la mafia nello stato  di Franco Novelli
30 Ottobre 2011 Share

la mafia nello stato di Franco Novelli

 

Abbiamo indicato, in precedenza, i punti fondamentali dell’idea che il partito di Forza Italia all’atto della sua nascita aveva ed ha – oggi – della magistratura, svuotata di ogni sua autorevolezza, nel momento in cui si suppone, e si amplifica, il convincimento della composizione comunista dell’apparato della giustizia nel suo insieme. Tale idea, fortemente irresponsabile, rievoca il cosiddetto papello che Totò Riina ha indirizzato alla classe dirigente, se non andiamo errati, nel 1993, con il quale i vertici di Cosa Nostra avevano l’intenzione di mettere le mani sullo Stato, approfittando del grave disagio psicologico e sociale che gli Italiani stavano vivendo all’indomani della strage di Capaci – 22 maggio 1992 – e di quella ampiamente preannunciata di via d’Amelio – 19 luglio 1992 -.  In queste due tragiche circostanze sono morti i due massimi antagonisti della mafia e di quella parte corrotta della classe politica, di cui i due magistrati stavano trovando le prove della collusione con la mafia siciliana; inoltre, tale classe dirigente corrotta di lì a poco sarebbe stata sostituita, per un cambio strategico della politica della cupola mafiosa nei confronti dell’establishment di quel periodo torbido, con la nuova, quella indicata in Sicilia da Marcello Dell’Utri, in seguito condannato ad una pena di più di 6 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.

È Massimo Ciancimino, il figlio dell’ex sindaco di Palermo Vito, a parlare tra i primi di papello, i cui punti sono:

1. Revisione della sentenza del maxi processo (nel quale sono stati condannati all’ergastolo numerosi individui – taluni al 41bis, ossia il carcere duro – collegati alle stragi del 1992-93);

2. Annullamento del decreto legge 41bis;

3. Revisione della legge Rognoni-La Torre (per la quale il reato di partecipazione mafiosa si estendeva a quanti collaborassero con l’apparato della mafia);

4. Riforma della legge dei pentiti (e, quindi, depotenziamento dell’istituto giuridico del pentitismo, allo scopo di sconfiggere la linea terribilmente esiziale della politica mafiosa in Italia);

5. Riconoscimento dei benefici di legge, che venivano riconosciuti ai dissociati delle brigate rosse,  anche per i condannati di mafia;

6. Arresto domiciliare per quanti avessero compiuto i 70 anni di età;

7. Chiusura delle supercarceri;

8. Carcerazione nelle vicinanze delle abitazioni dei familiari;

9. Nessuna censura nello scambio epistolare con i familiari;

10. Misure di prevenzione – nel caso di sequestri – per i  non familiari;

11. Arresto consentito solo in fragranza (sic!, al posto di “flagranza”) di reato;

12. Abolizione delle tasse regionali previste sui carburanti come per la Valle d’Aosta.

 A parte l’ultimo punto che riguarda l’accisa regionale sulla benzina (se la Valle d’Aosta non impone addizionali sulla benzina, perché esse dovrebbero valere in Sicilia, che ha uno statuto autonomo simile a quello della regione alpina?), tutto il resto riguarda la giustizia e il rapporto con la magistratura.  In questi casi la delegittimazione dell’istituto giudiziario e del concetto che la legge sia eguale per tutti è chiara e definita nei suoi termini estremi. Poi, sia il papello di Riina che le linee programmatiche del partito berlusconiano appaiono contigue, perché in tutti e due i casi emergono la richiesta e la volontà anche di considerarsi al di sopra delle leggi e delle regole che – si dice – a nulla servirebbero nel mondo globalizzato, profondamente modificato nel costume sociale (il libertinaggio e il malgoverno lo attestano) e nella concezione che esso esprime della politica e del suo ruolo, non più al servizio delle persone ma strumento di potere e di arricchimento facile e immotivato.

Qui torna sulla scena internazionale – ed italiana – il convincimento squisitamente settecentesco che chi produce ricchezza non solo non debba essere sottoposto all’ottemperanza delle leggi ma non debba neppure corrispondere allo Stato le tasse che, per accordo politico solidaristico, i suoi componenti legittimamente si impongono al fine di una organica e condivisa strutturazione dell’apparato statale.

Oggi che viviamo una crisi terribilmente esiziale per i non abbienti, in quanto la débacle finanziaria ed economica viene scaricata sui ceti medio-bassi e su quelli dal lavoro dipendente, oggi più di prima,  precario, ci rendiamo conto del modesto profilo civile ed etico che esprimono le classi ricche: mancanza assoluta di senso civico e partecipativo alle sorti della collettività, prepotenza assurda e immotivata che sono i degni compari della prevaricazione e dell’oltraggio gratuito e offensivo,  segni premonitori della presenza nel tessuto sociale della cultura mafiosa.  Ecco il punto essenziale: tanto la strategia di delegittimazione della giustizia, portata avanti dal berlusconismo, quanto il convincimento che le classi agiate, che producono ricchezza, non debbano sottostare ai nodi delle regole stanno ampiamente a dimostrare che la struttura reale e operativa della mafia è entrata nei gangli dello stato e che questo è nelle mani di lascivi puttanieri e  pericolosi mestatori. Dunque, le stesse prevaricazioni mafiose, che si fondano sullo sfaldamento del senso di rispetto della legge (per esempio il pizzo, le mazzette, la raccomandazione come fuga da personale impegno), si osservano quotidianamente sul palcoscenico della politica, che alimenta il disamore, la disaffezione, il qualunquismo, anticamere della tracotanza autarchica  e del fascismo, tout court.

Il sesso ed il denaro sono alla base della corruzione attuale, così come la violenza stragista è stata considerata lo strumento violento più adatto alla penetrazione delle mafie negli apparati dello stato indebolito dalla violenza degli attentati omicidi. Sull’Italia primeggia la tragicomica maschera dell’homo ridens, volgarmente teso ad un orgasmo imperfetto con la “sorte” ( = il potere!), costretto a lasciare, perché altri stanno bussando alla porta dei privilegi assurdi e immotivati. Qualcosa, tuttavia, si sta muovendo (come, per esempio, vediamo nel risultato referendario di giugno scorso e dei successi a Napoli di De Magistris e a Milano di Pisapia ), ma è ancora ben poca cosa rispetto al disegno sistemico della mafia e a quella del cosiddetto “quarto livello” – terreno fertile per la cosiddetta zona grigia -, grandemente responsabile della operosità assidua e costante delle organizzazioni malavitose. ☺

bar.novelli@micso.net

 

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