La parola amore (dibattito: l'amore può finire?) | La Fonte TV
Qualcuno, forse impropriamente, fa derivare la parola amore da “a-mors”/senza morte e/o da “ad-mortem”/fino alla morte, quasi a sottolineare l’intensità senza fine ed estrema di questo sentimento. Scrutando con attenzione negli etimi qualcun altro lo riconduce al sanscrito Kama – quello di Kamala in Hesse – desiderio, passione, attrazione, consolazione, condivisione… ingredienti che rendono la vita “amorevole”. Il verbo amare risalirebbe alla radice indoeuropea ka, da cui il significato di desiderare in maniera viscerale, in modo integrale e totale. È il caso, sì, di sottolineare che sono sentimenti che partono dall’io, e prima di tutto sono rivolti al mio io, è dentro me, sopra tutti e prima di tutti, è per me. Qualcun altro, ancora, fa risalire il termine al verbo greco mao (non è il Mao cinese!) che indica un’attrazione esteriore e viscerale, animalesca, da distinguere dall’attrazione mentale, razionale, spirituale, per esprimere la quale si utilizzava il verbo diligere, ovvero scegliere, desiderare come risultato di una riflessione e talvolta di calcolo, ovvero di interesse.
Proviamo a decodificare le parole che compongono l’espressione: “amore mio ti amerò fino alla morte” = “mio desiderio e mia passione ti desidero in maniera viscerale”. Proviamo ad immaginare che: 1) il soggetto al quale abbiamo rivolto quella espressione, passata “la botta” della nottata e/o di diverse nottate, magari anche anni, non corrisponda e non condivida il nostro amore; 2) il soggetto che ha utilizzato quelle espressioni, talvolta anche per “voto di consacrazione”, non corrisponda e non senta significativo l’amore declamato per tante e svariate motivazioni. Che succede? È qui la radice del senso della parola amore che, spesso, si trova in quell’Oltre senza confini, senza ragioni, senza giudizi, senza età.
No, non cerchiamo ragioni divine in quelli che codifichiamo come fallimenti; egli, se c’è, ci ha regalato la vita e ci consegna quotidianamente percorsi da affrontare con amore condiviso. No, non cerchiamo di legittimare soluzioni umane e legali quando la Legge/la Regola, anche quella cosiddetta canonica, quella per capirci di santa romana chiesa e delle altre “chiese”, raccontano che non puoi partecipare ai loro arcaici riti perché tu sei “fuoriLegge”…
Il libro della Legge/delle Regole è altra cosa dall’”amore”! in ogni caso, ciò che vi si scrive, può essere considerato semplicemente un contratto a termine da aggiornare quotidianamente… amando te, la tua vita e gli altri/e come ami te stesso e confidando in quell’Oltre che è sempre oltre le nostre rassicuranti certezze.
Franco Pollutri
Qualcuno, forse impropriamente, fa derivare la parola amore da “a-mors”/senza morte e/o da “ad-mortem”/fino alla morte, quasi a sottolineare l’intensità senza fine ed estrema di questo sentimento. Scrutando con attenzione negli etimi qualcun altro lo riconduce al sanscrito Kama – quello di Kamala in Hesse – desiderio, passione, attrazione, consolazione, condivisione… ingredienti che rendono la vita “amorevole”. Il verbo amare risalirebbe alla radice indoeuropea ka, da cui il significato di desiderare in maniera viscerale, in modo integrale e totale. È il caso, sì, di sottolineare che sono sentimenti che partono dall’io, e prima di tutto sono rivolti al mio io, è dentro me, sopra tutti e prima di tutti, è per me. Qualcun altro, ancora, fa risalire il termine al verbo greco mao (non è il Mao cinese!) che indica un’attrazione esteriore e viscerale, animalesca, da distinguere dall’attrazione mentale, razionale, spirituale, per esprimere la quale si utilizzava il verbo diligere, ovvero scegliere, desiderare come risultato di una riflessione e talvolta di calcolo, ovvero di interesse.
