La primavera larinese
8 Maggio 2018
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La primavera larinese

-Rosina, Rosinaaa…- Erano un po’ di giorni che spariva all’improvviso e bisognava chiamarla ripetutamente affinché riprendesse le consuete occupazioni. Mi infastidivano parecchio queste assenze continue perché sospettavo mi nascondesse qualche cosa.

Ma eccola, ricompariva con la sua andatura buffa, dopo qualche minuto, con l’aria di chi non si è mai mossa dal suo posto, anche se gli occhi piccoli, brillanti come due capocchie di spillo, rivelavano il suo inganno.

Un giorno la spiai, con indifferenza, senza che se ne accorse la vidi infilarsi furtivamente in uno sgabuzzino stretto e angusto, la porta si richiuse alle sue spalle con rapidità, come se nessuno vi fosse mai entrato, nessuno doveva notare le sue evoluzioni.

Aspettai il momento in cui lei era occupata in un lavoro che di sicuro le avrebbe sottratto un bel po’ di tempo, quel tempo che per lei era diventato improvvisamente così prezioso ed entrai in azione.

Fuori una nebbia leggera sfumava il contorno dei tetti e regalava una chioma eterea ai rami secchi e asciutti che resistevano imperterriti al rigore dell’inverno.

Aprii la porta dello sgabuzzino dove si affastellavano stracci logori i cui orli disegnavano merletti dalle forme strambe e originali, mentre i secchi azzurri, che avrebbero dovuto contenerli, esplodevano di colori sgargianti, e vidi corolle variopinte, petali grassi e ben distesi che il tepore della piccola stanza aveva fatto aprire al punto giusto.

Organizzai il mio sguardo, incapace di cogliere i particolari in quel disordine così ordinato e notai dei fili sottili e rigidi, di uguale misura, dovevano essere di ferro animato, rotoli di carta crespa ammucchiati su un piccolo tavolo, un paio di forbici lucide e dalle eleganti lame, lunghe e appuntite.

A terra, come coriandoli, avanzi di carta crespa, recisa da mani esperte e sicure, si notava dalla regolarità della forma di questi triangolini dai lati leggermente incavati.

Sorrisi dentro di me, avevo scoperto l’ingenuo segreto di Rosina e nello stesso tempo mi si era scaldato il cuore nel vedere quell’insolita primavera. La convinsi, non senza resistenze, ad eseguire le sue creazioni in mia presenza, volevo impossessarmi della magia che fa mutare i colori alle stagioni, che trasforma le stanze anguste in serre variopinte.

L’indice e il pollice roteavano velocemente sul fil di ferro avvolgendo una strisciolina di carta verde e, uno dopo l’altro, si adagiavano sui sepali i cerchi colorati dei petali.

La rosa era pronta e si dirigeva delicatamente nella sua provvisoria dimora, il secchio azzurro che si pavoneggiava nel suo ruolo, seppur temporaneo.

La rosa invece era impettita e attenta a non sciuparsi, sapeva che doveva reggere il confronto con le sue sorelle di maggio. Solo allora, adagiata su candidi mantelli di pizzo, avrebbe sfilato per le vie cittadine, trainata da una coppia di buoi miti e instancabili.

A maggio la rividi, durante la sfilata dei carri larinesi, accompagnava, insieme alle altre la policroma processione del santo caro ai larinesi, Pardo, tra il vociare sommesso degli uomini intenti alla guida e le grida festanti dei bimbi seduti sui carri.

-E Rosina dov’è?- chiedo alla sua amica Angelina – non vedi – risponde – che il suo carro è il più bello? Fra un po’ i suoi uomini torneranno a casa insieme agli amici e il suo pranzo dovrà essere all’altezza di questa festa unica e spettacolare.☺

 

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