italia:divario voluto
2 Febbraio 2011 Share

italia:divario voluto

 

L’Italia, uno dei paesi capitalisti avanzati, risulta oggi uno dei  più diseguali per distribuzione della mole della ricchezza. Qualunque repubblica democratica trova in questo un criterio di valutazione cruciale; il disagio della nazione è proporzionale a tale divario. Forse questa è una delle costanti con cui leggere, amaramente, la storia dell’unità d’Italia: unità politica costruita con la forza delle armi, unità sociale, economica e culturale, rinviata alle stagioni più propizie. La politica nazionale unitaria, espressa nelle “politiche particolari” non solo non ha sanato il divario tra nord e sud dell’Italia, ma in stagioni diverse e per ragioni diverse il problema si é perpetuato quasi fosse una malattia cronicizzata, fino alle ultime e  farneticanti dichiarazioni di Borghezio in cui si afferma che tutto il sud è un peso di cui liberarsi.

Le prospettive non  sono affatto rosee; leggiamo nell’ultimo rapporto CENSIS del 2010, nella sezione “ecco come saremo al mondo” una condanna alla minorità: “Saremo ancora un grande Paese, ma si allargherà il divario tra Nord e Sud. Nel 2030 la popolazione residente in Italia sarà di 62 milioni 129 mila persone, il 3,2% in più rispetto al 2010. Mentre gli abitanti delle regioni del Sud diminuiranno (-4,3%), saranno i residenti nel Centro-Nord ad aumentare in modo consistente (+7,1%) soprattutto per effetto dell’immigrazione. Nel medio periodo crescerà quindi l’Italia più ricca (2,8 milioni di persone in più nel Centro-Nord nei prossimi vent’anni), mentre il Mezzogiorno, in assenza di interventi significativi, continuerà a perdere attrattività (890 mila abitanti in meno). L’emorragia di risorse umane nel Sud è indicata anche da un tasso migratorio (saldo tra iscrizioni e cancellazioni anagrafiche) negativo (-1,0 per mille abitanti nel 2020) rispetto a quello positivo del Centro-Nord (+5,2). Il trend di impoverimento del capitale umano al Sud comporterà un allargamento del divario rispetto al Nord sia come mercato di consumatori, sia come bacino di lavoratori, intaccando così i principali fattori di generazione della ricchezza”.

Il divario nord-sud è stato costituito e lo si vuol mantenere. Chi si è battuto per eliminarlo ha commesso due errori: il primo è stato pensare che servissero decisioni e interventi straordinari, rivelatisi però nel tempo alibi per quelli in malafede, per fingere di fare, facendo il contrario; dando poco di straordinario e togliendo molto all’ordinario. Il secondo errore è che, se pur il Meridione riceveva, non decideva. Salvemini aveva proposto negli anni venti, che l’Italia divenisse federale per impedire che le risorse del Meridione continuassero a migrare verso il Nord e che il Sud subisse decisioni altrui, con il doppio danno di venir privato delle risorse e disabituato a essere responsabile di se stesso (cfr. Pino Aprile, Terroni, pp. 281.283).

La storia dell’unità ha delle pagine oscure che devono trovare una nuova comprensione perché un futuro comune, nel contesto europeo e mondiale, sia possibile purché da tutti desiderato e amato. Non si costruisce una speranza nonostante la presenza di alcuni come peso insopportabile.

L’unità costruita con le armi non lasciò ai meridionali prospettive. La loro società, bella o brutta che fosse, aveva dei punti di riferimento (re, preti, piccola proprietà fondiaria, feudatari latifondisti, borghesia opportunista). Invasione e guerra di annessione li spazzarono via e non li sostituirono con qualcosa di altrettanto certo. L’unica  possibilità che si aprì, in modo improvviso e spaventoso, fu l’emigrazione dalle regioni del sud: un vero esodo che non si era verificato prima dell’unità, mentre era stato notevole nelle cosiddette regioni settentrionali.

Le guerre sono figlie e madri di un arretramento della civiltà, perché riconducono i rapporti fra gli uomini al confronto della forza: un qualsiasi legionario romano con la daga in mano vale molto più di Archimede. Il tessuto sociale del sud fu lacerato dalla invasione ed occupazione; questo è accaduto anche in altri paesi che hanno poi saputo ricomporsi. Mentre al Meridione il paese unito ha applicato discriminazioni, ostacoli, pesi, perché restasse nello stato di minorità; nella condizione del malato “che non muore e non guarisce mai”.

“Noi non siamo di questo mondo, noi siamo i giusti! C’è un calore che non ci appartiene” (A.Camus, I giusti, atto 3). I giusti (o presunti tali) si ritirano sempre più al freddo. Come possono tornare al calore del mondo e della storia?  Noi tutti, italiani, per essere scevri da spinte secessionistiche che si incanalano in modo contrapposto nelle cosiddette questioni del Nord o nelle questioni del Sud,  sebbene oggi non sentiamo tanto interesse, dovremmo comunque riscoprire la necessità di cercare la giustizia.

Nell’aspettativa di giustizia sopravvive il nucleo più importante, la vera aspettativa religiosa, il valore assoluto, cui tutti gli altri si subordinano. Solo una ricerca di giustizia, reale e intelligente, commisurata alle comunità e non alle ideologie, ricompone inseparabilmente, nel cuore di ognuno e delle comunità, giustizia e bellezza.

Ciò renderà possibile ritrovare quel calore che consente un futuro comune, non discriminatorio, perché quel futuro é portato nel cuore prima che accada, è amato come progetto del sé, della propria comunità ed è esteso ad ogni relazione intersoggettiva e comunitaria, locale, nazionale e mondiale.

I giusti rinchiusi nel freddo del loro ragionamento farneticante  hanno già disseminato guerre e morti in tutto il secolo scorso e già in questo primo decennio del nuovo millennio. Non ne abbiamo bisogno da qualunque territorio o dialetto provengano.☺

 

eoc

eoc