Proviamo a decodificare le parole che compongono l’espressione: “amore mio ti amerò fino alla morte” = “mio desiderio e mia passione ti desidero in maniera viscerale”. Proviamo ad immaginare che: 1) il soggetto al quale abbiamo rivolto quella espressione, passata “la botta” della nottata e/o di diverse nottate, magari anche anni, non corrisponda e non condivida il nostro amore; 2) il soggetto che ha utilizzato quelle espressioni, talvolta anche per “voto di consacrazione”, non corrisponda e non senta significativo l’amore declamato per tante e svariate motivazioni. Che succede? È qui la radice del senso della parola amore che, spesso, si trova in quell’Oltre senza confini, senza ragioni, senza giudizi, senza età.
No, non cerchiamo ragioni divine in quelli che codifichiamo come fallimenti; egli, se c’è, ci ha regalato la vita e ci consegna quotidianamente percorsi da affrontare con amore condiviso. No, non cerchiamo di legittimare soluzioni umane e legali quando la Legge/la Regola, anche quella cosiddetta canonica, quella per capirci di santa romana chiesa e delle altre “chiese”, raccontano che non puoi partecipare ai loro arcaici riti perché tu sei “fuoriLegge”…
Il libro della Legge/delle Regole è altra cosa dall’”amore”! in ogni caso, ciò che vi si scrive, può essere considerato semplicemente un contratto a termine da aggiornare quotidianamente… amando te, la tua vita e gli altri/e come ami te stesso e confidando in quell’Oltre che è sempre oltre le nostre rassicuranti certezze.
Qualcuno, forse impropriamente, fa derivare la parola amore da "a-mors"/senza morte e/o da "ad-mortem"/fino alla morte, quasi a sottolineare l'intensità senza fine ed estrema di questo sentimento.
Qualcuno, forse impropriamente, fa derivare la parola amore da “a-mors”/senza morte e/o da “ad-mortem”/fino alla morte, quasi a sottolineare l’intensità senza fine ed estrema di questo sentimento. Scrutando con attenzione negli etimi qualcun altro lo riconduce al sanscrito Kama – quello di Kamala in Hesse – desiderio, passione, attrazione, consolazione, condivisione… ingredienti che rendono la vita “amorevole”. Il verbo amare risalirebbe alla radice indoeuropea ka, da cui il significato di desiderare in maniera viscerale, in modo integrale e totale. È il caso, sì, di sottolineare che sono sentimenti che partono dall’io, e prima di tutto sono rivolti al mio io, è dentro me, sopra tutti e prima di tutti, è per me. Qualcun altro, ancora, fa risalire il termine al verbo greco mao (non è il Mao cinese!) che indica un’attrazione esteriore e viscerale, animalesca, da distinguere dall’attrazione mentale, razionale, spirituale, per esprimere la quale si utilizzava il verbo diligere, ovvero scegliere, desiderare come risultato di una riflessione e talvolta di calcolo, ovvero di interesse.
Proviamo a decodificare le parole che compongono l’espressione: “amore mio ti amerò fino alla morte” = “mio desiderio e mia passione ti desidero in maniera viscerale”. Proviamo ad immaginare che: 1) il soggetto al quale abbiamo rivolto quella espressione, passata “la botta” della nottata e/o di diverse nottate, magari anche anni, non corrisponda e non condivida il nostro amore; 2) il soggetto che ha utilizzato quelle espressioni, talvolta anche per “voto di consacrazione”, non corrisponda e non senta significativo l’amore declamato per tante e svariate motivazioni. Che succede? È qui la radice del senso della parola amore che, spesso, si trova in quell’Oltre senza confini, senza ragioni, senza giudizi, senza età.
No, non cerchiamo ragioni divine in quelli che codifichiamo come fallimenti; egli, se c’è, ci ha regalato la vita e ci consegna quotidianamente percorsi da affrontare con amore condiviso. No, non cerchiamo di legittimare soluzioni umane e legali quando la Legge/la Regola, anche quella cosiddetta canonica, quella per capirci di santa romana chiesa e delle altre “chiese”, raccontano che non puoi partecipare ai loro arcaici riti perché tu sei “fuoriLegge”…
Il libro della Legge/delle Regole è altra cosa dall’”amore”! in ogni caso, ciò che vi si scrive, può essere considerato semplicemente un contratto a termine da aggiornare quotidianamente… amando te, la tua vita e gli altri/e come ami te stesso e confidando in quell’Oltre che è sempre oltre le nostre rassicuranti certezze.
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