
Il viadotto
Eravamo rimasti alla chiusura della Bifernina e ad un misterioso progetto per il raddoppio di quel tratto di strada oggi riaperto al traffico, “a passo d’uomo”. Le criticità, segnalate dall’ANAS alla Regione Molise sin dalla fine degli anno ‘90, nonostante il terremoto di San Giuliano prima e quello di Montecilfone poi, evidentemente si sono risolte da sole. Non sappiamo a chi attribuirne il merito, alla natura, a Iorio, a Frattura e tuttavia, grazie alle rassicurazioni del governatore Toma, a parte quello strano limite di velocità sui viadotti del Liscione, oggi siamo tutti più tranquilli.
Non la pensa così l’assessore alle infrastrutture Vincenzo Niro che dopo aver sostenuto prima i progetti autostradali di Iorio e poi quelli ferroviari di Frattura, dopo 18 anni di lodevole servizio svolto in consiglio regionale, scopre che la vera emergenza di questa regione era e resta la Bifernina, dichiarandosi pronto a lavorare per la realizzazione di una strada che colleghi il Basso Molise con il Lazio. Inconsapevolmente parla di un’opera già progettata diciotto anni fa: la “Termoli-San Vittore”, un’idea progettuale inserita dal governo Amato nel piano nazionale dei trasporti tra le 18 grandi opere da finanziare, cancellata successivamente, con metodo sudamericano, da Berlusconi, tornato al governo del paese; il grande illusionista convinse Iorio che sarebbe stato più utile scivolare al settantesimo posto del libro dei sogni (la cosiddetta legge obiettivo) e non restare al diciottesimo della precedente intesa istituzionale, quella firmata da Amato e dal governo regionale dell’epoca.
Purché si risolvesse l’annoso problema del viadotto del Liscione, il governo Di Stasi sottoscrisse un accordo di programma, sempre col governo Amato e impegnò 50 miliardi delle vecchie lire che insieme ad altri 316 di fondi statali avrebbero dovuto alimentare un plafond di risorse sufficienti alla bisogna. Non se ne fece nulla perché Iorio preferì cancellare tutto il lavoro svolto dal precedente governo per un’impresa, a sentir lui, rivoluzionaria: l’autostrada. Perché fossero stanziati i fondi su quella ennesima berlusconata, non solo al governo dovette tornare Prodi, ma ci volle anche il pesante intervento del ministro Di Pietro che in fatto di opere pubbliche e di sensibilità istituzionale è in strettissima sintonia con Iorio. Si decise in buona sostanza di finanziare il primo lotto dell’Autostrada che avrebbe collegato il capoluogo con l’Autostrada del Sole.
Il problema che oggi impensierisce l’assessore Niro, il viadotto che attraversa la diga del Liscione, non fu preso in considerazione da nessuno degli attori in scena. Da circa mezzo secolo si percorre quel viadotto e, checché ne dica l’ex ministro Di Pietro, sempre più avanti degli altri in fatto di requisitorie, e sempre più indietro in fatto di autocritiche, nessuno è oggi in grado di dirci se quei piloni che affondano i piedi nel lago di Guardialfiera sono nella condizione di sostenere il peso dei mezzi che percorrono il viadotto. Una cosa è certa, che sia Iorio sia Frattura sia Di Pietro, in questi diciotto anni se ne sono strafregati di quelle “criticità” che tolgono il sonno ai molisani. Il limite di velocità imposto insieme alle altre prescrizioni per la riapertura al traffico della strada, non sono consigli per il viandante ma misure estemporanee e provvisorie atte ad impedire il verificarsi di tragedie già di recente conosciute.
Il presidente Toma, anche lui favorevole, almeno a parole, alla realizzazione di una strada a quattro corsie, senza pedaggio, in una gita fuori porta nei pressi di Guardialfiera, si dice abbia trovato la soluzione alle criticità del viadotto, una scoperta clamorosa. Incamminandosi sulle Terre del Sacramento pare si sia imbattuto in una pietra miliare che rivela l’esistenza di una antica stradina a ridosso del lago, dismessa dopo la realizzazione della Bifernina perché insufficiente a sostenere il traffico dell’epoca: qualcuno dovrà pure avvertirlo che quel tipo di strade sono solo oggetto di ricerca per gli studiosi di storia del territorio. Purtroppo il presidente Toma non è nuovo ad annunci di questo tipo; non gli è ben chiaro in quale pasticcio si è messo. Sono passati oltre cinque mesi dalla sua elezione e agli impegni contenuti nelle dichiarazioni programmatiche non sembra seguire un’azione di governo credibile e coerente. La sua maggioranza, come tutte quelle espresse dalle forze politiche del centrodestra nelle regioni in cui governa, omologhe solo per metà al governo giallo-verde, mostra di essere più fragile di quelle schierate all’opposizione del governo nazionale. Rispetto al potere romano Toma si trova in una condizione di obiettiva debolezza, non può battere i pugni neanche quando ha ragione né può altrettanto chiedere attenzione a chi gli fa la guerra in casa. La mancata nomina di Toma a commissario per la Sanità ha un nome a cinque stelle e la ridicola richiesta di 4 milioni di euro avanzata dal governatore per la messa in sicurezza degli edifici resi inagibili dal sisma, ridotta alla metà dal premier Conte, è una vicenda che si tinge tutta di giallo. A tutto ciò si aggiunge una debolezza endogena provocata dalla sproporzionata distribuzione degli incarichi di governo regionale in danno dei sovranisti di Salvini i quali un giorno sì e un giorno no attaccano Mazzuto per colpire Toma. L’incarico di sottosegretario alla presidenza della giunta affidato dal presidente Toma al consigliere Pallante ha placato qualche mal di pancia ma non ha sopito i dolori mestruali.☺
Foto in evidenza: “Guardialfiera”, di Rino Trivisonno