la persona al centro  di Michele Tartaglia
4 Giugno 2013 Share

la persona al centro di Michele Tartaglia

 

Quando si parla del rapporto di Gesù con il tema della giustizia, si sottolineano sempre la sua denuncia dell’ingiustizia, i rimproveri ai ricchi, l’attenzione agli emarginati. Se si guarda con più attenzione, si nota tuttavia che Gesù non solo si scaglia contro l’ingiustizia, ma attacca anche un certo tipo di giustizia; come a dire che non ogni giustizia è pienamente conforme alla volontà di Dio. Particolarmente nel discorso della montagna (Mt 5-7), a un certo punto egli afferma, rivolgendosi ai discepoli: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (5,20). Di per sé i farisei erano tutt’altro che ingiusti, in quanto praticavano i comandamenti in modo meticoloso; sembrerebbe che Gesù chieda ai discepoli di essere ancora più maniacali nel vivere le regole della legge di Mosè e invece sta chiedendo loro di superare il modo e lo scopo per cui i farisei (o meglio certi farisei) mettevano in pratica i comandamenti. L’idea che sta alla base dell’affermazione di Gesù, infatti, è di ritenere la pratica dei comandamenti come una specie di recinto intorno alla Torah, la Legge di Mosè.

Gli scribi insegnavano che, per essere certi di osservare la Legge, bisognava mettere in pratica non 10 ma 613 precetti, tanti quanti erano individuabili nella Torah. Questi precetti erano come una siepe che proteggeva l’osservanza, per cui gli scribi insegnavano che bisognava stare nel recinto per essere bravi israeliti. In tal senso la richiesta di andare oltre la giustizia dei farisei significa scavalcare il recinto che rende incapace di vivere liberamente. Andare oltre tuttavia non significa ignorare i comandi, ma scendere in profondità, cogliere lo spirito della legge, per cui non basta non commettere adulterio, ma è necessario guardare l’altro rispettandone la dignità. Gesù rimprovera quindi anche per la motivazione che si mette nell’osservanza della Legge: essere ammirati, propagandare se stessi, coltivare il proprio interesse. Andare oltre significa per Gesù togliere lo sguardo da sé per proiettarlo sull’altro e i suoi bisogni e desideri, far sì che ognuno possa diventare se stesso entrando nel regno dei cieli, sotto la custodia, cioè, di un Dio che vuole il bene del  singolo e della comunità. La differenza tra le due giustizie sta nello scopo perseguito: quella dei farisei cerca l’affermazione di sé, quella richiesta ai discepoli persegue il bene comune perché il far star bene l’altro ritorna in termini di realizzazione personale e dunque di accrescimento del bene condiviso.

Anche nel nostro mondo si parla di giustizia, ma è una parola tirata ora da un lato ora dall’altro per cui per gli uni significa impunità per altri giustizialismo. Si dimentica cioè che giustizia significa fare pareggio, rendere uguali chi parte da posizioni disuguali. E ci troviamo nel paradosso che legalità spesso non coincide con la giustizia, perché la legge a volte è promulgata guardando all’interesse di pochi, quei pochi che riescono a farsi rappresentare dove si fanno le regole. E in tal modo applicando la legge spesso si crea dolore e ingiustizia, si lede la dignità umana (pensiamo al reato di clandestinità), si spegne la speranza (pensiamo all’ indebitamento crescente nella società). Andare oltre la giustizia dei farisei significa sacrificare il profitto, anche se garantito dalla legge, per difendere i posti di lavoro, abbassare gli emolumenti anche se hanno vincoli costituzionali, per solidarizzare con chi non arriva a fine mese, avere il coraggio di rimettere in discussione patti europei che obbediscono alle lobby finanziarie, per mettersi dalla parte dei cittadini ammazzati dai patti di stabilità. Il fine dell’Unione Europea era (sulla carta) il superamento delle barriere nazionali che avevano insanguinato il continente, ma ormai è diventato quello di dissanguare in modo incruento, ma altrettanto doloroso, i suoi distratti e succubi cittadini.

L’invito di Gesù a superare la giustizia dei precetti, per noi vuol dire andare oltre quei sistemi che attraverso regole insensate (come il korban dei farisei, la possibilità cioè di affamare i genitori per riempire le casse del tempio) stanno distruggendo nel comune cittadino la dimensione della speranza per il proprio futuro. La priorità ma anche l’unica salvezza per noi uomini d’oggi non è nella scelta di una parte politica (ormai tutte si assomigliano) ma nel decidere se rimettere l’uomo e il rispetto per la sua dignità al centro o continuare a far finta di vivere una democrazia fatta solo di belle parole. Il profeta Geremia sognava un tempo in cui la legge non era scritta su tavole di pietra ma nei cuori: quando anche i cuori sono di pietra, nessuna legge, per quanto santa e buona potrà mai realizzare la giustizia, frutto, invece delle scelte di chi sa oltrepassare la siepe del profitto per scegliere lo spazio aperto del dono. ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

 

 

 

 

 

 

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