La nuova lotta di classe
29 Aprile 2017
La Fonte (351 articles)
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La nuova lotta di classe

Sabato 18 febbraio a Larino si è parlato di nuove schiavitù, e martedì 21 a Termoli di popoli e democrazia: proseguono infatti gli incontri del ciclo “Lo scandalo della democrazia”, organizzato da alcune associazioni, tra cui la fonte e la Fondazione Milani.
Il quadro generale nel quale si inseriscono questi due momenti di discussione resta quello delle migrazioni e dell’ accoglienza, qualcosa di cui in questo periodo si parla dappertutto, anche a sproposito; ma è ormai tempo di rendersi conto che questo argomento, che ci sembra ormai così scontato, è di quelli dai quali nessuno può sentirsi non toccato. E ciò vale soprattutto per i tanti che sbuffano infastiditi e mal sopportano questo tema, liquidandolo come “il solito atteggiamento buonista che non porta da nessuna parte”.
È tempo infatti di capire che parlare di migranti significa inesorabilmente parlare di noi stessi. Sì, perché mai come in questo caso non esistono “altri” che siano responsabili o coinvolti, se non noi; e quando si parla di riduzione in schiavitù e di negazione dei diritti purtroppo è di noi che si sta parlando.
Se quella alta percentuale di italiani che non sopporta i migranti, ed è sempre pronta ad alzare barricate, bloccare strade e gridare scompostamente: “Tornate a casa vostra” si rendesse conto che sui migranti si sperimenta lo sfruttamento che tra poco sarà sperimentato su di noi, in questo mercato del lavoro ormai diventato un’arena di lotta, forse il problema dell’accoglienza sarebbe risolto.
Perché “l’altro” è vittima come lo siamo noi: tutti, migranti e cittadini, imprigionati nella logica di un’economia feroce che attraverso il debito pubblico illegittimo imprigiona ogni vita e ne fa una storia di asservimento. Perché eravamo abituati, nell’ Occidente ricco, al benessere che veniva dal denaro, e ora che il denaro non c’è più, risucchiato dalle tante crisi finanziarie, domina la paura. E l’arrivo di popoli interi, in fuga da guerre, dittature e povertà (tutti fenomeni in qualche modo discendenti dal debito nei confronti dei paesi occidentali, che le istituzioni economiche mondiali hanno gestito imponendo tagli a scuole, ospedali, servizi sociali) crea frustrazione e malessere sociale nei paesi che dovrebbero accoglierli.
Questa è dunque la nuova “lotta di classe” con la quale ci troviamo a convivere: una lotta tra poverissimi e impoveriti, molto lontana dalle categorie filosofico-sociali di Marx, ma non meno epocale, e ingabbiata, come lo era quella, in una narrazione mistificante che imprigiona l’esistente in un tempo e in uno spazio fittizi: ci si dice che questa “invasione” cancellerà i nostri valori e la nostra civiltà, sottraendoci nello stesso tempo anche quel poco di benessere che i più fortunati di noi ancora conservano, perché siamo chiamati a dividerlo con loro. E questa narrazione menzognera consolida egoismi e tentazioni di chiusura, mentre non è altro che l’ultimo strumento su cui il neoliberismo trionfante fa leva per far aumentare la nostra richiesta di stabilità e sicurezza, inducendoci a rinunciare ad altri diritti sociali e ad accettare sistemi di dittatura strisciante.
I diritti vengono così privatizzati: scuola, sanità, ambiente. E in questo mondo capovolto che ci raccontano sono le banche, non gli umani, ad avere diritti; per esempio quello ad essere salvate con il denaro pubblico, che va a saldare un debito odiosamente illegittimo, mentre l’umanità, come ha detto Papa Francesco, il cui discorso ai Movimenti Popolari è stato in parte proiettato martedì 21, va “in bancarotta”. Senza neanche accorgercene, stiamo abituandoci a legare i diritti al denaro; e se chi non ha denaro non ha diritti, perché i migranti che non hanno soldi dovrebbero avere diritti? E perché dovremmo accoglierli, se non hanno diritti?
Dobbiamo ricostruire il legame tra diritti e persone, smettere finalmente di accettare di socializzare il debito e privatizzare il profitto: senza una percezione collettiva e strategica del legame tra debito, povertà e migrazioni, continueremo a sentirci assaliti, minacciati nel nostro piccolo e illusorio senso di sicurezza. Ma per arrivare a questa chiarezza di visione, che è cristallina nelle parole di Francesco (non a caso definito l’unico leader mondiale rimasto a parlare di diritti e di giustizia sociale in modo politico), dobbiamo faticosamente intrecciare una contro-narrazione che smascheri il re nudo delle liberalizzazioni selvagge, del pareggio di bilancio, dell’attacco alle costituzioni antifasciste, della distruzione sistematica di ospedali e università. Dobbiamo costruire una visione assembleare che faccia emergere, al di là delle storie individuali diverse, un senso nuovo di comunità includente e orizzontale, dove essere in debito e in fuga non sia più un reato e un’emergenza.
Gli incontri de “Lo scandalo della democrazia” vogliono cercare appunto di far partire una discussione serena che ci interroghi sulle troppe vicende che diamo per scontate, ripartendo dai pochi che questo scandalo lo hanno osato, in forme, luoghi e tempi diversi ma con la stessa voglia di non fermarsi subito alla prima e più facile lettura del mondo.
Discussione difficile e ostica, ma non negoziabile; perché come si diceva prima, non c’è l’altro. C’è solo un noi.

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