Il Verbasco
6 Luglio 2015
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Il Verbasco

Il Verbasco è il nome generico che indica diverse specie di piante (circa 150) appartenenti alla famiglia delle Scrofulariacee. Esse differiscono per piccoli particolari ma hanno tutte la stesse proprietà.

Il verbasco più comune è sicuramente quello noto anche col nome di Tasso barbasso (Verbascum thápsus). Etimologicamente sembra che il nome del genere Verbasco, imposto da Plinio, derivi dal termine barbascum (a sua volta derivante dal latino barba), per il denso pelame che ricopre le foglie e i fusti. Quello invece della specie, thapsus, va riferito secondo alcuni all’isola di Thapsia, dove questa pianta fu notata e descritta per la prima volta. Secondo altri, invece, è riconducibile al greco thápsos, nome di una pianta da cui si ricavava una tintura gialla.

In questo articolo l’attenzione sarà concentrata sul verbasco sinuoso (Verba- scum sinuatum), dal verbo latino sínuo (“curvare”, “piegare”), per il margine ondulato-sinuoso delle foglie basali. Questa specie differisce dal barbasso perché, nella parte superiore, presenta uno scapo fiorifero con numerosi rami arcuati disposti a piramide, invece che una infiorescenza semplice e cilindrica senza ramificazioni.

Il verbasco è una pianta che vegeta bene in ambienti asciutti, lungo i bordi delle strade e su suoli sabbiosi fino a 1.300 metri di altitudine. Molti sono i sinonimi con i quali è conosciuto nelle varie regioni: da noi è chiamato semplicemente ’u tasse, il tasso, come in diverse zone della Toscana. E questo è il motivo per cui un lettore assiduo dei miei articoli, dopo la pubblicazione di quello relativo al tasso (Taxus baccata) sul n. 2 de la fonte dello scorso febbraio, mi ha chiesto se la pianta era la stessa utilizzata in passato per pescare il pesce nei torrenti. Il lettore si riferiva in realtà proprio ad una delle specie di verbasco, più precisamente al sinuoso, di cui si parla in questo articolo.

Conosco questa pianta fin da bambino, e ricordo che un giorno mio padre e mio fratello si avviarono verso il torrente Tona, dopo averne raccolto una certa quantità. Io non avrei dovuto far parte della spedizione perché ancora piccolo, ma mi avviai lo stesso al loro seguito senza farmi vedere, almeno per il primo tratto di strada. Tanta era la curiosità e la voglia, chissà, di una scorpacciata di pesce. Ma, ahimè, non prendemmo neanche un pesciolino, senza capire il perché. Oggi, a distanza di tempo, azzardo l’ipotesi che le piante, schiacciate fra due sassi e fatte scorrere nel rivolo di acqua che alimentava ’a chiate, una delle pozzanghere che si formano nelle anse dei corsi d’acqua, non avessero ancora portato a maturazione i semi nei quali è concentrata la parte velenosa della pianta, ovvero la cumarina e il rotenone.

Ma il verbasco, come si diceva sopra, possiede anche molte proprietà terapeutiche, come quelle usate dall’antica medicina popolare per combattere la gotta. Tutte le parti della pianta possiedono proprietà astringenti, emollienti e antispasmodiche, e le loro applicazioni leniscono le allergie della pelle e delle mucose, e aiutano la cicatrizzazione delle ferite. L’infuso delle foglie e dei fiori allevia le malattie respiratorie ed è usato anche come espettorante contro la tosse secca, e per combattere la faringite e la bronchite. Dai fiori sbriciolati in una tazza di olio d’oliva si ottiene un composto lenitivo che serve a calmare e disinfiammare le parti doloranti mediante ap- plicazioni locali, frizioni e massaggi. Con l’olio essenziale estratto dai fiori si possono preparare lozioni che schiariscono i capelli.

Un tempo i fusticini raccolti, essiccati e riuniti in fascetti, erano utili per costruire scope. E sempre in passato i fusti, così essiccati, si bruciavano nei forni del pane per avviare rapidamente la combustione della legna, oppure, impregnati di sego e coperti di cera, diventavano ottime torce. I Romani, con le foglie fresche, avvolgevano i fichi per una loro più lunga conservazione e con le stesse, essiccate, confezionavano stoppini per le lampade a olio.☺