la qualità della scuola di Gabriella de Lisio
29 Aprile 2013 Share

la qualità della scuola di Gabriella de Lisio

 

Non so i miei colleghi, ma la sottoscritta è poco convinta. Proporre in Italia la classe 3.0, e riempirsi la bocca di cooperative learning e di “isole”, mi sembra offrire brioches a chi non ha più pane (per usare una vecchia leggenda attribuita alla regina Maria Antonietta alla vigilia della Rivoluzione francese).

Anzitutto, cos’è. Un modo (senz’altro rivoluzionario) di impostare l’insegnamento con metodi e strumenti nuovi, facendo cioè scomparire il libro di testo (che sarebbe sostituito dal tablet per ciascun ragazzo e per ciascun docente), la lavagna tradizionale (che, già affiancata da qualche anno dalla lavagna interattiva multimediale, sparirebbe a vantaggio delle cosiddette “pareti vive”, sulle quali proiettare direttamente le schermate provenienti dal web o dai software in uso), la cattedra (che si trasformerebbe in una semplice postazione di appoggio al centro dell’aula, mentre il docente gira tra i ragazzi col suo tablet), e i banchi stessi (non più singoli ma disposti “ad isola”, una sorta di tavolo da cerimonia circolare di quelli a cui ti ritrovi ai matrimoni col parente antipatico o con il perfetto sconosciuto, in cui c’è posto per 6 o 8 ragazzi o più, o meno). I metodi, poi: ovviamente, basta con la lezione tradizionale, in cui c’è chi ascolta (e, al meglio, prende qualche appunto) e chi parla, e via alla lezione in cui il docente è un semplice facilitatore, una sorta di suggeritore, di moderatore che dir si voglia, di collaboratore che posta per tempo la sua lezione, a casa, e in classe gestisce solo gli interventi e i contributi dei ragazzi, che – dopo aver studiato “secondo i loro tempi” la lezione postata – arricchiscono e generano il sapere in diretta. Belle parole, senz’altro. Ma, appunto, parole, sebbene la classe 3.0 sia diventata una realtà in alcune scuole italiane. Peccato che le sperimentazioni, da noi, restano un fenomeno ampio più o meno quanto quello di una riserva indiana, e non incidono mai sul mercato all’ingrosso. La solita elite, che non ha nulla a che fare con la vera scuola del bel paese: povera, malconcia per la qualità delle strutture, demotivata, per lo più sporca, sempre con l’acqua alla gola per racimolare quanto serve ad attivare un corso di recupero, un’attività integrativa, o molto meno. Dalla carta igienica alla carta geografica.

Giovanni Biondi, capo dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, strumentali e finanziare del MIUR e presidente dell’European Schoolnet, dice che “dobbiamo creare una situazione di attrattività della scuola per le nuove generazioni digitali, che apprendono a casa attraverso la multimedialità e a scuola invece si ritrovano ad essere soggetti passivi, invitati solo ad ascoltare e ad usare i linguaggi tradizionali”.

Intendiamoci. È utile che lo studente trovi il web anche a scuola, che diventi protagonista del suo sapere e sia al contempo valorizzato il lavoro di gruppo in cui ciascuno dà il suo contributo (non è meno provinciale dirlo in italiano anziché usare con snobismo il “cooperative learning”?); è bello che sia stimolata la ricerca attiva e personale di soluzioni rispetto alla sequela passiva e un po’ noiosa di una lezione frontale. Ma non c’è bisogno di scomodare le brioches: basta avere tanta buona farina e formare cuochi eccellenti per avere del buon pane per tutti. Ed è questo ciò che manca alla scuola, e che mancherà anche alle classi 3.0 se nessuno ne prende coscienza.

Il metodo laboratoriale di ricerca e soluzione del problema, e di costruzione dei contenuti, può essere attuato anche nell’aula tradizionale. Le lezione interattiva e la valorizzazione dell’apporto personale dei ragazzi, è alla portata anche della cattedra più scorticata. Basta sapere di cosa si parla, sapere dove si vuole andare, in quale tipo di educazione si crede. Don Lorenzo Milani non ha mai visto un pc. Eppure ha attuato la 3.0 in un minuscolo centro toscano dimenticato dal mondo, a vantaggio di ragazzini che tutti consideravano spacciati e che oggi scrivono libri, rilasciano interviste, partecipano a conferenze sulla sobrietà e sugli stili di vita, e riconoscono in Barbiana un modello di modernità dirompente. Fatto con pochi mezzi ma tanta, tanta competenza. E tanto amore per ciò che si viveva.

Nulla di personale contro le nuove tecnologie, per carità. Ma il problema della scuola italiana non è quello, basta, suvvia, con questa moda di nasconderci dietro un dito. Abbiamo bisogno di integrare gli strumenti con cui lavoriamo, va bene. Ma abbiamo bisogno anzitutto di uno stato che si accorga che noi insegnanti esistiamo, e facciamo fatica. E la nostra fatica vale quanto quella di tante altre categorie di lavoratori. Abbiamo bisogno di una formazione seria, che non ci viene impartita (e non ci viene aggiornata in maniera decorosa) perché i corsi universitari sono carenti di saperi disciplinari e metodologici adeguati a farci entrare nel mondo della scuola. Abbiamo bisogno di stipendi  dignitosi (c’è bisogno di aggiungere qualcosa in parentesi?) e di un fondo d’istituto che ci consenta di allargare la nostra offerta formativa aprendoci ad attività che al mattino non possono essere portate avanti e che invece favoriscono l’inclusione, lo svantaggio, le intelligenze multiple. È fantascienza pensare ad altro, attualmente. Partiamo, per favore, da qui. Non sono  i tablet o le isole a fare la qualità della scuola, perdonatemi se la penso così. Sono gli insegnanti. E gli insegnanti sono il frutto del paese che li forma, che li chiama. O che, in qualche caso, li tollera a malapena. Siamo noi la qualità della scuola. Dateci le risorse per riempire le nostre lavagne tradizionali con contenuti di qualità, valutateci, non fateci credere che nella nostra carriera l’ultimo momento valutativo a cui siamo sottoposti è l’esame di laurea. Funzionerà meglio, anche senza tablet. E non prendeteci in giro, perché il tablet, oggi che non riuscite a pagarci una risma di carta, non arriverà mai. E, dalla quotidiana trincea, non sappiamo che farcene delle sperimentazioni di una minoranza privilegiata.☺

gadelis@libero.it

 

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