La migliore politica
8 Luglio 2021
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La migliore politica

All’inizio del capitolo quinto dell’enciclica Fratelli tutti papa Francesco afferma perentoriamente che “per rendere possibile lo sviluppo di una comunità mondiale, capace di realizzare la fraternità a partire da popoli e nazioni che vivano l’amicizia sociale, è necessaria la migliore politica, posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso” (155).

Il disprezzo dei deboli può nascondersi in due visioni politiche oggi dominanti – populismi e liberismi – perché entrambe hanno difficoltà a pensare un mondo aperto dove c’è posto per tutti, i più deboli e le diverse culture. Il dibattito politico sembra ridursi alla divisione di campo “populista” o “non populista”. Far sparire la legittimità del concetto di “popolo” rischia di eliminare il concetto di “democrazia” dimenticando che gruppi politico-sociali che strutturano maggioranze e minoranze, che si propongono obiettivi comuni e progetti condivisi che abbiano sapore di un sogno collettivo rappresentano espressioni del concetto di popolo o popolare. Non sono categorie logiche, né mistiche, ma mitiche. Essere parte di un popolo è far parte di una identità comune fatta di legami sociali e culturali; è un processo lento, difficile quello verso un progetto comune (158). Un’altra espressione degenerata di autorità popolare è quella generata dalla ricerca dell’interesse immediato: si risponde a esigenze popolari allo scopo di garantirsi appoggio e voti ma senza impegno costante e risorse che permettano sostegno e creatività della vita.

Il grande tema è il lavoro: oltre le emergenze il vero obiettivo è “consentire una vita degna mediante il lavoro… non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro” (161-162). Le visioni liberali individualistiche – in cui la società è semplice somma di interessi coesistenti – umiliano le dimensioni proprie della vita sociale: la crescita personale, le relazioni sane, l’espressione di sé, la corresponsabilità nel miglioramento del mondo, ovvero il vivere come popolo. Come il samaritano che ha avuto bisogno di una locanda il cristiano, ispirato dalla carità operosa, sa che “l’amore del prossimo è realista e non disperde niente che sia necessario per una trasformazione della storia a beneficio degli ultimi” (165).

Il mercato, dogma di fede liberale, da solo non risolve, rivelandosi un pensiero povero e ripetitivo delle stesse ricette magiche, nelle teorie del “traboccamento” e dello “sgocciolamento”, che non risolvono l’inequità generatrice di nuove violenze che lacerano il tessuto sociale. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato i limiti del mercato oltre ad invocare un’economia non più schiava della finanza. Urge rimettere al centro la dignità umana pilastro su cui costruire le strutture di cui abbiamo bisogno. Superare l’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, mai con i poveri, né mai dei poveri, in un progetto che unisca i popoli. Occorre pensare alla partecipazione sociale, politica ed economica in modo da includere “quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune… sono seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi azioni concatenate. Senza di loro la democrazia si atrofizza diventa una formalità perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino” (189).

Il potere internazionale rivelatosi incapace di prevenire e di gestire la crisi finanziaria del 2008 è rimasto fedele a strategie orientate a maggiore individualismo, minore integrazione e maggiore libertà verso i veri potenti che trovano sempre il modo di uscire indenni. Il secolo ventunesimo assiste alla perdita dei poteri degli stati nazionali. Si avverte necessaria una riforma dell’ONU e dell’architettura finanziaria internazionale per dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni. Ci vogliono coraggio e generosità per stabilire liberamente obiettivi comuni e assicurare in tutto il mondo l’adempimento di norme essenziali in modo da evitare la tentazione di fare appello al diritto della forza invece che alla forza del diritto. La carità politica e l’attività dell’amore politico muovono sempre dall’amore preferenziale per gli ultimi. Solo con uno sguardo il cui orizzonte sia trasformato dalla carità che lo porta a cogliere la dignità dell’altro, i poveri sono riconosciuti e apprezzati nella loro dignità, rispettati nel loro stile proprio e nella loro cultura, e veramente integrati. Mentre nella società attuale proliferano i fanatismi, le logiche chiuse e la frammentazione sociale e culturale, un buon politico fa il primo passo perché risuonino le diverse voci. Non rassegniamoci a vivere chiusi in un frammento di realtà. Anche nella politica c’è spazio per amare con tenerezza, ovvero con l’amore che si fa vicino e concreto. Ed è grande nobiltà essere capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina.

La riflessione si conclude con domande che il politico dovrebbe fare a se stesso: “Pensando al futuro, in certi giorni le domande devono essere: A che scopo? Verso dove sto puntando realmente? Perché, dopo alcuni anni, riflettendo sul proprio passato, la domanda non sarà: Quanti mi hanno approvato, quanti mi hanno votato, quanti hanno avuto un’immagine positiva di me? Le domande, forse dolorose, saranno: Quanto amore ho messo nel mio lavoro? In che cosa ho fatto progredire il popolo? Che impronta ho lasciato nella vita della società? Quali legami reali ho costruito? Quali forze positive ho liberato? Quanta pace sociale ho seminato? Che cosa ho prodotto nel posto che mi è stato affidato?” (197).☺

 

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