il virtuoso dell’ornato     di Gaetano Jacobucci
30 Dicembre 2011 Share

il virtuoso dell’ornato di Gaetano Jacobucci

 

Domenico Antonio Vaccaro, singolare artista nato a Napoli nel 1681, fu architetto, scultore e pittore. Nella bottega del padre Lorenzo apprese la tecnica della scultura e come pittore seguì Francesco Solimena e fu, nello stesso tempo, ammiratore del Fanzago. Si distinse nella realizzazione dei personaggi per i presepi napoletani. È ricordato per le tele della chiesa della Concezione a Montecalvario e per quelle in S. Maria di Monteverginella. Scolpì le statue della Penitenza e della Solitudine nella Chiesa di San Martino,  in quella dell’Immacolata al Porto eseguì una magnifica statua dell’Immacolata. Alla sua arte appartengono i Coretti ed i portali della chiesa del Gesù Nuovo. Si cimentò nel notevole progetto del Teatro Nuovo di Napoli, sorto al posto di una vecchia baracca in legno in un giardino a Montecalvario.

La sua maggiore opera a Napoli fu la Guglia di S. Domenico al centro dell’omonima piazza: un obelisco in marmo grigio e bianco sormontato dalla statua del santo in bronzo. Di questa opera Roberto Pane dice: “(le guglie)… vanno considerate con particolare curiosità, non soltanto perché espressioni estreme di una tendenza, ma anche perché hanno fornito modelli di una certa arte popolare; come gli altari di Torre del Greco, i Gigli di Nola e le arcate delle feste religiose napoletane…”.

Nel 1730 i fedeli e i nobili avevano chiesto di restaurare la chiesa dei SS. Apostoli con stucchi e marmi policromi intarsiati e Domenico Antonio Vaccaro fu uno dei protagonisti, progettista ed esecutore del rifacimento degli elementi architettonici, scultorei e decorativi, che esaltano lo stile inconfondibile dell’artista napoletano.

La maturità

Critici e storici sono concordi nel ritenere il Vaccaro uno tra i più estrosi e convincenti artisti napoletani del XVIII secolo. La testimonianza di quest’opera frenetica di Domenico Antonio è testimoniata dalla presenza di opere nelle più prestigiose basiliche della città partenopea.

In San Giacomo degli Spagnoli vi è l’altare maggiore di Lorenzo Vaccaro, con un bassorilievo in marmo del Cristo morto del figlio Domenico Antonio, dell’inizio del ‘700. Nella stessa chiesa dipingerà il martirio di S. Giacomo datato e firmato 1741.

Trasformò il chiostro trecentesco del monastero di S. Chiara con un progetto decorativo di maioliche eseguito (1740 – 42) dai fratelli Giuseppe e Donato Massa, lasciando intatta la struttura architettonica originaria. Riorganizzò il giardino inserendovi due ampi viali che si incrociano al centro del chiostro.

Nella Basilica di S. Paolo Maggiore, via dei Tribunali, nella cappella Frasconi, vi era una grande scultura dell’Angelo Custode, in seguito trasferita nella navata centrale: “il gruppo marmoreo datato tra il secondo e terzo decennio del secolo è considerato tra le opere più importanti del settecento napoletano”. La sua arte è andata sviluppandosi fortemente negli ultimi vent’anni del Barocco quando questo fenomeno artistico, non solo napoletano, si andava esaurendo e si affacciava all’orizzonte della cultura europea un gusto attento alla realtà che si distinse fortemente dallo stile che lo ha preceduto: il Neoclassico. Nuovo movimento artistico animato dalla filosofia del secolo illuminista.

L’altare barocco

Con il Concilio di Trento il tabernacolo viene permanentemente intronizzato sull’altare e in tal modo si sana la secolare bipolarità tra altare e tabernacolo dei secoli precedenti. Il tabernacolo ha il suo posto sulla mensa dell’altare dove il Sacramento nasce, il Sacrificio è offerto e il Pane è donato. Nessun luogo è più consono al tabernacolo che quello dell’altare stesso, che rimane sempre vivo anche fuori della celebrazione. Niente può conferire maggiore dignità ed identità all’altare come il Santissimo Sacramento. Mentre l’altare rimane un simbolo sacro, il Sacramento è la presenza reale, viva e personale di Colui che è realmente “Altare, vittima e sacerdote”.

L’altare della chiesa conventuale di S. Maria di Loreto a Toro si inserisce nel panorama barocco napoletano, e nella provincia del regno è esempio di bellezza scenografica. La mensa, in marmo bianco venato grigio con commessi di marmi colorati, è eretta su tre gradini. La ricca decorazione di tarsie e volute, motivi vegetali e floreali, targhe e cartocci, si estende anche al dossale e ai due archetti che a destra e sinistra poggiano su paraste, altrettanto riccamente  decorate, addossate alla parete del presbiterio. È un’opera di qualità che, per affinità, si può collegare all’architettura napoletana del XVIII secolo e attribuire all’opera di Domenico Antonio Vaccaro. I riscontri del gusto decorativo, l’accostamento di marmi di vari colori e la morfologia degli ornati non contraddicono una datazione al secondo quarto del secolo, quando il Convento di Santa Maria di Loreto, dopo l’elezione a Sommo Pontefice di Benedetto XIII (1724-30), conobbe un momento di grande splendore.☺

jacobuccig@gmail.com

 

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