interpellati dai suicidi   di Sabrina Del Pozzo
29 Aprile 2013 Share

interpellati dai suicidi di Sabrina Del Pozzo

 

La percezione di sentirti non più ‘utile’, la percezione di non avere più nulla in cui impegnarti, per la quale vivere, la percezione di sentirti un ibrido perché ti guardi con gli occhi degli altri pensando che quegli stessi occhi ti giudicano come una persona ormai finita, che non ha più nulla da raccontare, la percezione e la convinzione di non voler più appartenere a questo mondo, la convinzione di farla finita, l’atto finale poi di metterlo in pratica.

Marche, coppia suicida per la crisi e il fratello di lei si getta in mare; crisi, imprenditore si suicida, l’ultimo messaggio in un biglietto; Taormina, uomo si toglie la vita; si uccide al santuario di Pompei ‘un gesto contro Equitalia’; altri tre suicidi per motivi economici: si uccidono due disoccupati e un imprenditore; uomo rovinato dai debiti si impicca; tre febbraio, undici, dodici, quattordici, ventiquattro, ventotto febbraio e ancora cinque, sei, sette marzo.

Lunga scia di suicidi nel 2013 che non risparmia nessuno, dal florido nord Italia al povero sud, come sottolineato dai vari quotidiani negli ultimi tempi. È di ciò che mi sto occupando in questi giorni. Non nego che con molta fatica, e per il peso che ha in sé la tematica, e perché credo che sia giusta una riflessione silenziosa rispetto alla morte, ma allo stesso tempo credo non si possa tacere di fronte ad una morte che si manifesta in quanto causa di conseguenze devastanti e profonde di una crisi ‘annunciata’ e rispetto alla quale dovremmo quanto meno pretendere delle soluzioni che nostro malgrado tardano ad arrivare o forse sto errando. Non sarà che si pensa alla scia di suicidi come soluzione?

Sento in me una forte sensazione di ingiustizia. Tematica da sempre di interesse all’uomo legittimato dalla consapevolezza del peso non poco rilevante che esercita sulla vita delle persone. Una delle risposte che potremmo attribuire alla condizione attuale del mondo potrebbe denominarsi appunto “conse- guenza dell’ingiustizia’’. È noto come la percezione di ingiustizia sia in grado di suscitare sentimenti di rabbia che possono favorire una diminuzione dell’autostima, possono indurre a stati depressivi ed in casi estremi a gesti autodistruttivi. Io stessa scrivendone avverto una forte sensazione di rabbia. Rabbia per chi continua e continua a dondolarsi sulla propria poltrona rossa rilasciando brevi interviste (non è raro il pedinamento per ottenere commenti), spesso incomprensibili ed accompagnate da grosse e grasse risate rispetto a tematiche rilevanti che se tralasciate hanno perdite non soltanto in termine di benessere più in generale, di rinunce, di privazioni strettamente materiali ma che costano vite umane.

Ci troviamo di fronte ad una deprivazione assoluta del vivere o meglio è questa la sensazione che personalmente vivo: nonostante leggiamo ed ascoltiamo ovunque, su tutti i giornali, i media e altre forme indirette di comunicazione, delle conseguenze legate alla crisi, dei suicidi, del crescente numero di nuovi e vecchi poveri, rimaniamo inermi. Tutto e tutti restano, per qualche inspiegabile ragione e nonostante il maggiore numero di “noi’’ rispetto ad un “loro’’, al proprio posto; sono invece loro che addirittura riescono ad abituare l’uomo alla normalità di simili notizie. Chi di voi negli ultimi tempi ha letto un titolo di giornale che diceva : ‘ucciso perché sommerso dai debiti’? Chi di voi rispetto a ciò ha pensato: ‘ancora una volta’? Chi di voi ha poi continuato a bere il suo caffè al bancone di un bar pensando solo per un attimo alla notizia e tornando poi a mettere un x sul politico che più lo rappresenta? Sicuramente qualcuno ha agito in questo modo. Non ne faccio una colpa, è questo quello che io vedo come uno stato di deprivazione assoluta, proprio la sensazione di voler fare qualcosa (forse alle ultime elezioni abbiamo provato a farlo) ma di non saper davvero da dove iniziare.

Nell’arco di una giornata pronunciamo mille volte la  frase ‘non è giusto’ per poi perderci e dimenticare questa stessa affermazione quando la cosa non ci riguarda. Siamo bloccati da catene, catene che bloccano il nostro corpo ma soprattutto la nostra mente. Io mi permetto di distaccarmi da questo mondo, è un’impresa non facile, cerco di vivere un mondo parallelo dove sposo un concetto: lo stare insieme mostrando sempre dedizione al bene comune.☺

sabrinadp@hotmail.it

 

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