita, frutto dell’impegno nella cura del bene comune e di quello di ogni singola persona, ci renderemmo conto che diverrebbe naturale traduzione – parziale, indiretta, sempre in cammino – di quella che il Vangelo presenta come la fraternità, custodita ed esaltata dallo stile della prossimità compassionevole e disinteressata. Quella, che in un linguaggio comune a tutti, risponde alle parole di giustizia, equità e legalità. ☺
«Oggi c’è una parola a rischio che è urgente riprendere perché possa essere abitata insieme con responsabilità. È la parola, anzi il nome, “Italia”. Se si guarda con lucidità all’Italia contemporanea si vede un paese oppresso dall’incuria e dall’iniquità. La crisi va ben al di là della scuola cattolica, della bioetica, della morale sessuale. È una crisi di civiltà, che investe i fondamenti della convivenza, le relazioni tra uomini e donne, il rispetto dell’orfano e della vedova, del giovane e dell’anziano, del povero e dello straniero» (R. Mancini).
La coltivazione scientifica del consumismo, del cinismo, della volgarità, della prepotenza, della menzogna hanno spalmato nel paese una mentalità contraria sia al bene comune che allo stesso messaggio evangelico di cui pretende farsene vanto. La complicità con il potere dominante è così evidente che non è immaginabile ritenere che nessuno tra i credenti, forse partecipe ai segni della recente Pasqua cristiana ma così affezionato al berlusconismo, non se ne avveda. Il sistema dominante, che inanella un successo dopo l’altro per i propri immondi obiettivi, ci nutre quotidianamente di tre pani avvelenati.
La paura, di fronte all’altro, che si presenti prossimo o straniero, è l’acqua che lentamente ci ha lessati ed invece di scioglierci ci ha solidificati e induriti nello spirito, sviando la mente e l’esistenza, liquefacendo ogni forma di resistenza spirituale perdutasi nell’acqua di cottura.
Confezionato dalla paura il secondo pane avvelenato è il desiderio di potere. Un potere verticale da usare per difenderci dagli altri, per controllare l’andamento delle cose e per volgerle a nostro vantaggio. Anche i credenti, dentro questa logica, rischiano di convincersi che accumulare potere, in qualsiasi modo, a difesa o vantaggio della “chiesa” e dei “valori” cristiani, sia giusto, necessario, senza star lì a cercare il pelo nell’uovo. Si proclama il discernimento e si pratica l’ingoiare acritico di ogni via, purché ci scappi una tutela di sé.
Frutto acerbo e indigesto di tale nutrimento è la cancellazione del confronto. Quello con il Vangelo ridotto a pensiero astratto e moralismo buonista, quello con l’altro a semplice dichiarazione di schieramento pro o contro. Mentre solo questo confronto unitario, con la fonte spirituale, con la storia quotidiana e con i soggetti che la generano, è capace di individuare i meccanismi dell’iniquità, l’interpretazione del presente e la comprensione della storia di tutti.
Se abbassiamo lo sguardo sul nostro piccolo Molise lo troveremo diverso dalla storia nazionale? Le prossime consultazioni elettorali aprono la stura alla stagione del vanto, della celebrazione di sé, dell’elencazione dei meriti per chi non se ne fosse accorto. È già tale il racconto da cancellare qualsiasi situazione di incuria e di iniquità.
Accanto alla battaglia ormai decennale per la dignità delle comunità terremotate, volgiamo lo sguardo su una piccola ma inquietante realtà: quella dei tossicodipendenti in cura nel sistema Modello Molise.
Di prevenzione se ne sbandiera la necessità e il proposito ma non si investono risorse su tale obiettivo; quel poco che realizza ha il volto più di gesti occasionali, per favorire l’amico del momento o della casta, che non la prospettiva di un progetto articolato e duraturo.
La cura dei tossicodipendenti che accedono alle strutture abilitate (i Se.r.t. territoriali dell’unica Azienda sanitaria regionale e le Comunità terapeutiche del volontariato) è stretta dalla gestione rachitica della sanità molisana. Con le comunità terapeutiche le autorità regionali si “consentono” la libertà di saldare le fatture di rimborso del servizio già prestato ben quindici mesi dopo. La conferenza Stato-Regioni, di cui il nostro sen. Michele Iorio è vicepresidente, ha concordato e sottoscritto, dal 2009, che vanno saldate entro 90 giorni, ma il Molise ha il proprio modello! Per determinazione regionale è stabilito che il servizio di recupero in Molise costa meno che in ogni altra parte d’Italia: solo 42 euro al giorno; in Abruzzo 46, in Puglia 50, ecc. Le comunità ospitano giovani da tutte le regioni che pagano al costo della Regione ospitante. In Molise per un giovane ad es. pugliese ospitato la comunità perde 240 euro al mese, 2.880 in un anno, senza accedere a paragoni con le regioni più a nord. È sempre modello Molise: da noi non è costume aggiornare i costi alla realtà, né rivederli nei tempi che la legge stabilisce, ma solo quando un potere, sordo e miope lo ritiene opportuno. Si potrà mai immaginare un Molise normale nell’Italia repubblicana che abbia come ispirazione la civiltà costituzionale repubblicana e come modello l’onore e il rispetto di coloro che si misurano con i problemi che a loro è dato di affrontare?
Evocare i “valori” e farsene paladini senza curare la giustizia e senza cambiare strada, serve solo ad aggiunger ipocrisia al disastro. Se appena riconoscessimo che la democrazia stessa non è solo un sistema elettorale, poiché è anzitutto uno stile di vita, frutto dell’impegno nella cura del bene comune e di quello di ogni singola persona, ci renderemmo conto che diverrebbe naturale traduzione – parziale, indiretta, sempre in cammino – di quella che il Vangelo presenta come la fraternità, custodita ed esaltata dallo stile della prossimità compassionevole e disinteressata. Quella, che in un linguaggio comune a tutti, risponde alle parole di giustizia, equità e legalità. ☺
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