la ricchezza della diversità
30 Maggio 2011 Share

la ricchezza della diversità

 

In questa rubrica – dedicata ai temi della scuola e dell’educazione, con un occhio speciale rivolto ai diritti umani e alla mondialità – dalla quale spesso ci piace lanciare qualche proposta didattica interessante e, talvolta, innovativa nei contenuti e nei metodi, ospitiamo oggi un’esperienza svoltasi nel corso dell’anno scolastico che sta per chiudersi: la classe coinvolta è stata la 3E della scuola secondaria di I grado dell’Istituto Comprensivo “G. Pallotta” di Bojano (CB) e il tema prescelto è stato proprio quello dei diritti umani, con particolare attenzione all’universo della malattia e della disabilità. Lasciamo parlare,  dunque, direttamente  Angela e Samira, a nome di tutti i compagni che, con loro due, hanno condiviso quest’anno un cammino formativo importante, alla scoperta di atteggiamenti pericolosi come il pregiudizio, ma anche alla conquista di una consapevolezza nuova: quella che la diversità, anziché essere un problema o una minaccia, è una risorsa che ci fa tutti più ricchi.

Il tema dei diritti umani è uno dei più complessi della società contemporanea e la scuola è, per noi ragazzi, un grande aiuto per comprenderne i diversi aspetti, rifletterci su ed essere ben informati.

Proprio per questo motivo, con la nostra classe, durante le ore di italiano, abbiamo realizzato quest’anno un progetto riguardante questa delicata tematica. Partendo dalla lettura guidata della DUDU (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – 1948), esaminata anche attraverso un filmato, ci siamo occupati dei diritti di numerose categorie di persone, entrando nel concreto di situazioni molto diverse e problematiche: gli immigrati, i detenuti, le donne, i bambini, i senza fissa dimora (che noi abbiamo sempre chiamato “barboni”), i lavoratori, i malati, eccetera, toccando così anche numerosi problemi di stretta attualità: i respingimenti in Libia e la legislazione italiana sull’immigrazione (con l’aiuto degli operatori della sezione di Campobasso di Amnesty International), il caso Mirafiori, i genocidi classici e moderni (come quello dei Tutsi in Rwanda), i Premi Nobel per la pace (come quello proposto, nel 2011, per le donne africane), l’eutanasia. I metodi utilizzati sono stati molto vari: dal libro di testo (la nostra antologia, infatti, conteneva una sezione ricchissima dedicata ai diritti umani e ci ha fornito il filo del discorso), ad alcuni film (“Si può fare” di Giulio Manfredonia e “Iqbal” di Cinzia Torrini), dall’incontro con alcuni esperti (gli operatori di Amnesty, appunto, ma anche quelli dell’Associazione Italiana Persone Down), al commento di alcune notizie di cronaca o di alcuni brani di approfondimento.

Il momento che, tuttavia, ci ha coinvolto di più è stato quello in cui abbiamo approfondito i diritti dei disabili e il cosiddetto “disagio psichico”, che colpisce persone vittime di problemi mentali di diversa origine e di diversa gravità. In classe, con i nostri compagni, abbiamo dunque letto vari brani sulle problematiche dei disabili, riflettendo molto e confrontando le varie opinioni di tutti. Grazie ad un paio di esperienze, poi, abbiamo avuto la possibilità di immergerci nella realtà di queste persone, tentando di andare oltre le apparenze e i pregiudizi, per comprendere quale fosse realmente la loro vita quotidiana. Siamo andati, dunque, a Campobasso, presso un centro diurno per persone affette dalla sindrome di Down, chiamato “Casa Nostra”, e presso la Cooperativa “Laboratorio Aperto”, che fa lavorare persone che soffrono di disagio psichico, dando loro l’opportunità di realizzarsi e di essere economicamente indipendenti.

“Casa Nostra” ospita, dalla mattina alle prime ore del pomeriggio, dei ragazzi colpiti dalla sindrome di Down: essi vivono lì dentro una vita assolutamente “normale”, scrivono, dipingono, provvedono alla spesa e alla pulizia del centro, ascoltano la musica e giocano al karaoke, ballano, ma soprattutto – ed è la cosa che ci ha colpito di più – riescono a cucinare. Ultimamente stanno anche cominciando a pernottare lì nel weekend, dopo aver passato il sabato sera insieme: in pizzeria, in discoteca, dove vogliono. In ogni azione sono accompagnati dagli operatori, pazientemente coordinati dalla signora Patrizia che ci ha accolti, ma nessuno li sostituisce nelle cose da fare. La casa è tutta decorata da loro, che hanno scelto colori vivaci per arredarla ed è molto accogliente.

Dopo aver visitato “Casa Nostra”, ci siamo spostati presso la cooperativa “Laboratorio Aperto”: qui, il presidente Antonio Barrea ci ha mostrato come questi ragazzi abbiano la capacità di realizzare quadri, piccoli gioielli e oggetti d’artigianato, creando delle vere e proprie opere d’arte: lavorare, ci ha spiegato, li aiuta a recuperare la fiducia e l’autostima, e a diminuire le dosi di farmaci e i ricoveri. È il sistema che suggeriva lo psichiatra Franco Basaglia all’inizio degli anni ’80, quando la legge 180 – appena approvata e a lui intitolata – chiuse i manicomi per far posto proprio a questo tipo di cooperative che valorizzano il malato e lo “curano” senza farmaci, ma con la dignità del lavoro.

Non pensavamo che questo tipo di persone potesse condurre un certo tipo di vita e potesse rendersi davvero “utile” alla società, in fondo pensavamo che i “malati” vanno assistiti con cura ma senza una reale possibilità di far fare loro grossi progressi: invece abbiamo scoperto che non è così, che hanno molto da dare, e molto in comune con noi. Per giunta sono stati contenti di accoglierci e raccontarci quello che fanno, e non sappiamo se per tutti è stato facile, quindi li ringraziamo di cuore. Ora sappiamo qualcosa in più sulla vita di queste persone ma soprattutto abbiamo imparato a guardarli con occhi diversi.

 Angela Arena e Samira Rochdi, per i ragazzi della 3E

 

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