ilaria e miran   di Luciana Zingaro
29 Aprile 2013 Share

ilaria e miran di Luciana Zingaro

 

L’ho conosciuta tardi e subito mi è piaciuta. Sarà stata la sua aria semplice e solare o che anch’io da grande avrei voluto fare la reporter e girare il mondo per raccontarne il bello e il brutto. Ho sentito il bisogno di saperne di più: Ilaria Alpi, giovane e capace, giornalista che ama il suo lavoro e non teme, se mai è temuta. Da morirne.

L’immagine l’ho in memoria, seppure sfocata dal tempo trascorso: due corpi riversi nell’abitacolo di un fuoristrada, una via sterrata dai contorni caotici, polvere e fucili, come in tanti Sud del mondo. E anche una voce ricordo, meglio la commozione di una voce rotta dal pianto: il capo redattore di rai tre, Flavio Fusi, che annuncia in un’edizione straordinaria del tg la morte degli amici e colleghi Ilaria Alpi e Miran Horvatin caduti vittime di un attentato a Mogadiscio, in Somalia.

Venti marzo 1994 – venti marzo 2013.

Un tragico caso all’italiana quello di Ilaria e Miran: un caso lontano dalla verità giudiziaria e storica a distanza di diciannove anni dagli eventi; un caso di depistaggi e occultamenti di documenti e testimoni scomodi, di ricerca di capri espiatori appaganti; un caso di strategie studiate per ottundere la coscienza civile di un popolo, di modo che gli onesti vengano insultati di dietrologia, i colpevoli risucchiati in un silenzio assoluto e di loro mai più. Quante volte.

Ha l’evidenza di un’esecuzione l’assassinio di Ilaria e Miran. Così definì l’accaduto una giornalista italiana presente sul luogo dei fatti, Gabriella Simoni (e L’esecuzione è il titolo del bel libro-inchiesta sul caso Alpi-Horvatin, firmato tra gli altri dagli stessi genitori di Ilaria, Giorgio e Luciana): sette uomini armati a bordo di un pick-up inseguono la vettura su cui viaggiano Ilaria e Miran, poi i colpi di kalashnikov che descrivono una traiettoria precisa, cosicché ne cadono morti i soli Ilaria e Miran, indenni invece l'autista e la guardia del corpo.

Tanto manifestamente programmata l’esecuzione quanto stranamente avvolto nel mistero il seguito della vicenda: dall’omissione di soccorsi immediati, pur essendo allora imponenti a Mogadiscio – causa la guerra civile in corso – le forze militari e di polizia, alla mancanza di rilievi da parte dei carabinieri, che lì erano di stanza in quanto presidio dell’ambasciatore italiano; dalla scomparsa del certificato di morte di Ilaria, che riappare in un secondo momento, e di nuovo va “perduto”, alla manomissione del materiale di un reportage annunciato telefonicamente dalla Alpi al suo caporedattore in Italia appena due ore prima della morte: dalla camera d’albergo di Ilaria e Miran risultano infatti essere stati trafugati, probabilmente in occasione del primo sopralluogo, la macchina fotografica e due dei taccuini della giornalista, soprattutto risulta essere stata drasticamente tagliata l’intervista fatta da Ilaria a Bogor, il cosiddetto “sultano di Bosaso”, intervista filmata da Horvatin e che per la durata dichiaratane dallo stesso Bogor avrebbe dovuto impegnare un numero di video-cassette maggiore rispetto a quelle effettivamente consegnate agli inquirenti.

Bosaso. Ilaria e Miran avevano soggiornato lì per tre giorni prima di giungere a Mogadiscio e non per caso, al contrario, perché Bosaso era allora al centro di una intricata vicenda di traffici illeciti in cui si inseguivano in ciclo continuo tangenti, armi, rifiuti tossici; appunto di tale vicenda Ilaria aveva voluto, con prontezza e coraggio, indagare i termini. Le testimonianze in tal senso sono state numerose fin dall’inizio dell’inchiesta sul caso Alpi-Horvatin: molti testimoni hanno raccontato agli inquirenti di un articolato sistema di traffici di armi, rifiuti pericolosi e scorie radioattive, i cui proventi alimentavano conti neri o finivano in tangenti; un sistema gestito da faccendieri italiani e stranieri e che chiamava in causa complicità politiche legate in special modo all’area socialista. Particolarmente rilevante fra le altre la testimonianza di Guido Garelli, uno "007" perfetto conoscitore della realtà del Corno d’Africa, secondo il quale Ilaria Alpi avrebbe al tempo toccato il segreto più gelosamente custodito in Somalia, ovvero lo scarico di rifiuti pagato con soldi e armi da non meno di vent’anni all’epoca dei fatti. Imperdonabile, insomma, la colpa di Ilaria: aver scoperto i lembi della losca triangolazione Italia-Europa orientale-Somalia per cui dall’Italia partivano aerei diretti in Europa orientale, allo scopo di comprare e prelevare armi da consegnare in Somalia al solo prezzo per la Somalia che consentisse nei propri territori, soprattutto in prossimità di Bosaso, l’interramento di rifiuti tossici e scorie radioattive sempre provenenti dall’Italia, donde viaggiavano su navi della cooperazione, della mala cooperazione, a dire il vero.

Nonostante il legame intercorrente tra l’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Horvatin e la fattispecie criminosa di tali circuiti non possa sfuggire alla consapevolezza civico-politica degli italiani, ad ora la giustizia non ha individuato imputati per il delitto che ha visto coinvolti Ilaria e Miran. Anzi, la Commissione parlamentare d’inchiesta precedente a quella attualmente insediata ha cercato senza remore di pudore di riscontrare l'ipotesi che l’omicidio sia avvenuto nell'ambito di un tentativo di rapina o di sequestro di persona conclusosi solo fortuitamente con la morte delle vittime; di più, il presidente della Commissione stessa, l’avvocato Taormina, ha pubblicamente dichiarato che Ilaria Alpi, morta certo a causa di una rapina, era a Bosaso in vacanza e non stava facendo nessuna inchiesta.

Il venti marzo, quest’anno, mi sarei aspettata dai mezzi di informazione, in particolare dalla Rai, un sobrio quanto dettagliato ricordo di Ilaria e Miran: nulla o poco, al punto da essermi sfuggito. Ne sono rimasta delusa e intristita. Non mi piace la retorica delle fanfare, ma credo che le commemorazioni funebri, specie per talune persone morte in talune occasioni, siano importanti perché sta a noi vivi, singoli o popolo, destare i defunti nella mente e con le parole e tenerne alto il monito: la loro storia, per quanto dolorosa o inquietante, è la nostra storia; rinnegata quella, siamo invariabilmente inghiottiti in un vuoto d’identità e di senso.☺

LucianaZingaro@libero.it

 

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