Il sonno della democrazia
18 Giugno 2020
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Il sonno della democrazia

Le cose non vanno bene, nascondere i problemi, anzi il problema sotto il tappeto non aiuta nessuno, nemmeno lo stesso governo. In queste settimane sono emerse tutte le patologie del nostro paese, ed è esplosa quella che io considero la malattia più profonda della nostra società, il vero buco nero. Ovvero, la miseria, la povertà e la latitanza della nostra Democrazia. Non mi riferisco tanto alle dinamiche della vita parlamentare e istituzionale, sulle quali la discussione dovrebbe essere più seria e meno ipotecata da speculazioni politico-elettorali. No, rifletto sulla nostra democrazia reale.
Il nostro vivere democratico è come un grande prato nel quale tutti possono parlare, scrivere e gridare, ma quando si arriva davanti alla porta delle scelte e delle decisioni, tutto o quasi tutto passa attraverso il filtro dell’arbitrio, del nepotismo, dell’affarismo, del clientelismo, dello scambio dei favori, della burocrazia manipolabile e cortigiana. Il paese reale è lontano anni luce dai princìpi liberali, democratici e socialisti della nostra Costituzione. Tutto ciò è insopportabile in una situazione di normale amministrazione, ma diventa insostenibile in momenti straordinari. Theodor W. Adorno, il grande filosofo tedesco, nella conferenza che tenne in Austria nel 1967 agli studenti di Vienna sul nuovo radicalismo di destra ricordò che “le premesse sociali del fascismo sussistono e nascono prima di tutto dalle inadempienze della democrazia”. Le ragioni dei sistemi autoritari si ripropongono con particolare forza nei momenti di crisi economica, di disperazione e paure sociali. Di tutto ciò speriamo non si debba discutere nei prossimi mesi, quando dovesse esplodere la recessione economica.
Ma il buco nero di una democrazia che “non è pienamente all’altezza del proprio concetto” lo stiamo già sperimentando in questi mesi di pandemia da coronavirus. La sanità è lo specchio fedele della decadenza e della miseria democratica del nostro sistema. Una riforma quella del servizio sanitario nazionale del 1979 ridotta a osso di seppia dagli intrighi, da quegli interessi piccoli e grandi che nei decenni passati hanno occupato il campo della sanità pubblica. Una difesa della salute, che aveva nella prevenzione e nel territorio la sua ragion d’essere, si è persa in ospedali pubblici che privano di dignità i pazienti e in cliniche private che fanno del profitto la loro missione. La pandemia ha portato alla luce questa sordida realtà spesso dimenticata. Ora il re è nudo e chi ha responsabilità di governo dovrebbe avere chiaro che la battaglia contro questa pandemia, e più in generale per una sanità rispettosa della salute e della dignità dei cittadini, non si può avere senza una mobilitazione straordinaria delle energie diffuse nella società, senza una partecipazione dei cittadini, senza una rivoluzione dolce della quale la comunità e in primo luogo i giovani siano protagonisti. E tutto ciò impone una nuova centralità e qualità del Pubblico.
La Francia ha mobilitato cinque milioni di persone per rincorrere il virus e definire la ragnatela delle infezioni, in Italia vi sono tante organizzazioni e associazioni di volontariato, ma ognuna viaggia per proprio conto. Quale impulso viene dal governo perché si costruisca una mobilitazione, un’organizzazione capillare che ridìa gambe e senso a una medicina del territorio? Perché i distretti sanitari, medici, infermieri, studenti di medicina non diventano una grande scuola di popolo, una casa della salute dove si forma questo nuovo esercito per la salute? Quella salute che può essere tutelata solo con un cambiamento radicale degli stili di vita, del modo di produrre e consumare. Perché tante risorse distribuite in prebende e assistenza non vengono legate ad attività che sono utili alla società e alla salubrità dell’ambiente? Perché non si riprende il significato originario delle lontane 150 ore per dare conoscenza ai lavoratori non solo sulle distanze sociali e sulle mascherine, ma anche sulle condizioni della salute nell’ ambiente di lavoro? Tutto questo vuol dire consapevolezza sociale, conoscenza dei propri diritti e dei propri doveri. Tutto questo è partecipazione attiva, è linfa vitale per la nostra democrazia e al pari tempo prevenzione di ogni tentazione nazionalista, sovranista e autoritaria. Di questo nuovo protagonismo democratico abbiamo un bisogno vitale, diversamente ogni new deal economico, sociale e verde di cui tanto si parla sarà una pia illusione e saranno sempre più reali i fantasmi che possono venire dal sonno della democrazia.☺

“Con Marianna è morta una parte di noi”. Così Pietro ha salutato Marianna. Parole senza un velo di retorica, parole vere. Vorrei ricordare Marianna con pochi versi di una poesia che amo molto e che è una bella metafora della vita, “Itaca” del poeta greco Kostantinos Kavafis: “Sempre devi avere in mente Itaca/ raggiungerla sia il pensiero costante /… Itaca t’ha donato il bel viaggio / Senza di lei mai ti saresti messo sulla strada/Nulla ha da darti di più/ E se la ritrovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso/ Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso/ avrai capito ciò che Itaca vuol significare”.
Marianna con la sua grande intelligenza e umanità ci ha mostrato la profondità e la ricchezza d’animo con cui bisognerebbe compiere il viaggio della vita.
Famiano Crucianelli

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