La berretta del prete
2 Gennaio 2014 Share

La berretta del prete

In questo periodo è ancora possibile ammirare particolari frutti di un bel colore, dapprima rosa carminio poi rosso, che pendono dai rami di un arbusto diffuso lungo i bordi delle strade o ai margini dei boschi. Questi piccoli frutti, capsule pendule carnose, attirano la nostra attenzione non solo per il colore vivace ma anche per la loro curiosa forma. L’involucro, infatti, è formato da quattro lobi che ricordano il galero, il berretto sacerdotale o tricorno, con il suo pon pon centrale, che era in uso presso i Romani ma anche tipico dei sacerdoti di un tempo. Di qui il nome volgare attribuito a questa specie: berretta del prete.

La pianta, appartenente alla famiglia delle Celastracee, è conosciuta anche col nome di fusaggine (‘a fusàj’ne, nel nostro dialetto). Quest’ultimo è riferito all’antico uso del suo legno, con il quale si realizzavano i fusi per filare la lana e anche i “ferri” da maglia. La compattezza, l’elasticità e la durezza del legno ne hanno inoltre permesso l’utilizzo nella fabbricazione degli archi fino al Medioevo. Molto duttile, era impiegato per realizzare lavori di intarsio e al tornio, per costruire stuzzicadenti, archetti per viole, manici di utensili, cannelli per pipe, sculture. Carbonizzato, il legno della berretta si usava per ricavarne mine per le matite e carboncino da disegno per i pittori. Un tempo, quello della mia infanzia, i semi venivano utilizzati anche per colorare piccoli disegni. Dal carbone di questa pianta si otteneva infine polvere da sparo, mentre l’olio che se ne estrae è adatto alla produzione di sapone.

Alcuni chiamano la berretta del prete Evonimo, dal nome scientifico Euonymus europaeus L., che deriva dal greco eu (= buono) e ònoma (= nome). Se l’aggettivo europaeus è riferito al continente in cui nasce spontanea, il significato di “buon nome” vuole essere beneaugurante e scaramantico, una sorta di captatio bevolentiae, considerando la velenosità dei frutti.

I lobi del frutto, infatti, aprendosi, una volta giunti a maturazione, evidenziano dei semi rivestiti da una pellicola di colore arancione, che sono tossici. La fusaggine può risultare velenosa  in seguito all’ingestione non solo dei semi, ma anche della corteccia e delle foglie. I sintomi dell’intossicazione si manifestano con vomito, diarrea, disturbi della circolazione e collasso, e sopravvengono molto tempo (8-12 ore) dopo l’ingestione, per cui non si può intervenire con la lavanda gastrica. Gli stessi frutti sono tuttavia innocui per gli uccelli che ne sono ghiotti e per i quali  rappresentano una importante fonte di alimentazione.

Sempre i frutti, ridotti in polvere o in un decotto, sono utili contro i parassiti cutanei: pidocchi e acari della scabbia. La polvere va impiegata frizionando a secco la testa.

L’individuazione dell’Euonymus è facile e immediata anche nei periodi di riposo vegetativo, quando cioè la pianta è completamente spoglia, perché il fusto e le branche principali sono spesso colpiti dal mal bianco, una malattia causata da funghi. Su questi organi si forma un rivestimento bianco-cenerino, di aspetto polverulento molto appariscente: essi subiscono dapprima una decolorazione e poi la necrosi dei tessuti.

La berretta è anche una pianta adatta al consolidamento di scarpate e per la formazione di barriere antirumore e frangivento. Ma soprattutto è perfetta per parchi, giardini privati e terrazze: arbusto anonimo per gran parte dell’anno, in autunno si manifesta in tutta la sua bellezza, sfoggiando le sue meravigliose capsule. Non sfigura così nemmeno nel più ordinato dei giardini verdi, magari come sfondo di aiuole fiorite o come riempitivo nella stagione in cui le altre piante tendono a decadere. Le foglie, di un bel colore verde scuro a primavera, da settembre assumono un colore bronzeo che va poi dal giallo-arancio allo scarlatto. Data la loro bellezza, non sorprende la notizia che verso la fine del XIX secolo, in Inghilterra, si sviluppò una vera e propria mania per le piante di questo genere.☺

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