incrociare i ragazzi  di Leo Leone
30 Maggio 2012 Share

incrociare i ragazzi di Leo Leone

 

Pare che chi pagherà il prezzo più alto della crisi che ci attanaglia sono loro, gli under trentacique. Sembrerebbe un fatale accrescimento di carico per chi ha percorso una strada tortuosa e disseminata di ostacoli: quella della storia recente degli adolescenti di ambo i sessi. E di fronte a tali scenari il mondo adulto torna a ripetere una espressione antica come il mondo: questi giovani di oggi! E a rincarare la censura si vanno a occultare tutte le “mascalzonate” che gli adulti hanno potuto, loro stessi, combinare nella loro ormai datata giovinezza. Ma non sembrerebbe che tutte le generazioni si accollino tale carico…!

Forse è il caso di risalire alle ragioni e ai concreti condizionamenti delle condotte, e quindi del futuro delle giovani generazioni, così come la storia del passato ce le ha fatte conoscere e che ancora oggi testimoniano il peso che la società “matura” tende a scaricare su di loro. Salvo poi ad asserire che la storia la fanno i giovani. Espressione allettante che rischia di scaricare la società degli over trentacinque dalle sue responsabilità che si trascinano da Adamo ed Eva ai nostri giorni e per l’intero futuro del mondo.

Forse è il caso di rovesciare quel modo di ragionare che invece va riformulato con maggiore senso di responsabilità su coloro che hanno il compito di creare spazi e occasioni di più alto respiro per le nuove leve, a partire dall’infanzia. Il mondo adulto non è propenso a farsi carico delle responsabilità che lo riguardano circa la crescita e la maturazione delle nuove generazioni che, a partire da un accorto tirocinio in ambito familiare, consenta loro di muoversi su un terreno che siano in grado di percorrere e di gestire con intelligenza e senso di umanità con l’obiettivo di aver cura non solo dei propri interessi ma dell’intera comunità sociale. L’onere educativo e della crescita integrale della prole di cui non si fanno carico padri e madri ricadrà sulle spalle di figli e figlie e a seguire coi nipotini… e non consentirà ai genitori di assumere il ruolo di giudici al di sopra delle parti.

La crisi che attraversiamo, e che accresce angosce e depressioni, può essere un’occasione per rivedere i modelli di vita ai quali ci siamo assuefatti e porre fine ad una sregolatezza senza confini per approdare ad una decrescita che consenta una equa redistribuzione dei beni e dei servizi. Secondo gli economisti dalla grande depressione sia dei ricchi che dei poveri, tutti condannati ad un sempre più accentuato impoverimento, si salvano solo le élite finanziarie che non impoveriscono mai. Autorevoli studiosi si rifanno ad una espressione del Vangelo: “A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza. A chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (Matteo 13,12).

La crisi può essere invece occasione per rivedere i modelli di vita e porre fine alla sregolatezza; per raggiungere una equa redistribuzione dei beni e dei servizi occorre ritrovare strade antiche, aprire le porte ad una società e ad un’economia diverse. Occorre alimentare un movimento di cultura innovativa dal basso; assicurare presidio ai diritti fondamentali della persona, a partire dai più deboli; ridestare una politica di servizio che ponga limite alla tracotanza del potere senza regole.

Un accorto sociologo americano, Daniel Rigney, osserva che al di là del pessimismo e del disfattismo provocati da una crisi che non presenta limiti di tempi e di luoghi si può, anzi si deve, essere convinti di poterne uscire adottando due criteri di fondo: educare ed educarsi all’uguaglianza e alla nonviolenza attiva. Lo studioso americano non si astiene dal citare le testimonianze di Gandhi e Martin Luther King. Per ambedue i modelli gli interlocutori più coinvolti furono i deboli e tra questi i giovani, le nuove generazioni che oggi presentano stili e prospettive di vita più degradati. Si ripetono per queste “future speranze” storie, antiche anch’esse, che li videro sempre, o quasi, vittime di fasi storiche segnate da vicende drammatiche.

L’“I Care” fu appunto la sigla che segnò la vita di servizio e di testimonianza estrema di persone come Gandhi, Luther King e altre. I primi da incrociare nella “presa di cura” furono proprio ragazzi e adolescenti,al cui peggioramento degli stili di vita ci stiamo abituando. In Italia il 60% di loro sta seduto per 11/12 ore tra banchi di scuola, tv, computer, pranzo, cena, compiti. Una vera e propria malattia contagiosa di sedentarietà che si intreccia con il diffondersi di una obesità già in fase preadolescenziale che insidia il loro benessere anche fisico. A ciò si aggiungano la dipendenza da internet e facebook (80% dei 13enni), il diffuso e incontenibile assoggettamento al telefonino di ultima generazione. È questa gioventù che rischia di perdere uno degli spazi più idonei alla crescita, allo sviluppo della conoscenza di sé e all’approccio con le regole: dal gioco individuale a quello socializzato che educa all’uso e al rispetto delle regole.

Una rivoluzione culturale questa che può costituire una opportunità impensabile per uscire da una crisi che, anche nel suo significato primitivo e per sua stessa natura, produce cambiamento. Questa crisi, volta alla ricerca di riscatto per i più giovani, ci riguarda tutti: famiglia, associazionismo, scuola, Chiesa anche (che in passato ha presentato figure mirabili di testimonianza a servizio dei giovani). E ci si ponga tutti compatti per porre fine ad una politica autoreferenziale che ignora diritti e servizi sociali di prima fascia.   ☺

 le.leone@tiscali.it

 

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