la bicicletta verde
8 Marzo 2013 Share

la bicicletta verde

 

Wadjda è una ragazzina di 12 anni che vive in un sobborgo di Riyad, capitale dell’Arabia Saudita. Già dalle prime sequenze del film (La bicicletta verde di Haifaa Al-Mansour, presente alla mostra di Venezia 2012 e accostato da molta stampa straniera ai grandi titoli del neorealismo italiano) s’intuisce che Wadjda è diversa dalle altre sue coetanee, ha un’intelligenza viva e una capacità tutta femminile di leggere la storia attraverso le vicende quotidiane, spesso sofferte, della sua infanzia. Wadjda cresce all’ombra di una madre bellissima, “reclusa” in una casa confortevole, in perenne attesa di un marito che sta per scegliersi un’altra moglie, visto che con lei non potrà avere più figli.

A differenza delle altre sue compagne di scuola (significativa è la prima sequenza che inquadra in dettaglio le scarpe delle ragazze, tutte nere, – al massimo la frivolezza di un paio di calzini con merletto bianco – tranne le Converse viola della protagonista) Wadjda è viva, curiosa e ha desideri ed energie da soddisfare. “Una ragazza non possiede altro che il suo velo e la sua tomba” recita un proverbio saudita. Wadjda invece vuole possedere anche una bicicletta, così, semplicemente per giocare col suo compagno di strada Abdullah e fare con lui gare di corsa. Ma la bici è proibita dalle norme della dottrina wahabita, è pericolosa per la verginità delle ragazze e si addice solo ai maschi.

Così nel film, lieve e quotidiano nella sua scorrevole narrazione, Haifaa Al-Mansour, la prima donna regista in Arabia Saudita, ci racconta di come la rivoluzione culturale si possa fare se c’è una donna sul sellino di una bicicletta verde; ci racconta il punto di vista pulito e universale, semplice nella sua ovvietà, di un’adolescente con tanta voglia di esserci; ci racconta la forza di uno sguardo giovane e incontaminato sull’assurdità delle restrizioni imposte alle donne, alle quali è negata totalmente qualsiasi forma di esistenza pubblica.

Il film è un documento interessante sull’attuale filosofia dei comportamenti derivati dal dogma fondamentalista islamico, che si scontra col mondo occidentale, che si sta solo apparentemente  evolvendo, ma che costruisce il suo futuro su violenze sottili e non facilmente decodificabili come tali: discriminazioni sessuali profondamente radicate, ipocrisie catto-fondamentaliste, grammatiche sessiste e sintassi ipotattico-patriarcali. Infatti, tutto il maschilismo occidentale si percepisce vivissimo e ancora dominante nelle architetture verbali delle nostre lingue. “Gli uomini, come gruppo dominante, hanno prodotto linguaggio, pensiero e realtà. Storicamente sono stati loro ad elaborare strutture, categorie, significati, che certo non sono stati pensati da tutti i maschi, ma che pur sono stati assunti come valido referente dagli altri maschi. In tutto questo processo le donne hanno giocato davvero una minima parte”. (Spender D. Man Made Language, Routledge & Kegan Paul, 1980).

Dunque, il patriarcato si è costruito una trama di relazioni, una intelaiatura particolare di classificazione ed organizzazione delle cose e degli eventi del mondo, schemi e ordini simbolici che modellano inconsapevolmente l’esistenza di tutti. “Vuoi conoscere l’albero genealogico di tuo padre? Tu non ci sei! Ci sono solo i nomi degli uomini”, fa eco la madre di Wadjda al tentativo della ragazzina di cercare il suo nome nel quadro che raffigura l’albero genealogico della sua famiglia. Non le resta che attaccare con una forcina per capelli un foglietto con il suo nome a un ramo di quell’albero, altro gesto di radicale sfida all’assurdità delle restrizioni imposte dalla società maschile.

La sintassi tradizionale è così sconvolta: alla gerarchia del sistema ipotattico costruito sull’architettura di una proposizione principale (il padre) e delle sue subordinate, si sostituisce l’anti-gerarchia delle coordinate della paratassi (padre e figlia femmina sullo stesso ramo dell’albero genealogico). Wadjda alla fine del film ha la sua bicicletta; e la sorpresa è che è sua madre a regalargliela.

Bel film, questo, che commuove e fa riflettere: da una storia semplice, dai giochi di un’adolescente si dipana un quadro illuminante della società saudita (e non solo), dei rapporti interpersonali e tra i sessi, dell’educazione e dell’istruzione, della quotidianità e “normalità”, della follia maschilista e della speranza tutta femminile di poterne uscire, ribaltando i punti di vista.

E soprattutto belli e contemporanei sono i film proposti da Maurizio con Giovanni all’Alphaville, in via Muricchio a Campobasso, piccolo e magico non-luogo, dove il sabato, la domenica e il lunedì è possibile fruire di questi gioielli. Una silenziosa rivoluzione culturale: dal dominio della costruzione ipotattica di un cinema di potere e commerciale alla fruizione lieve e preziosa della paratassi, ovvero di un linguaggio cinematografico finalmente libero dalle imposizioni di mercato.

“Wadjda, io ti voglio sposare, quando saremo grandi!”, conclude con un sorriso il piccolo Abdullah. ☺

bizzarra48@yahoo.it

Tags 2013, Marzo2013
eoc

eoc